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martedì 31 marzo 2009

Pdl, ovvero Partito Dei Lacchè


Finalmente si è chiuso il sipario sul fantasmagorico congresso di tutti i partiti che componevano il centrodestra, escluso la lega.
In questa Kermesse del vacuo è stata siglata la nascita del Partito Della Libertà, secondo la loro definizione, ma da quello che si è visto è nato il Partito Dei Lacchè.
Ad acclamazione unanime è stato eletto capo assoluto del partito Berlusconi, e non poteva essere diversamente visto che i convenuti erano stati invitati uno per uno da lui. Nel momento stesso che ha acquisito il consenso di Fini, l’egemonia assoluta è stata assicurata. Il povero Fini in verità è da tempo che cerca di ritagliarsi il ruolo di alleato lanciandosi in incerte affermazioni care alla sinistra sull’immigrazione clandestina e sui diritti degli immigrati. Il suo tentativo di crearsi un appoggio a sinistra si è rivelato subito inattuabile perché mai e poi mai riuscirà ad acquisire consenso a sinistra, per questo ha dovuto chinare il capo ed accodarsi anche lui al corteo dei lacchè che venerano il grande capo.

Il sogno di Berlusconi di diventare il padrone assoluto d’Italia è ormai realizzato. Con una mossa risolutiva come quella della modifica della legge elettorale è riuscito nel suo intento di assoggettare il parlamento al suo volere. Nemmeno Cesare, nell’antica Roma, aveva lo stesso potere in quanto una parte dei senatori gli erano ostili ed alla prima occasione lo eliminarono, e piu' che politicamente! Le persone che siedono nel parlamento italiano, sorvolando sul grado di preparazione vicino allo zero, sono state tutte cooptate da lui. Basta scorrere l’elenco e si troverà che è pieno di soubrette e dipendenti della sua azienda o semplicemente conoscenti. Dote che tutti devono possedere, è la riconoscenza e la devozione nei confronti di chi li ha nominati e soprattutto la disponibilità ad assecondare qualunque suo desiderio. Se a queste doti si aggiunge anche la venerazione e il culto della personalità del sommo capo è ancora meglio. Questo novello Napoleone distribuisce cariche a destra e a manca, chi diventa deputato, chi senatore, una qualunque ragazzina che sa spiaccicare un minimo di scempiaggini viene nominata ministro o almeno sottosegretario. La loro devozione sicuramente è indiscutibile insieme a quella di tanti altri che sperano di essere nominati alle prossime tornate elettorali. In questo bel paese per pochi, con una nomina alle cariche su descritte ci si arricchisce, non è come negli altri paesi che si viene eletti per portare il proprio contributo al benessere della nazione. In Italia qualunque carica politica, dalla più piccola alla più grande, serve a succhiare soldi dalle casse pubbliche senza obblighi o doveri che oltretutto non vengono richiesti.

Questa dittatura sicuramente diventerà ancora più stringente nei prossimi anni in quanto dall’altra parte, nel cosiddetto centrosinistra, c’è una pletora di capetti impegnati nella affannosa ricerca di un posto anche da togliere a quelli schierati dalla loro stessa parte. Il fatto più curioso e' che più posti perdono sotto i colpi impietosi di Berlusconi più si azzannano per contendersi quello che resta. Nella loro pochezza e grande cupidigia non comprendono che dovrebbero aggregarsi ma soprattutto riannodare il legame con le masse popolari che ormai hanno abbandonato da tempo.

Forse la salvezza dell’Italia da questo regime incombente è proprio la distruzione completa di questi masnadieri che pensano solo a dissanguare la pubblica economia. Dalla loro completa distruzione, anche se si dovrà subire un periodo di dittatura, può darsi che nasca qualche nuovo movimento popolare in grado di opporsi seriamente al Partito Dei Lacchè riportando la democrazia e il benessere per tutti, e non solamente per i membri della casta.

Tarquinio Prisco

domenica 29 marzo 2009

Attenzione tardiva

 pubblichiamo qui un commento ad un post precedente che pensiamo possa costituire argomento di discussione.
                                      Il Quiquirì
Io sono fermamente convinto di una cosa. Le dimissioni di Mattia Di Lorenzo ora non hanno senso. Non hanno senso politico dico. E soprattutto non ha senso chiedergliele ora e non due anni fa. Oggi siamo tutti così singolarmente attenti ad un fatto giudiziario (nel quale il protagonismo di Mattia è sicuramente marginale), due anni fa invece eravamo tutti sorprendentemente disattenti ad un fatto politico clamoroso, gravissimo, dannosissimo per il territorio e cioè quello che tre amministratori del Comune di Carinola erano anche amministratori della società che si occupava della raccolta rifiuti. Si viveva, a Carinola, una situazione a dir poco surreale, anche e soprattutto perchè i tre amministratori del Comune di Carinola erano consiglieri di opposizione (ora sono di maggioranza).

Per anni a Carinola la raccolta degli RSU ha fatto veramente schifo ed il servizio era deprimente anche prima dell'acutizzarsi dell'emergenza in tutta la Campania. In un comune normale tali malservizi sono di norma segnalati a gran voce dall'opposizione politica e consiliare. Da noi no. Nel Comune di Carinola no. E questo perchè il servizio dei rifiuti veniva svolto proprio dall'opposizione consiliare! In prima persona, con ben tre membri al posto di comando dell'Eco4! Ma può mai essere! Ma può mai essere dico io! Ma può mai essere dicevo io che all'epoca facevo parte del Consiglio Comunale tra le fila della maggioranza e che non subivo mai un attacco per quello schifo di servizio che davamo ai Cittadini?

Per non parlare poi del prezzo che il Comune e quindi i Cittadini pagavano per la non raccolta. E qui veniamo alla vera barzelletta. Come molti sapranno il contratto tra Comune ed Eco4 prevedeva ogni anno un adeguamento dei prezzi del servizio da concordare attraverso una regolare contrattazione. Ogni anno insomma si apriva una classica trattativa commerciale tra due soggetti che tiravano ovviamente ognuno verso il proprio vantaggio: il Comune di Carinola per risparmiare, l'Eco4 per guadagnare di più. Mi chiedevo all'epoca e mi chiedo ora: se tra i compiti istituzionali di un membro del consiglio di amministrazione di una società vi è quello di procurare vantaggi alla società stessa, per chi facevano il tifo i tre amministratori-consiglieri del Comune di Carinola quando questa trattativa aveva luogo? Di quale delle due parti in serrata trattativa facevano parte? Erano consiglieri di opposizione del Comune di Carinola e dovevano quindi protestare vibrantemente contro un prezzo di un non-servizio che da consiglieri di opposizione avrebbero dovuto considerare scandalosamente esorbitante e inadeguato oppure, in qualità di consiglieri di amministrazione dell'Eco4 in carica, avrebbero invece dovuto tirare verso il pagamento di un prezzo ancora maggiore?

In consiglio comunale avrebbero dovuto segnalare il disservizio e chiedere di mettere alla porta la società che tale disservizio operava oppure avrebbero dovuto glissare sull'argomento per evitare di danneggiare la causa della società di cui erano al vertice?

 Spesso optarono per il secondo atteggiamento.....

i cittadini? zitti.....

Certo, strumenti come il Quiquiri prima non ce n'erano ma a me sembra soprattutto che non ci fu percezione diffusa alcuna di quello che stava avvenendo...

I disservizi nascono quasi sempre da questo, dalla mancanza del semplice sistema controllore-controllato....nascono dalle incompatibilità di carica che questo semplice sistema fanno saltare...e così a Carinola non solo avevamo quello schifo di servizio ma non avevamo nemmeno gli addetti a lagnarsene appassionatamente al cospetto del Sindaco e del Consiglio Comunale in nome e per conto dei Cittadini....questi addetti avrebbero infatti dovuto essere i consiglieri di opposizione che, come abbiamo detto, avevano più di un motivo per evitare di interpretare quel ruolo appassionatamente...

Ora mi chiedo, tutto questo è passato.
Quei tre consiglieri ora sono assessori o presidenti del consiglio comunale.
L' Eco 4 non c'è più.
I tre signori in questione sono, a mio avviso, tre persone capaci e soprattutto delle brave persone.
Personalmente ho un debole per Mattia Di Lorenzo, probabilmente a Carinola uno dei talenti politici migliori degli ultimi venti anni (ci metto anche Gennaro Mannillo e Fausto Cerbarano, considerando Mimì Sciorio e Antonio Matano di un'altra generazione).

E' giovane e sa far molto bene. Sta vivendo una situazione che immagino sia molto tormentata.
Io ho capito cosa è successo (ho letto i capi di accusa), gli invio la mia solidarietà più totale e credo fermamente che ne uscirà a pieno titolo.

Le eventuali dimissioni di Mattia ora non avrebbbero alcuna efficacia. Ora invece deve dimostrare il suo talento e deve dimostrarlo soprattutto agli avversari politici come me (oddio...come avversario politico faccio pena....ma insomma).

Perchè è smentendo gli avversari politici che si serve bene la Cittadinanza.
Cittadinanza che credo possa tranquillamente stare vicino ad un suo figlio speciale, dalle grandi capacità politiche che presto potranno apportargli prestigio anche fuori delle nostre mura.

Cittadinanza che tuttavia la prossima volta non gli perdonerà nuove miserie politiche, come quelle avvenute durante le pagine buie del regno di FI e AN sull'Eco 4, che hanno visto "imprigionare" l'opposizione carinolese.

Lunga vita al Quiquiri e hasta la victoria siempre!

L'Olandese

giovedì 26 marzo 2009

I delfini


La mattina era iniziata così, come al solito,

sipario che si apre cigolando su vite insulse,

su Abitudini di Vita, su Vizi di Vita.

Meccanismi poco oliati che stridono nelle loro tristi guide.

Questa non è vita, ne è solo un surrogato, un succedaneo, una banale imitazione: un’Abitudine, appunto.

Si vive per ignavia, si vive per accidia, vivere per non affaticarsi a morire…

Ogni volta che i suoi occhi si aprivano, - appena fuori dal regno dei sogni, e prima ancora che razionalmente iniziava a cercare di carpirne brandelli - un pensiero gli si affacciava fisso alla mente: i Delfini.

E se fossimo delfini?

L’aveva spiegato a tutti ormai, a tutti quelli che gli capitavano a tiro, ed ognuno di questi, sempre rispettando in sua presenza la sua condizione di Don, - “Ma sì Don Ignazio è proprio come dicete vossia”, “Don Ignà vui site nu genio” - avevano iniziato a prenderlo per pazzo. Quella che più soffriva di tutte queste <<Fanciullerie>> - come era solita chiamare questa, e le innumerevoli altre stranezze del suo consorte – era Donna Cesira Trinchetta maritata Gussaldo.

    E chi se lo sarebbe aspettato?”, “un ottimo partito!” “un possidente!” “un uomo d’onore!

    A sentire le comare, - “Ah! Serpi malevole!”. In verità Don Ignazio Gussaldo, da celibe rappresentava il non-plus ultra del paesino di Rocca Pisticca: ricco, bello, alto, biondo. A quei tempi poi, tante storie non riuscivano a trapelare la pesante coltre di silenzio che la Baronessa madre aveva steso sugli “interessi” del figliolo. Cesira in un moto di rabbia velata da una lieve vergogna rammentava perfettamente perfino gli apprezzamenti delle più smaliziate, che parlavano anche di certe sue doti segrete; ad esempio si ricordava pari pari le parole di Filumena Liguri, - “A’Cesì, un foco, un foco!”. “Un foco sì, ma de paglia, de cerino, pronto ad accendersi veementemente per un nonnulla, per poi ancora più repentinamente placarsi”. <<Conigliuzzo mio>> aveva iniziato a chiamarlo, e dietro questo tenero vezzeggiativo si celava l’astio, l’insoddisfazione e l’invidia più nera.

Intanto il pensiero di Don Ignazio, come ogni mattina, proseguiva ponendosi domande e fermandosi alle spiegazioni, come un treno che pur facendo varie fermate minori, è diretto verso la sua meta, verso una grande stazione di città: Quel dì mai paragone fu più azzeccato di questo, ma procediamo con ordine.

Come dicevamo, i delfini devono ricordarsi di respirare, altrimenti ciccia.

Il cuore è diverso.

Si sa, il cuore va da sé, pompa e ripompa alacremente senza batter ciglio.

Bel tipo il cuore, ve lo raccomando; non ti fa un favore nemmeno se piangi in Turco, e soprattutto, non guarda in faccia a nessuno.

Tanto per rendere il personaggio, se ne fotte anche di Don Cervello. E dico solo questo.

Ora, tornando ai delfini; e se anche noi dovessimo ricordarci, - non dico del cuore, che sarebbe troppo complicato –, ma, ecco, se anche noi uomini dovessimo preoccuparci coscientemente di respirare?

Don Ignazio si astraeva ore ed ore, giornate intere, nelle sue elucubrazioni, e – corpo di mille alambicchi – nei suoi esperimenti. Perché lui, sì, lui Don Ignazio Gussaldo si riteneva un uomo di scienza con tutti i crismi, e quindi tutto ciò che teorizzava doveva sperimentarlo.

Quindi, anche ponendo il caso, di avere una capacità polmonare superiore all’attuale, in grado d’incamerare aria diciamo per un’ora d’autonomia, non ci si poteva fermare mica lì, si doveva provare con esperimenti la validità della tesi. Altrimenti sarebbe stato una pagliacciata, né più né meno delle ciarle delle vecchie e dei divertissment che tanto erano cari ai suoi insulsi figli, nati e cresciuti nella bambagia di una vita non vera, sprecando il giorno caracollando a cavallo e la notte dietro a merletti svolazzanti.

Gli esperimenti di Don Ignazio, da qualche mese a quella parte, approfittando anche della bella stagione, sussistevano in lunghe abluzioni nel piccolo golfo di mare racchiuso da una splendida caletta, proprietà dei Gussaldo fin da quando la torre normanna svettava sulla punta ovest del promontorio, a guardia di pirati saraceni che in realtà non erano mai arrivati. Anche la torre, come tutto lì attorno, era suo. Tutto ciò che occhio nudo riuscisse a vedere, ponendosi di spalle alla marina fino a 40.000 ettari nell’entroterra era roba dei Gussaldo, e se proprio non si riusciva ad abbracciare tutto con un solo sguardo, come si dice, “Carta Canta”.

Questi lunghi bagni avevano un che di particolare, di scientifico avrebbe rettificato Don Ignazio; non nuotava, non faceva il morto a galla, niente di tutto ciò. L’unico esercizio che ripeteva con una precisione cronometrica erano delle lunghe apnee. Un giorno un fittavolo passando di lì, in quella giornata assolata ma fresca, ammirava estasiato il mare piatto come una tavola, e si avvicinò alla riva, pensando bene di liberarsi anima e corpo di fronte a quello spettacolo di Dio. Senonchè, appena calatosi le braghe uno sbruffo di schiuma ruppe l’immobilità dell’acqua, e un mostro metà uomo e metà pesce ne uscì ansimando. Era sicuramente un Tritone, il Demonio in persona che se l’era venuto a prendere per colpa dei suoi “vizietti”. Gasparo, questo era il nome del fittavolo, s’inginocchiò tremante, non riuscendo a tenersi dentro quello per cui s’era calato i calzoni, e iniziò a biascicare tra le lacrime, delle suppliche. In quel momento il Tritone si mutò in Don Ignazio Gussaldo, che giunto a riva lo apostrofò “Bestia di un Gasparo, che piangi? Da dove giunge cotal puzzo nauseabondo? Ah sei tu!

Somaro di un bifolco, ti sei cagato addosso!! Nemmanco le fiere arrivano a questo stato di abbrutimento”.

Piuttosto, mentre ti dai una sciacquata a te ed alle tue braghe ti farò dono di un briciolo della mia scienza, e ti metterò a parte delle mie ultime scoperte.” Gasparo entrò in mare fino al ginocchio come se stesse entrando in un covo di serpi, e riluttante iniziò a lavar via il tanto vituperato prodotto del suo corpo.

Caro il mio Gasparo, sto lavorando a qualcosa di universale, qualcosa che sarà fondamentale nella vita di tutti, dell’intiero consorzio umano e per cui i posteri mi omaggeranno come un novello Leonardo. Macchè Leonardo! Il Vinciano non sarà niente al mio confronto.” Poi abbassando leggermente il tono della voce disse: “Sto lavorando sull’Aumento della Capacità Polmonare…Pensa che rivoluzione! ”.

Su…cosa, Padrone?” scappò detto a Gasparo, e quello fu un grosso errore.

Ma certo! Cosa vuoi che ne sappia tu di delfini, di capacità polmonare, di apnea, di scienza, tu, tu pensi solo a zappare, a mangiare, a fottere e sfornare figli come fossero pagnotte, e defecare; e manco quello pare che ti riesca bene, zotico. Ma voi, voi ignavi siete la rovina del mondo…ma del resto se siete stupidi non è del tutto colpa vostra…quello che cercavo di dirti è che ho trovato il metodo per Ingrandire i Polmoni”.

A questo punto Don Ignazio si aspettava un cenno d’assenso, un sorriso, un qualche gesto, e invece il povero Gasparo rimase lì con quella faccia sdentata da ebete senza proferir verbo, e senza che da quel ghigno scolpito dal sole trasparisse emozione alcuna.

Stizzito Ignazio si allontanò farneticando e da allora e per molti giorni si chiuse in un mutismo nervoso e tetro. Nemmeno la sua dolce Cesira riusciva a capirlo, a confortarlo: poteva il mondo essere solo questa ottusa palla di fango, sangue e dolore? Davvero era solo questo, o bisognava credere al paradiso della Chiesa “Non vi affannate in questa vita, chè la vera vita è ancora al di là da venire.” Sì e allora perché c’erano i principi della chiesa? Perché non facevano altro che chiedere soldi? Perché prima di unire sto scarcagnato pezzo di terra chiamata Italia, avevano dovuto combattere il Papa, che tuttora aveva un suo Stato e dettava sue leggi?

Ah lui no! Lui non si sarebbe fatto abbindolare.

E così mattina dopo mattina, la prima mezz’ora, appena sveglio pensava ai delfini, ai polmoni, all’aumento della capacità polmonare, ad una società ed una cultura parallele, fondate sulla necessità di respirare volontariamente. E fantasticava di città e popoli, di culture e società, di viaggi ed avventure.

Quella mattina ci stava pensando più del solito, era nervoso perché Cesira come al solito, per farlo alzare aveva iniziato a parlare della messa del mattutino, di com’era stato bello e commovente, con i frati gregoriani arrivati apposta dal convento di Sofferello a Monte per allietarli con i loro cori. E poi la chiesa addobbata di fiori bianchi per le prime comunioni , e poi….

“Basta Cesira.”, aveva detto lui, senza urlare, ed era rimasto come congelato nel gesto, con gli occhi corrucciati, il labbro inferiore pendulo e la mano destra fuori dalle coperte rivolta verso la moglie, aperta contro Cesira che continuava a ciarlare…

Don Ignazio Gussaldo ogni mattina che nasce pensa a i delfini,

ai polmoni, alla scienza, e a quello che ci può portare d’utile,

e proprio mentre pensava ai suoi amati delfini che saltavano liberi tra i flutti…

…proprio come un tuffo…

… gli si era fermato il cuore.

Nino Lo Gnomo

martedì 24 marzo 2009

Lettera aperta all’Assessore alla Cultura del Comune di Carinola



Oggetto: processo “ECO Quattro”. Spiegazioni.

Egregio Assessore, stamane ho appreso dai giornali la notizia del suo rinvio a giudizio, ed in qualità di cittadino del Comune anche da Lei Amministrato, e visto e considerato che l’atto al quale fa riferimento il termine rinvio a giudizio è il "decreto che dispone il giudizio" disciplinato dall'art. 429 cpp. Esso segna uno degli epiloghi dell'udienza preliminare e segna, per così dire, la fondatezza della ipotesi accusatoria formulato dal PM. 
Tale atto segna l'inizio del processo penale di merito avente ad oggetto l'accertamento del reato e la colpevolezza dell'imputato. Considerato altresì, che vi è certezza che “collaboratori della sua amministrazione” leggono quotidianamente il quiquiri, e che quindi sicuramente verrà informato di questa mia richiesta, le chiedo di inoltrare lettera alla redazione con chiarimenti al riguardo.

A voi lettori invece vi chiedo:

è il caso che l’Assessore si dimetta fino a che la situazione non sia chiarita?
Avere in giunta una persona indagata insieme a persone definite “camorriste”(come da elenco sotto indicato), non getta fango sul nome di Carinola?

SENTENZA IN SEDE DI RITO ABBREVIATO EMESSA DAL GUP DEL TRIBUNALE DI NAPOLI ENRICO CAMPOLI

D’Agostino Maria anni 3 mesi 2 (il PM aveva chiesto anni 6 di reclusione)
De Biasio Claudio Assolto
Diana Giuseppe anni 5 (il Pm aveva chiesto anni 12 di reclusione)
Filoso Vincenzo anni 1 mesi 11 (in continuazione su vecchia condanna) (il PM aveva chiesto anni 8 di reclusione)
Fragnoli Giuseppe anni 10 mesi 8
Fragnoli Giacomo anni 1 mesi 11 (in continuazione su vecchia condanna) (il PM aveva chiesto anni 8 di reclusione)
La Torre Augusto anni 4
Pignataro Aniello Anni 5 mesi 4
Orsi Sergio anni 3 mesi 2
Orsi Elsia Flora Assolta
Raio Ernesto Assolto
Romano Giovanni assolto
Sorrentino Gennaro anni 6 (il PM aveva chiesto anni 10 di reclusione)
Valente Giuseppe anni 5 mesi 4 (il PM aveva chiesto anni 14 di reclusione)
RINVIATI A GIUDIZIO UDIENZA 19.05.2009 II^C SMCV
ANDREOZZI SALVATORE-BUONOCORE PIETRO-CHIARI ELVIRA-CONTE UGO ALFREDO-D’AGOSTINO ANNA-D’AGOSTINO AMODIO-D’AGOSTINO PIETRO-DE FRANCESCO MASSIMO-DI LORENZO MATTIA-GNASSO DANIELA-LUCCI ANTONIETTA-MERCADANTE MARIA ROSARIA-ORABONA SALVATORE-NOIOSO MARIA ROSARIA-PACIFICO MICHELE-PANTALENA CARLO-PARRELLA VITTORIO-PONTICELLI LUIGI-ROMANO MASSIMO-ROMANO AGOSTINO-SCHIAVONE ALDO-TRAPANI GIOVANNI


Ing. Rompillo

lunedì 23 marzo 2009

I luoghi della memoria: Spinaruccoli

Il nome “Spinaruccoli” era quanto mai incomprensibile per me: non riuscivo a capire cosa significasse. Qualcuno mi disse, non ricordo se mio padre, mia nonna o chi, che si chiamava così a causa dei tanti rovi che vi crescevano. Non so se sia la spiegazione giusta, ma è l’unica che mi hanno dato.

Credo sia giusta, visto l’intricata selva di spinacci che ora vi regna.

Un tempo non era così. Da quel che io ricordo, non c’erano molti rovi in giro allora. C’era invece un sentiero molto battuto che, seguendo il ruscello, portava a Carinola e io stessa l’ho fatto più volte in compagnia di qualche adulto.

Quello che invece ricordo molto bene era la bella strada ombrosa per arrivarci, le alte pareti tufacee che racchiudevano e proteggevano quel luogo e il Malerba che scorreva chiacchierino e limpido.

Il ruscello c’è ancora… ed è ancora chiacchierino, ma non è più tanto limpido…

E ricordo il punto preciso dove le donne portavano al risciacquo i loro panni: sotto un intreccio di rami d’alberi ed edera che sembrava l’arcata di un ponte tanto era fitto e compatto.

Si era formata una specie di vasca naturale in cui affluiva molta acqua e dove le donne risciacquavano i panni. Qualcuna li lavava anche, portandosi dietro un pezzo di sapone fatto in casa che odorava gradevolmente di potassa. In quel caso c’era una regola ben precisa da rispettare: chi lavava, si doveva necessariamente mettere a valle di chi sciacquava che invece si piazzava  a monte per avere acqua sempre pulita.


Le donne arrivavano al ruscello portando ben in equilibrio sulla testa un cesto colmo di panni; lo depositavano per terra e poi si mettevano alla ricerca della pietra giusta da usare.

Le pietre erano già posizionate  lungo gli argini del ruscello, ma bisognava scegliere quella giusta per lo specifico compito a cui doveva assolvere.

Per il risciacquo, bastava una pietra qualsiasi, anche più piccola e liscia, ma per il lavaggio era indicata una pietra più grande e un po’ ruvida che permetteva di strofinare per bene i panni.

Sembra strano, ma quelle pietre non avevano una posizione fissa: le donne le spostavano continuamente, pur se con fatica, nel punto che ritenevano più adatto, anche a causa della portata d’acqua del momento.

Mentre le donne lavavano, sciacquavano e ciarlavano, noi bambini giocavamo nei paraggi: rincorrendo ranocchie, cercando di prendere girini o facendo mazzettini di fiori selvatici da mettere davanti alla Madonna della Spina o delle Erbaie, la piccola edicola situata lungo il sentiero.

Generazioni intere hanno frequentato quel luogo rigoglioso di vegetazione e, se ci penso, posso ancora percepire la magia semplice e verace che lo avvolgeva….

Oggi quel luogo, come io l’ho conosciuto, come tanti l’hanno conosciuto, non esiste più.

Ritornarci adesso è stato come cadere malamente dall’alto, in un burrone: mi sono fatta molto male. Le alte pareti tufacee che ancora circondano il luogo, lo hanno protetto da tutto, ma non dall’aggressione dell’uomo.

Spinaruccoli

Uno dei luoghi più belli, più suggestivi, più magici e più affascinanti del paese è ridotto ad una fogna! Una sporca, melmosa, putrida, puzzolente fogna!

Non ho il coraggio di dire altro. Una sola, breve considerazione: in niente siamo veramente bravi e capaci, se non nel distruggere ciò che di bello abbiamo.

G.



Spinaruccoli

Spinaruccoli

Spinaruccoli

Spinaruccoli
 

venerdì 20 marzo 2009

Caccia alle streghe


La Lega, pur di rimanere in vita, ha sempre saputo ideare particolari meccanismi di sopravvivenza.

Con molta scaltrezza, in base alle congiunture politiche del momento, ha dovuto decidere di volta in volta su quali temi politici e sociali improntare le proprie campagne.

Messe da parte le utopistiche aspirazioni indipendentiste che avevano accompagnato la sua nascita, si è aggrappata ad un progetto più fattibile: quello del federalismo fiscale sicuramente favorevole alle regioni del nord di cui ora si pone come paladina.

Il federalismo fiscale rimane ancora un’ incognita, ma intanto la Lega si è ricavata uno spazio molto ampio all’interno della coalizione guidata dal Berluska, proponendosi come il partito più sensibile alla domanda di sicurezza dei cittadini.

Cavalcando la tigre e facendo presa sulle paure dei cittadini, la Lega si è eretta a difesa dei cittadini italiani che si sentono minacciati continuamente dagli extracomunitari e che, nei confronti di questi ultimi, esprimono i loro sentimenti più cattivi e vendicativi, mandando a quel paese i buoni sentimenti solidaristici di cattolici.

Gli extracomunitari, ritenuti responsabili di tutto, sono diventati così le streghe dei nostri tempi contro cui si è aperta una malvagia quanto ridicola caccia a suon di ronde padane, che non si sa bene che ruolo abbiano se non quello di manifestare sentimenti xenofobi, peraltro ben alimentati dai leghisti.

Consapevoli che il Premier non può permettersi di perdere l’appoggio e i voti della Lega, i padani si sono dati molto da fare a progettare misure e provvedimenti che hanno un sapore assurdamente medievale.

Ed ecco nascere il loro pacchetto sicurezza il cui scopo, in realtà, non sembra tanto quello di preoccuparsi della sicurezza dei cittadini italiani, quanto quello di cacciar via lo ‘straniero invasore’ dal territorio nazionale. Le misure contenute in questo pacchetto sembrano rivolte soprattutto agli extracomunitari, ritenuti l’unica causa del malessere generale italiano.

Il pacchetto sicurezza messo insieme dai leghisti ha però fatto rivoltare lo stomaco persino ai componenti del Pdl e la Mussolini, oggi presidente della commissione bilaterale per l’infanzia, si è fatta portavoce di un centinaio di parlamentari che, partiti in carica, hanno chiesto al Berluska, a suon di lettera, di non porre la fiducia perché sul testo ci sono delle norme inaccettabili.

Oltre al permesso di soggiorno a pagamento, oltre alla multa dai 5 ai 10 mila euro per chi staziona illegalmente in Italia, la norma che ha fatto scattare la nausea è quella che prevede la denuncia di immigrati clandestini da parte di medici e funzionari pubblici, o da parte di insegnanti che hanno in classe figli di clandestini.

La ‘carica dei 101’ sembra aver fatto effetto e lo stesso Berluska ha capito che non è possibile concedere tutto ai suoi alleati che, consci di chiedere troppo, hanno ridimensionato la cosa dichiarando che non c’è l’obbligo da parte del medico di denunciare il clandestino, ma solo la facoltà di farlo.

Mi chiedo come la userà il medico questa facoltà… Forse assumerà il ruolo di ‘spia’ se potrà averne un utile tornaconto.

Intanto la caccia alle streghe si è aperta: ci porterà al rogo?

Nuvola Rossa

martedì 17 marzo 2009

Piccola storia del Convento di S. Francesco – parte II

Il secolo dell’amarezza


Trattando questa pagina soprattutto il periodo del decennio francese, è opportuno precisare, per i più pignoli che potrebbero incontrare nelle loro letture delle discrepanze, che le leggi napoleoniche sulla soppressione degli ordini mendicanti furono diverse e non una sola. Si parte dalla legge generale del 1806 a cui man mano si aggiunsero i vari Real Decreti per la soppressione dei vari Ordini: gesuiti, benedettini, domenicani e francescani. A questi si aggiunsero ulteriori specifici Real Decreti per la chiusura di specifici Conventi.

Ringrazio il dott. Antonio Taccone dell’Archivio di Stato di Caserta per la squisita disponibilità e i chiarimenti in materia.


*****
Il forte vento di modernità e di anticlericalismo, originatosi in seno alla rivoluzione francese, portato da Napoleone investì tutta l’Europa con la forza di un ciclone. Nel suo occhio venne a trovarsi tutta la Chiesa e in particolare gli ordini mendicanti, vittime dello spirito riformista francese a cui facevano molto comodo conventi e monasteri da destinare a usi diversi da quello religioso.


La Legge sulla soppressione degli ordini mendicanti francescani che si era delineata all’orizzonte come uno spauracchio, nel nostro Comune fu portata ad esecuzione nel 1813.


I frati più istruiti del Convento di S. Francesco avevano seguito attentamente le altalenanti vicende politiche europee e nazionali, sperando che quell’infausto Real Decreto del 7 Agosto 1809, che voleva soppresse tutte le famiglie religiose dell’Ordine Francescano, non facesse in tempo ad essere applicato.


E invece prima arrivò il Real Decreto del 13 Settembre 1810 che disponeva la chiusura del Convento e poi i soldati francesi che lo mettevano in esecuzione.


I soldati, resi ancora più aspri dalle drammatiche vicende politiche che si andavano delineando sempre più chiaramente, cacciarono via i pochi ricalcitranti frati rimasti e diedero alle fiamme ciò che poteva essere bruciato.


Fra’ Cherubino, fra’ Alberto, fra’ Fortunato, fra’ Alessandro, fra’ Giuseppe, frate Angelo, frate Antonio e fra’ Giovanni erano stati costretti a scegliere tra la secolarizzazione o l’inserimento in altre famiglie religiose non toccate dalla Legge e, quando le truppe francesi arrivarono, in Convento c’erano solo tre di loro.


Il Convento fu chiuso e chiuso fu l’Ospizio borbonico ai Carani di cui si occupavano i frati del Convento di S. Agostino di Sessa.
Le rendite del Convento, stimate 300 ducati annui e che comprendevano anche 4 moggia di terreno di I classe e 15 moggia di terreno di seconda classe, passarono “alla” Comune di Carinola.
A quale uso fosse destinato il Convento non si sa, probabilmente a carcere, data la sua struttura e la sua ubicazione isolata. Fatto sta che la scena politica cambiò velocemente quello stesso anno con la sconfitta di Napoleone a Lipsia nell’ottobre del 1813 e tutto rimase in una posizione di stallo.


Nessuno si occupò più del Convento per molti anni; non il Clero, preoccupato di mettere al sicuro le sue proprietà da altri eventuali attacchi e perdite; né “la” Comune di Carinola, impegnata a delineare ancora una volta il proprio assetto politico ed amministrativo; né il Re anche lui occupato a riorganizzare tutto il suo Regno.
Chiuso al culto, abbandonato per ben 28 anni all’inclemenza degli agenti atmosferici e all’incuria degli uomini, il Convento andava lentamente, ma inesorabilmente degradandosi. Sarebbe sicuramente andato perduto se non fosse intervenuto l’interesse e l’amore popolare che ne chiese a gran voce al re, Ferdinando II di Borbone, la riapertura.


Dopo anni di continue ed insistenti richieste, il re concesse la sospirata riapertura del Convento con il Real Decreto del 10 Giugno 1838, ma le rendite, ora ridotte a 13 ducati annui, furono assegnate alla povera Mensa Vescovile d’ Ischia.
Dopo la riapertura, ben 11 frati tornarono ad animare il Convento, poi divennero 18 e infine 9.


Per permettere la loro sopravvivenza, il Comune di Carinola si accollò la somma di 20 ducati annui da passare ai frati, a cui andavano aggiunti i 13 ducati da passare alla Mensa Vescovile d’Ischia.
La vita sembrava essere infine ritornata tra le mura dell’antico nostro Convento e la popolazione era molto soddisfatta della tranquillità apportata in paese dai frati. Ma era una tranquillità effimera, di breve durata. Un altro doloroso scoglio si stagliava all’orizzonte per il Convento: l’Unità d’Italia.
Clio


vedi documento : frati schedati




lunedì 16 marzo 2009

Le Vacche Sacre


Durante le ultime  festività natalizie mi sono recato al sud, ospite di un mio amico  conosciuto ai tempi del militare. Questi abita in un paesino alle falde di una piccola montagna, uno dei tanti  paesini del sud di poche centinaia di abitanti. 
Quasi ogni serata della mia permanenza in quei luoghi era  segnata dal suono della sirena di una autoambulanza. Io pensavo che in quei luoghi fossero molto cagionevoli di salute, invece mi spiegarono che erano vittime delle "vacche sacre". Al mio stupore, il mio amico mi spiegò che sono come  quelle che si trovano in India, animali che nessuno può toccare, che sono liberi di andare ovunque. Possono andare nei campi coltivati, negli orti delle case, perfino nei giardini e nelle strade investendo macchine e ferendone passeggeri. 
Se in India si comprende la loro sacralità perché si pensa appartengano ad una divinità, qui non si comprende il perché della sacralità di questi animali.  Chiunque ha provato a capire il perché non ci è riuscito, scontrandosi contro un muro di gomma istituzionale. La parola istituzione, che al sud vuol dire menefreghismo, tanto che gli fai ad un poliziotto, ad un carabiniere, ad un forestale, ad un vigile urbano e simili...  anche se scrivi al ministro degli interni, la lettera non gli sarà mai consegnata.
Il poveraccio che con sudore coltiva i propri campi oltre le tasse normali deve sopportare anche la tassa delle vacche sacre, sotto forma di pascolo obbligatorio. I più furbi hanno recintato i terreni con reticolati ma mani di ignoti li tagliano  per dare libero accesso ai bovini sacri. Oltre alle cosiddette forze dell’ordine si interessano al problema anche la provincia, i comuni e l’azienda sanitaria nonchè la procura della repubblica, tutti insieme sono un esercito che invece di difendere i cittadini vagano negli uffici aspettando che finisca l’orario di lavoro studiando il da farsi... misteri del sud Italia. 
Tutti sanno chi è il proprietario di quegli animali, anche perché in tutta la zona c’è un solo allevatore, eppure per le istituzioni è una indagine difficilissima. Uno degli ultimi giorni della mia permanenza il mio amico arrivò tutto entusiasta a darmi la notizia che le istituzioni con una seduta decisiva avevano trovato la soluzione al problema delle vacche vaganti.  Mi riferì che questi esimii funzionari avevano messo dei cartelli lungo le strade che avvisavano della presenza delle vacche sacre e i cittadini dovevano circolare a passo d’uomo per non investirle, pena pesanti multe. La mia incredulità dovette ricredersi quando fui accompagnato sulla strada provinciale a vedere gli incredibili cartelli che numerosi campeggiavano sul bordo della strada. Un qualunque delinquentuccio, per l’ignavia e la connivenza  delle istituzioni, sottometteva tutta la  popolazione  della zona al proprio volere. Queste stesse persone fanno convegni sulla legalità nelle scuole ed in ogni dove - che ipocriti - questo sud non si eleverà mai e resterà  per sempre schiavo della inettitudine e dell’illegalità, avvalorando le tesi di Bossi che lo vuole isolare per evitare il contagio del resto d’Italia.

Un Italiano schifato

domenica 15 marzo 2009

Grazie Papa

Il 15 Maggio il Papa andrà in visita ufficiale nel paese i cui soldati sparano sugli agricoltori inermi, come potete vedere da questo video.
Le immagini si commentano da sole

Buona Domenica






fonte: www.terrasantalibera.org

sabato 14 marzo 2009

Quel gran signore….


Quel gran signore che sta al Governo continua incessante la sua avanzata verso l’occupazione di tutte le istituzioni italiane per avere il controllo su tutto, per asservire tutti a se stesso e ai suoi criminosi desideri.
C’è una cosa che non riuscirà ad asservire perché troppo potente anche per lui: la Rete.
Ci sta provando in tutti i modi circondandosi di schiavetti che per lui stanno cercando di approntare dei disegni legge per limitare la libertà in Rete: D’Alia, Nino Strano, persino Luca Barbareschi e Gabriella Carlucci. Ma non ci riuscirà.
Con i loro tentativi di arginare la libertà di espressione e di informazione presenti in Rete attraverso le varie leggine che cercano di preparare, riescono solo a sembrare dei patetici scarabei che tentano di espugnare la Muraglia Cinese.
Laddove giornali stampati e televisioni hanno perso la loro obiettiva capacità di informazione perché controllati da partiti e organi di Stato, la Rete è l’arma che aiuterà a combattere i corrotti e i corruttori.
Le pagine del web e i video continueranno a raccontare le loro sporche storie fatte di compromessi, di illegalità, di porcate varie che potranno fare il giro del mondo in men che non si dica.
Oggi la liberta è sul web. La democrazia è sul web. Tutti i comportamenti posso essere resi pubblici, quelli responsabili e quelli irresponsabili e coloro che cercano di arginare questo fiume in piena, saranno travolti e spazzati via come fuscelli.
E’ solo questione di tempo, ma quel gran signore e i suoi schiavi saranno distrutti e archiviati da una miriade di uomini liberi che distruggeranno, sul web, la sua falsa immagine costruita a tavolino e che ha effetto solo sui dinosauri della politica.
Diffondiamo le informazioni sul web. Diffondiamo la libertà.

Il Che

giovedì 12 marzo 2009

Piccola storia del Convento di San Francesco - parte I

Convento San Francesco



sua fondazione

In una trilogia di articoli si tratterà la storia del nostro Convento di San Francesco per far sì che tutti possano conoscere l’incresciosa epopea che lo ha visto protagonista e che si è protratta fino ai nostri giorni. Sicuramente conoscere queste informazioni ci aiuterà ad amarlo e rispettarlo di più.

Se qualcuno avesse altri documenti o fosse a conoscenza di altre notizie e vuole contribuire all’ampliamento di questa pagina, può farlo sapere attraverso questo blog indirizzando un messaggio a: Clio@ilquiquiri.com

*****

Luca Wadding (Waterford, Irlanda 1588 - Roma 1657) frate, teologo e storico francescano, nell’opera Annales Ordinis Minorum ci informa che il Convento di Casanova di Carinola era già attivo nel 1300. Non lo dice solo lui; lo dicono anche Bartolomeo da Pisa nella sua Lista sui Conventi Francescani, Mariano da Firenze e Francesco Gonzaga, studiosi di degnissima credibilità.

La fondazione del nostro Convento risale infatti al 1222, anno in cui San Francesco intraprese un viaggio nell’Italia meridionale per visitare i suoi frati che colà già operavano fin dal 1216 e per recarsi probabilmente al Santuario di San Michele Arcangelo, sul Gargano, di cui era devotissimo.

A Carinola ricevette in dono un luogo per i suoi frati e lui stesso ne edificò le mura perimetrali per un cimitero. Il luogo fu originariamente dedicato a San Giovanni Battista; solo alla morte del Santo fu intitolato a lui.

Le notizie tramandateci dallo storico carinolese, il notaio Luca Menna, secondo cui San Francesco

rimase a Casanova sette anni, non possono assolutamente essere veritiere poiché, dai documenti della vita del Santo, egli appare essere in ben altri luoghi nel periodo in cui si presume fosse a Casanova. Tuttavia non è da escludere una sua permanenza abbastanza lunga in zona, e questo spiegherebbe non solo la presenza della grotta, interamente scolpita in un blocco di pietra, in cui il Santo pregava, ma anche il forte affermarsi dello spirito francescano a Casanova. Tenendo anche conto che, in quegli ultimi anni della sua vita – morirà due anni dopo, il 4 ottobre 1226 - le condizioni di salute del Santo non erano affatto buone, è possibilissimo che sia stato costretto a fermarsi qualche mese.

I miracoli operati da San Francesco nel nostro Comune appartengono alla tradizione orale e religiosa; interessandoci di storia, sono i documenti e gli studi che parlano.

E gli studi dicono che nel 1347 ca., nel nostro Convento fu confinato Guglielmo da Occam (o Ockham), il frate filosofo e dissidente dell’Ordine, inviso al Papa Giovanni XXII a causa delle sue posizioni dottrinarie, e che ebbe una parte di primo piano nelle controversie dell’Ordine con gli Spirituali e gli Zelanti. Riabilitato dal Papa Clemente VI, Guglielmo fu spedito dal Generale dell’Ordine, anche lui Guglielmo ma Farinier di cognome, a fare aspra penitenza in questo nostro sperduto Convento dove morì tra il 1349-50 e dove fu sepolto. Il suo corpo fu solo in seguito portato a Capua, nella Chiesa dei Conventuali.

Le notizie circa una sua presunta morte e sepoltura in Germania sono tutte da comprovare.

Nel 1459 il nostro Convento fu visitato da San Bernardino da Siena di ritorno da Roccamonfina, dove si era recato in visita alla Madonna dei Lattani, e nel 1475 da S. Giacomo della Marca, il quale

venne a Carinola per guarire il re Ferdinando I d’Aragona, venuto a caccia e ammalatosi gravemente.

Nel corso dei secoli, il Convento ha subìto diversi interventi di ampliamento e ristrutturazione, a cominciare dal chiostro (1400 ca.), per finire a parti più recenti ad opera del Principe di Stigliano (1500 ca) e del popolo carinolese, nonché alle ristrutturazioni intraprese da p. Cristofaro Bovenzi negli anni 60-70 e che l’hanno proiettato verso la definitiva salvezza dopo decenni di incuria.

Ma come vivevano i frati in questo sperduto Convento?

A parte la questa quotidiana che è peculiarità di un ordine mendicante, i frati avevano altre piccole forme di reddito.

I nobili dei secoli passati, stabilivano nel Convento le loro tombe e le loro Cappelle gentilizie dove venivano celebrate messe in suffragio dei defunti della famiglia, dietro corresponsione ai frati di una somma annua per i loro servizi

Da documenti d’archivio risulta che il Duca di Casanova, Bernardo di Lorenzo, nobile sessano investito a tal ruolo dai Marzano (presumibilmente prima del 1469), fece costruire la bella Cappella in tufo grigio, dedicata a S. Maria delle Grazie, tuttora visibile alla sinistra della navata centrale, e corrispondeva ai frati 20 ducati annui.

Altre eventuali rendite, probabilmente in natura, provenivano dall’affitto delle 4 moggia di terreno di I classe e 15 moggia di II classe di cui il Convento era in possesso. Non sappiamo ancora quando questi terreni divennero possedimenti del Convento, sappiamo però quando gli furono tolti.

Il Convento fu abitato costantemente da una notevole comunità di Frati Minori Osservanti fino al 1813, anno in cui Gioacchino Murat rese esecutiva la Legge sulla soppressione degli ordini mendicanti francescani.

Con la cacciata dei frati, inizia la lunga e amara vicenda di questo Convento che solo l’amore e l’interessamento di tanti ha restituito alla venerazione dei fedeli.

Clio

Fonti: vedi bibliografia




lunedì 9 marzo 2009

Oasi naturalistica" Bassolino" (ex "Lago di Falciano")





E’ ormai pronto il protocollo di intesa tra il comune di Falciano del Massico e la Regione Campania per la nuova denominazione del lago di Falciano, già lago di Carinola. Sembra che la nuova denominazione sia dedicata al finanziatore e maggiore ispiratore dell’oasi e cioè Bassolino. L’oasi è ormai pronta per l’inaugurazione e sarà la prima nel mondo a rappresentare le bellezze moderne della Campania, ormai note a tutta l’umanità.

In anteprima, accompagnati dal direttore dell’oasi naturalistica abbiamo visitato il sito. Il direttore è amico intimo di Bassolino, da cui ha avuto la nomina per i suoi alti meriti scientifici ed accademici, per i quali è stato munificamente finanziato in questi anni.


Lago di Falciano


Avviandoci verso il lago, abbiamo percorso la bellissima strada di accesso, costruita in rigoroso stile Iervolino. Questo stile inconfondibile, altamente artistico, realizzato in tutte le strade del Vomero, consiste nel realizzare lungo tutto il tratto stradale buche di varie dimensioni, alcune profondissime in cui ci si può anche nascondere con tutta la macchina. Ai fianchi, marciapiedi larghissimi per pochi metri che finiscono in un fosso. Ogni fondo rustico, e sono tantissimi, è servito da un ponte di accesso di dimensioni e prezzo enorme, dimensionati per l’accesso ai TIR.


Lago di FalcianoLago di Falciano


Giunti al lago, siamo subito colpiti dagli eucalipti, semi bruciati ad arte, che fanno bella mostra in mezzo ai frutteti ed ai pioppeti rigogliosi del posto. Sotto ogni albero notiamo le prime bellezze, cumuli di bottiglie di plastica e vetro e variopinte buste di plastica con contenuto volutamente celato, che ci vengono orgogliosamente mostrate dal direttore.


Lago di FalcianoLago di Falciano



Giunti vicino all’acqua abbiamo potuto ammirare il suo bellissimo colore blu scuro, frutto della felice combinazione di acqua di fogna e melma. Iniziando il giro in senso orario ci ha mostrato le cannucce invecchiate, tra cui beccheggiavano bottiglie di plastica di vari colori che sembravano giocare nell’acqua. Mentre camminavamo, ci spiegava che immergendosi si potevano ammirare, ferme nella melma rosata del fondo, migliaia di bottiglie di varie dimensioni, anche damigiane, bidoni, pezzi di auto, batterie di macchine e, quando il livello dell'acqua lo permette, si intravede il tetto di un intero camion, forse pieno di bidoni di materiale pericoloso. Il direttore si è detto sicuro che sarà in futuro l'attrattiva principale dell'oasi. Tutto l’insieme forma un bellissimo paesaggio che ricorda la periferia di Napoli.


Lago di Falciano Lago di Falciano Lago di Falciano Lago di Falciano


Continuando siamo arrivati alla spiaggetta, denominata “mappatella beach”, in onore di quella di via Caracciolo, e come quella ornata di ogni genere di rifiuti di vario colore. Si continua arrivando all’emissario del lago denominato “Regio Lagno Minor” perché pieno degli stessi reperti che si possono ammirare nei Regi Lagni.


Lago di FalcianoLago di Falciano


Tornati sui nostri passi, girando in senso antiorario siamo giunti al “Ponte dei Sospiri” da cui si può ammirare una bellissima acqua giallastra che sembra si ottenga da una formula segreta realizzata in una vicina azienda bufalina. E’ stato denominato Ponte dei sospiri perché di là si sospira pensando a quando l’acqua non aveva la bellissima colorazione attuale.


Lago di Falciano Lago di Falciano Lago di Falciano Lago di Falciano


Continuando, si notano sulla destra dei bellissimi e notevoli cumuli di rifiuti che ricordano le principali città della Campania, su tutti campeggia da un albero una bellissima tabella con la denominazione dell’oasi.


Lago di Falciano


Continuando nel giro il direttore, sempre vantando la bellezza delle bottiglie che ci fanno l’occhiolino tra le cannucce, sulla destra ci mostra una vera opera d’arte unica, un cancello realizzato con una rete di letto matrimoniale, vanto di un artista locale. Più avanti ci fa notare la creazione più bella che si trova nell’oasi , una lunga parete di lamiere che ricorda i campi rom dell’ hinterland napoletano. Mentre torniamo all’auto, ancora con gli occhi estasiati dalle tante bellezze che avevamo ammirato, il direttore ci ha mostrato delle grosse pantegane che numerose giocavano sulla sponda. Ci ha spiegato, con giustificato orgoglio, che erano state catturate alla foce della fognatura che dà nel porto di Napoli e immesse nel lago come attrazione faunistica. Ha confessato che per le loro dimensioni parecchi visitatori le scambiano per lontre, senza sapere che queste non sarebbero in grado di vivere in un posto così particolare.


Finita la visita, ci siamo complimentati per la bellissima e geniale idea e siamo sicuri che appena sarà pubblicizzata l’ oasi sarà meta di migliaia e migliaia di visitatori oltre che interesse delle televisioni di tutto il mondo.
I Falcianesi e tutti gli abitanti del circondario, che sicuramente ne avranno immensi benefici, nutriranno eterna gratitudine nei riguardi del responsabile del’oasi e dell’associazione ambientalista che con lui collabora, e giustamente del loro sponsor, Bassolino.


contrAmbientalista


Per la galleria completa clicca QUI





domenica 8 marzo 2009

8 Marzo – Festa della Donna

 Festa della Mamma..del Papà…dei Nonni…degli Innamorati…e tante altre di cui ho perso il conto. Non sono informato se già esiste il giorno dedicato ai Suoceri…ai Cognati…ai Fratelli …ai Debitori perché si decidano a ripianare i debiti o ai Creditori perché rinuncino ad incassare…, ma non disperiamo, qualcuno provvederà ad istituirlo presto.

Quante ricorrenze…e tutte per rendere omaggio e ringraziare chi ci sta vicino. Dovremmo essere grati verso l’Illuminato che ha pensato a suggerirci che era nostro “dovere”, in quel giorno fatidico di cui ha anche fornito la data, precipitarci a comprare qualcosa che potesse dimostrare il nostro affetto verso il festeggiato. Non importa cosa…più pagheremo e più grande sarà il nostro amore. San Valentino è appena dietro l’angolo e molti di noi, se non tutti, abbiamo compiuto il nostro dovere di bravi cittadini, ingabbiati nella spirale di un consumismo che non conosce pause.

Tra poco scoccherà la ricorrenza più eclatante: La Festa delle Donne.

Dedicata alle Donne…tutte le donne, sia che vivano nel nostro ricco occidente che in sperduti villaggi, immersi nella foresta…. anche se quest’ultime non sono state informate che dovrebbero essere felici ed essere festeggiate.

E’ questa l’unica ricorrenza per la quale ha senso una data: 8 Marzo…e per la precisione 8 Marzo 1908, data in cui, a New York, 129 operaie perirono in uno stabilimento tessile, dove era in corso uno sciopero per protestare contro le condizioni di lavoro. Dopo aver chiuso le porte dello stabilimento, fu appiccato il fuoco e tutte le operaie all’interno furono arse vive.

Questa data venne in seguito proposta da Rosa Luxemburg in ricordo della tragedia e divenne il simbolo delle vessazioni che la donna ha subito nel corso dei secoli, ma anche il punto di partenza per il loro riscatto.

Oggi, tutti i Paesi del mondo lo celebrano, a seconda della loro posizione geografica e cultura, ma vorrei soffermarmi sul come si vive in Europa e, in particolare, nel nostro Paese.
Agli inizi del secolo scorso e fino agli anni 70, questo giorno era veramente dedicato alle Donne: manifestazioni di piazza…cortei….riunioni pubbliche, ma anche nel chiuso delle case. Insomma, la Donna era veramente ricordata. Si discuteva delle lotte da portare avanti per il raggiungimento della parità con gli uomini, sia nella vita sociale che lavorativa. Si proponevano nuove leggi in loro difesa. Ricordate i cortei per la libertà sul diritto all’aborto? Le manifestazioni per il diritto al divorzio? Le proposte (regolarmente messe nei cassetti in attesa) sulla parità di retribuzione?

Tutto questo era portato avanti da loro: le Donne…ed erano pochi gli uomini politici che appoggiavano le loro richieste. Donne…soltanto donne. Con le loro lotte riuscirono a raggiungere dei successi…ma quanta fatica e quante umiliazioni. Sento ancora salire dentro me l’indignazione provata, per un processo intentato per stupro da una di queste coraggiose donne, nell’ascoltare l’arringa di un avvocato della difesa: la “parte lesa” portava i jeans e quindi era particolarmente difficile usarle violenza se lei non era accondiscendente. Ci fu un sollevamento da parte del popolo femminile…un po’ meno da quello maschile.

Che vergogna!

E poi…come non ricordare l’impegno del nascente Movimento Femminista? Disprezzato, deriso, oltraggiato e non solo dagli uomini, ma, e questa è la parte più dolorosa, dalle stesse donne. In quel periodo non esisteva ancora la legge sull’aborto e coloro che decidevano in questo senso, dovevano farlo in clandestinità, affidandosi, il più delle volte, a mani inesperte o, quantomeno, a subire l’intervento in ambienti non idonei. Poche potevano rivolgersi a cliniche private compiacenti. Pensiamo un attimo a queste donne….alla sofferenza nel prendere questa terribile decisione.

E chi c’era vicino a queste donne e ragazze in quel momento? Nella maggior parte dei casi c’erano loro: le vituperate femministe. Erano loro vicino al lettino a tenerle la mano. Erano loro a dare qualche parola di conforto e, sempre loro, ad aiutarle a superare quei terribili momenti.

Non voglio, con questo, spezzare una lancia in favore dell’aborto…ognuno è libero di pensare secondo coscienza. Ma, prima di giudicare, bisognerebbe conoscere le motivazioni che portano a questa decisione non facile e che lascerà per sempre una cicatrice dentro.

Siamo nel secondo millennio e molte cose sono cambiate da quegli anni, ma non illudiamoci che tutto sia risolto. La violenza contro le donne esiste ancora e tutti i giorni ne veniamo a conoscenza. Abbiamo parlato degli stupri, commessi nelle nostre città in qualsiasi ora del giorno e della notte. Ma esiste anche un’altra forma di violenza, ancora più terribile. Quella commessa entro le mura domestiche e della quale, salvo rare eccezioni o quando essa sfocia in omicidio, ben poco si parla. Quante donne (e bambini) sono picchiate o violentate entro casa?  Tantissime, ma esiste, purtroppo, una forma di “vergogna” che vieta loro di denunciare questi abusi per varie ragioni, a causa delle conseguenze che ne deriverebbero.

8 Marzo….festa della Donna.

Nel corso degli anni, lentamente, è cambiato il modo di ricordare questa ricorrenza, fino ad arrivare ai nostri giorni, per accorgerci che si è perduto il vero significato di questa festa, trasformata in puro consumismo

Mi rivolgo a voi Donne…quante di voi ricordano l’episodio iniziale che ha portato a ricordare questo giorno? Quante ricordano le lotte intraprese da voi, dalle vostre mamme e nonne per raggiungere certi obiettivi? Quante hanno ancora negli occhi e nella mente il dolore dipinto sul volto di quelle poche e coraggiose donne che trovavano il coraggio di denunciare uno stupro?

Dimenticato?

Già….oggi non è più di “moda” ricordare certi episodi. Meglio una pizza con le amiche. E la pizza sarebbe ancora passabile se, anche per pochi secondi, si volgesse il pensiero alle tante, troppe donne che, in molte parti del mondo, soffrono e mancano di tutto.

Troppo triste vero? Certo, meglio delegare ai nostri rappresentanti queste “fastidiose” incombenze.

Non parliamo poi di un altro modo per “festeggiare” copiato dai maschietti, in nome della “parità” raggiunta: lo spogliarello maschile.. Immagino che non esista sistema migliore per ricordare quelle povere sventurate morte in un rogo o per volgere un pensiero alle tante donne “schiacciate” in certi Paesi, dall’arroganza e brutalità dell’uomo!

Ma le prime sono oramai morte…e le seconde sono tanto lontane….pensiamo a divertirci…la vita è già abbastanza complicata!

8 Marzo….festa della Donna

Faccio le mie scuse alle lettrici che si sentissero offese da quanto ho scritto, perché sono cosciente che alcuni vostri atteggiamenti verso questa ricorrenza, sono anche frutto dai cattivi esempi che noi uomini proponiamo. Ma sta alla vostra intelligenza il saper scindere ciò che è bene da ciò che non è. E voi lo siete intelligenti, più di noi.

Non vi dico di passare questo giorno confinate tra le pareti domestiche a discutere sulla situazione della donna nel mondo oppure a trovare soluzioni perché il mondo sia un po’ più giusto verso chi nulla possiede.

Però qualcosa potete fare. Quando vi troverete con le amiche davanti alla rituale pizza (non parlo dello spogliarello perché mi auguro che nessuna di voi abbia quest’idea malsana), osservate un minuto di silenzio e lasciate che i vostri pensieri vadano a tutte quelle donne che ancora vivono in condizioni miserabili, che ancora non conoscono o non possono usufruire dei diritti a loro spettanti.

Un pensiero non risolverà nulla, ma almeno vi avrà dato modo di tornare indietro nel tempo….a quel tempo in cui anche da noi le donne si trovavano in queste condizioni.

E parlatene. Non dovete permettere che questa data sia soltanto un semplice rituale legato al mazzetto di mimosa.

E’ sacra!

È stata scritta col sangue e con il dolore d’altre donne….prima di voi.

Auguri
Albino

sabato 7 marzo 2009

Qui habet aures

L’idea della morte e della sofferenza è stata , in qualche modo, rimossa nel nostro emisfero ad alto sviluppo industriale e questo perché le conquiste della scienza e della medicina hanno portato ad un considerevole aumento delle aspettative di vita.

A tale rimozione certamente contribuisce l’immagine di un “uomo” e di una “donna” moderni, così come ce li presenta l’ideologia dominante: belli, affascinanti, vincenti. Pieni di vigore fisico.

Sempre secondo l’ideologia dominante, questi uomini e queste donne hanno diritto ad un tenore di vita assolutamente favoloso, fatto di ricchezza, spensieratezza, allegria, divertimento a tutti i costi. Questi “status” alla fine assurgono a ruolo di “valori”.

Le nuove generazioni, come spugne, assorbono questi “valori” relegandone qualsiasi altro in un angolino buio della loro mente. Vivono male se non riescono ad emulare, anche in minima parte, questi modelli subdolamente falsificati e che i media distribuiscono a larghe mani.

Parola d’ordine per tutti: divertirsi, divertirsi, divertirsi.

La malattia, la morte altrui, vengono confinati in una posizione abbastanza marginale. Qualcosa a cui non pensare assolutamente. Qualcosa che non ci riguarda.

La morte e soprattutto la sofferenza dell’altro, pur se giovane, non è mai un evento contemplato e contemplabile nel proprio specifico effimero universo. E’ preferibile ignorarle. Si deve ignorarle!

Queste considerazioni mi riportano inconsapevolmente alle reminiscenze filosofiche di Kierkegaard: per il filosofo danese la morte è un’esperienza del singolo. Essa riguarda il singolo e soltanto il singolo e non è concettualizzabile.

Per Kierkegaard, l’ineluttabilità della morte e l’inconoscibilità del momento in cui essa giungerà fa sì che il suo pensiero debba essere sempre presente in noi, in qualsiasi cosa facciamo.

Ma riguarda noi, singolo.…E l’altro? Chi è l’altro?

L’altro è colui che c’è

Heidegger, nella sua filosofia, chiama l’uomo “Esserci”.  Per il filosofo tedesco, l’esistenza non è solo utilizzare le cose del mondo che ci occorrono, usandole e manipolandole, ma è anche apertura tra l’uomo e gli altri “Esserci”.

Quando ho letto la filosofia di Heidegger, un po’ difficile da assimilare, sono rimasto un po’ spiazzato da questo modo strano di  chiamare l’uomo. Poi ho capito.

Per capire l’ “Esserci” bisogna capire e osservare l’esistenza. In  essa si muovono gli uomini. In essa condividono, linguaggi, esperienze. Essi “ci sono”, esistono: col loro sentire, col loro dolore, la loro sofferenza, la loro totalità di esperienze belle o brutte.

Ignorarli è semplicemente rinnegare se stessi.

Uno

La conoscenza aiuta il ricordo

Nel raccontare un avvenimento , abitualmente , si usa partire dall’inizio , ma, in questo caso, partirò dalla conclusione per meglio far capire che cosa mi ha indotta a scrivere questo post.
Tutto è scaturito da una frase detta dal Vescovo di Sessa Aurunca, Monsignor Antonio Napoletano, in chiusura della III giornata Diocesana di studi storici , in cui si ricordava, tra gli altri, la figura di Padre Michele Piccirillo: “ Padre Michele amava in modo particolare due monti , il monte Nebo e il Monte Massico”
Questa frase ha svelato una verità a me sconosciuta. Mi era nota la passione di P.. Michele per il monte Nebo e la Terra Santa , ma poco sapevo del suo amore e interesse per l’umile grotta di San Martino sul monte Massico , che molti di noi conoscono.
Ho sempre ritenuto, con un certo rammarico , che P. Michele fosse interessato soltanto al Medio Oriente e che noi tutti avessimo perso , ormai da tempo, questa bellissima figura di studioso e ricercatore.
Con mia grande gioia ho potuto ricredermi. P. Michele non aveva dimenticato i suoi luoghi di origine , il suo paese , i suoi monti e, anche se da un Paese lontano, continuava a prestare la massima attenzione a ciò che qui accadeva.. A riprova di ciò, qualche giorno prima di morire , come ha riferito l’archeologo dott. Michele Raddi , si raccomandò che fosse prestata la massima attenzione alla grotta di San Martino ed agli affreschi in essa contenuti che, come spiegato in modo esauriente dalla Dott.ssa Alessandra Acconci e dal Dott. Ugo Zannini, versano in uno stato di profondo degrado, essendo esposti al vandalismo dei visitatori nonché alla mancanza di adeguata protezione.
La mia conoscenza del nostro illustre concittadino si è ulteriormente arricchita nell'ascoltare la presentazione fatta dalla Dot.ssa Benedetta Steri collaboratrice di P. Michele in Terra Santa , la quale ha approfondito in modo molto esauriente la personalità del frate francescano , anche attraverso una raccolta di fotografie che mostravano momenti significativi di quegli anni trascorsi in Terra Santa.
Ho condiviso la sua emozione nel vedere Michele sorridere , mentre gioca a pallone con i ragazzi. o quando scherza con gli allievi e collaboratori. Michele che s'intrattiene con i beduini e che, sempre con la stessa cordialità, s'incontra con la regina Noor di Giordania. Michele che fa da guida al Papa oppure Michele instancabile lavoratore.
Michele che, senza mai risparmiarsi, realizza opere che rimarranno patrimonio archeologico per tutti.
Ma, soprattutto , Michele uomo portatore di pace, in grado di lavorare con tutti , con discrezione e con rispetto verso qualsiasi cultura e religione.
Rimarrà sempre nei nostri cuori la risposta a una domanda che gli era stata posta: "Da che parte stai?" e Lui: "Dalla parte dell'Uomo"

giovedì 5 marzo 2009

I 10/60 sono passati....ma come?



Ormai dopo circa un anno dalle elezioni e inutile e' superfluo continuare con i paragoni con l'ex amministrazione, e sarebbe piu utile e necessario guardare al futuro, e finirla col nascondersi dietro al passato.
In questi 10 mesi di amministrazione si è badato molto ad effettuare una politica di "facciata", con numerosi convegni politici, numerosi annunci, ma di concreto cosa c'e' stato?
In questi 10 mesi quasi quotidianamente leggo articoli di giornali che riportano annunci da parte degli amministratori che si sta procedendo per fare.....ma poi siamo sicuri che si faccia davvero?
Potremmo parlare dei "cimiteri", di "via Grella", del "P.u.c.", etc. etc.
Eppure questa amministrazione conta anche dell'appoggio di numerosi esponenti politici provinciali Di Lorenzo con Landolfi, Mannillo con Oliviero, Del Prete con Grimaldi, Russo con Sagliocco, tutte conoscenze che a mio avviso potrebbero essere sfruttate meglio per velocizzare la burocrazia e perchè no, poter accedere a fondi europei e/o regionali, per poter realizzare opere necessarie per lo sviluppo del territorio, a tal proposito De Risi annunciò la "cittadella scolastica", a che punto sta?
Vedete, a mio modesto avviso, prorpio in questi momenti di staticità e di crisi, si dovrebbero incalzare coloro i quali "possono fare", è in questi momenti che bisogna far capire a chi ci amministra che non si vive di convegni, fargli capire che "ci vogliono i maccheroni e non le canzoni per riempire la pancia"!!!!

Ing. Rompillo

martedì 3 marzo 2009

Più ci speri e più non succede.




“Cosa c’è?” chiese con fare distratto, come se non volesse saperlo davvero, ma volesse solo riempire un imbarazzante silenzio. Alzando lo sguardo la vide in una penombra di Murnau e gli sembrò interessante, ma non era interessante, non lo era più.

“Sei preoccupato?”

“Si” disse “non credo che Christian manderà i soldi “

“i soldi, i soldi, sembra che non bastino mai e tu poi sembri così venale a volte”

“che vuoi dire?”

“Lascia stare”

“no, sul serio, voglio saperlo”

“è che certe volte sembri infelice solo quando non ne hai.”

Restarono entrambi in silenzio per qualche secondo, come se lei gli avesse fatto una confessione che non si attendeva, aveva detto certe volte, come se volesse evitare di dire sempre, quasi che cercasse di rendergli il boccone meno amaro.

“E’ chiaro che non sai di che parli” la liquidò, ormai era quasi seccato e avrebbe preferito restare da solo, ma non le disse di andarsene perché in fondo gli faceva ancora un po’ paura restare da solo, per via di tutta la malinconia che gli procurava.

“E poi” disse lei “potresti sempre provare a scrivere qualcosa di sconcio, come fanno tutti.”

Era vero, aveva sentito che diversi scrittori si guadagnavano la vita così, che c’era un tale, che si chiamava Girodias che pagava anche abbastanza bene. Aveva in bocca un gusto ferruginoso che gli saliva dallo stomaco, restò un istante ad assaporarlo, sembrava stesse davvero valutando quello che Marie le aveva detto, ma non era vero. Marie si mise a sedere sulla sedia vicino alla scrivania, c’erano dei fogli sparsi, ma tutto sembrava ormai privo d’interesse, come se non ci fosse niente da fare sul serio, e come se da nessuna parte in quella stanza fosse possibile spremere denaro. Era un uomo sconfitto, o almeno così sembrava a Marie, lei che una volta gli aveva persino visto vincere un incontro importante e lo aveva visto ridere. Era cresciuta nel mito hemingwayano e si era fatta l’idea che un uomo dovesse sempre trovare il modo di farsi valere e di resuscitare con un colpo di frusta, darsi una scrollata e rimettersi in sesto. Quando ne avevano parlato, nel caffè algerino, lui non le aveva dato retta, limitandosi a smontarla.

“A volte ho solo voglia di tornare in Germania” disse lui scuotendo il capo da sinistra a destra.

“Credo sia ora di andare” disse lei, lui non disse niente e anche se avrebbe voluto che lo abbracciasse e lo salvasse dalla sua solitudine, non disse niente e lasciò ancora una volta che una cosa voluta scomparisse dai suoi desideri schiacciandola come se invece non la volesse affatto.

Mentre si allontanava lei disse, ma senza rivolgergli lo sguardo, “forse dovresti solo farti una bella scopata, e tutto tornerà a posto.”

Quando fu fuori dalla stanza prese una delle zollette di zucchero che teneva in una scatola di latta e se la mise in bocca. La luce era spenta e non aveva voglia di accenderla, era presto e a Parigi la luce resiste fino a tardi, solo che la sua stanza dava sul cortile e non era mai troppo illuminata. Era una cosa che alla lunga potrebbe far male, ma lui non vi sarebbe rimasto per molto e certe volte la luce scarsa gli sembrava una cosa affascinante. Lungo il corridoio si sentirono i passi di qualcuno, sembravano due ragazzi, parlavano in inglese, gli riuscì solo di capire “Parigi è una merda” e “era meglio il Canada” anche se di quest’ultima affermazione non poteva essere troppo sicuro. Cercò di darsi una mossa, improvvisamente gli venne voglia di fare quattro passi. Si alzò per prendere il cappello, indossandolo scrutò il suo volto nel piccolo specchio, forse non pesava più di sessanta chili adesso e di sicuro non sarebbe potuto tornare a combattere in quelle condizioni. Prima che riuscisse ad uscire, bussarono alla porta. Era Maurice, un marocchino che viveva sulla rive gauche. Era vestito sempre elegante, certe volte portava a spasso persino un ridicolo bastone col pomello in ambra. Nessuno sapeva bene dove prendesse i soldi, ma giravano voci poco lusinghiere sul suo conto. Aveva una posa arrogante e non gli piaceva. Era stato un pugile professionista e se voleva sapeva che avrebbe potuto stenderlo anche in quelle condizioni, ma tuttavia era incuriosito e voleva sapere cosa era venuto a fare.

“Dicono che stai messo male” disse

“chi lo dice?”

“tutti e nessuno…”

Maurice prese a girare per la stanza semibuia, lui si chiese se fosse stata Marie, se la immaginava sul lungosenna, con fare da puttana, arricciolandosi una ciocca di capelli mentre rivelava a quel bamboccio particolari sul suo malumore.

“E’ stata Marie a mandarti qui?” Disse, pentendosene subito perché gli sembrò di aver abboccato a un bluff.

“No, sono venuto da solo.”

Sembrava la trama di un film, col personaggio esotico che esitava a dire quello che era venuto a fare, inchiodando gli spettatori alla sedia.

“Posso sedermi?” chiese.

Restarono a luci spente, Maurice era seduto sulla stessa sedia su cui prima era seduta Marie, lui tornò a sedersi sulla stuoia dove era solito prendere il tè con gli americani del piano di sotto.

“E così ti sei messo a fare lo scrittore” disse, dando una rapida occhiata ai fogli sparsi sulla scrivania, aveva un’aria di sfida malcelata che gli faceva rabbia.

“Fai bei soldi?” Chiese. Lo stava prendendo in giro, ma la cosa che maggiormente lo irritava era questo suo temporeggiare. “Che c’è Maurice? Che sei venuto a fare?”

“Va bene, va bene, arrivo al dunque. So che hai bisogno di soldi, io invece ho bisogno di qualcuno, uno pulito, svelto, che capisce al volo, sono soldi facili facili, che ne dici?”

“Che ne dico di che?”

“Si tratta di fare un lavoretto al porto”

“vuoi che faccia del lavoro sporco?”

“Si tratta di dare un avvertimento, c’è un tale che deve dei soldi ad un amico, devi solo mettergli paura, niente di più, sei stato un pugile, ti ricorderai come si danno quattro ceffoni ben assestati.”

“Allora che ne dici?”

“Quanto?” Disse

“cinquanta.” Restò con lo sguardo nel vuoto, per un attimo gli venne da pensare al mare, a come lui lo aveva conosciuto, dal pontile di una barca.

“Credi siano pochi?”

“Non è per i soldi, non è quello, è solo che preferirei stare fuori dai guai, mi dispiace”

“lascia perdere, come non detto, troverò un disperato con più fegato da un’altra parte, stammi bene Nazista.”

Avrebbe davvero voluto dargli una lezione, lì, in quello stesso momento, ma sapeva che Maurice era una canaglia della peggior specie e non voleva guai. Gente come lui era persino convinta di essere nata dal giusto lato dell’umanità. Se fossero stati in America lo avrebbe sbattuto spalle al muro e gli avrebbe strappato quel tono arrogante a suon di pugni, ma erano in Francia e lì uno come Maurice gli faceva paura. Era a stomaco vuoto e si sentiva già stanco.

Quando Maurice se ne fu andato, cercò di mettere ordine nelle sue emozioni, per certi versi si sentiva un naufrago.

Senza nemmeno rendersene conto si scoprì a gironzolare lungo il perimetro della stanza. Quando fu vicino alla scrivania toccò i suoi fogli disordinati con le dita, alla fine li prese e li sistemo, facendoli sbattere in piedi sul legno, come se fossero dei piccoli menhir. Aveva dentro una sensazione sgradevole che non lo abbandonava. Si sentiva sconfitto e impotente. Aveva fatto molti incontri a Pasadena, ma non ne aveva vinti tanti. Conosceva quella sensazione perché tante volte l’aveva incontrata sul ring. Si faceva chiamare il nazista, per darsi un contegno da ariano e da duro. Non era stato un gran che come pugile e per fortuna se n’era accorto prima di farsi ammazzare. Sperava di valere di più come scrittore, ma questa è una cosa che non si poteva veramente sapere. Aspettava dei soldi dall’America, ma sapeva che Christian non glieli avrebbe mandati. Non erano molti soldi, e per via del cambio particolarmente sfavorevole sarebbero stati anche di meno, ma adesso gli sarebbe piaciuto averli in tasca comunque. Se la Germania certe volte gli mancava, allo stesso modo capiva che la Germania non era il suo posto. Neanche l’America era stata il suo posto e forse nemmeno la Francia lo era. L’hotel dove viveva adesso costava poco, ma ovunque palesava una miseria che proprio non riusciva a trovare romantica. C’era un solo bagno per piano, era sempre sporco e spesso intasato. I gatti di madame Rachou erano sempre in giro a pisciare e a lamentarsi, la vernice sui muri era piena di bolle e certe pareti erano così vecchie da essere diventate friabili e molli. Era sulla rive gauche, al 9 di rue Git-le-Coeur. Sempre pieno di sfollati e spiantati da tutto il mondo, senza una vita. La miseria gli pesava, non era mai riuscito ad abituarcisi e si stupiva di come invece gli americani sembravano proprio sentircisi a loro agio. Per qualche giorno era stato vicino di stanza un certo Bernard Moscovitch, non sapeva se era russo o americano, anche lui si teneva a galla scrivendo sotto falso nome per quello strozzino di Girodias. Lo aveva visto e si erano messi a parlare, niente di serio, solo qualche battuta, poi era sparito, o forse quella pazza di madame Rachou lo aveva cacciato, che era una cosa che poteva capitare. Una sera lo aveva rivisto in un caffè insieme a dei ragazzi canadesi, i loro sguardi si erano incrociati ma niente di più.

Marie invece la conosceva dai tempi di Pasadena, qualche volta aveva sventolato i cartelli tra una ripresa e l’altra. Una volta erano persino finiti a letto insieme, una sera che aveva vinto un incontro importante e aveva portato tutti fuori a bere, era sul serio convinto che ne avrebbe vinti degli altri, ma non successe. Poi era sparita e per puro caso si erano rincontrati a Parigi, dopo quasi un anno da quella sera. Era una ragazza strana e non sapeva se in condizioni diverse e con maggior fortuna, se ne sarebbe potuto innamorare.

Era ormai a spasso da più di mezz’ora e lo stomaco si faceva sentire, non gli era riuscito di trovare nessuno e non sapeva più dove cercare. Alla fine decise di riposarsi su una panchina e per la prima volta si sentì povero davvero. Doveva escogitare qualcosa o si sarebbe ritrovato davanti al portone di una chiesa. Forse lo avrebbe scritto un romanzo per Girodias, e forse se non lo aveva ancora fatto era perché temeva che se anche quello strozzino gliel’avesse rifiutato si sarebbe sentito davvero spacciato, così se lo lasciava come scialuppa, facendo solo la figura del coglione e del bigotto perché faceva la fame pur di non scrivere certa robaccia.

Avrebbe potuto cercarsi un lavoro come un altro e farla finita con quella storia del pugile che smette di boxare per fare lo scrittore, se l’era raccontata un mucchio di volte e adesso si chiedeva se fosse l’unico a crederci ancora. Ormai sembrava solo una di quelle cose che sempre si spera succeda e più ci speri e più non succede.



Pierangelo Consoli