L’idea della morte e della sofferenza è stata , in qualche modo, rimossa nel nostro emisfero ad alto sviluppo industriale e questo perché le conquiste della scienza e della medicina hanno portato ad un considerevole aumento delle aspettative di vita.
A tale rimozione certamente contribuisce l’immagine di un “uomo” e di una “donna” moderni, così come ce li presenta l’ideologia dominante: belli, affascinanti, vincenti. Pieni di vigore fisico.
Sempre secondo l’ideologia dominante, questi uomini e queste donne hanno diritto ad un tenore di vita assolutamente favoloso, fatto di ricchezza, spensieratezza, allegria, divertimento a tutti i costi. Questi “status” alla fine assurgono a ruolo di “valori”.
Le nuove generazioni, come spugne, assorbono questi “valori” relegandone qualsiasi altro in un angolino buio della loro mente. Vivono male se non riescono ad emulare, anche in minima parte, questi modelli subdolamente falsificati e che i media distribuiscono a larghe mani.
Parola d’ordine per tutti: divertirsi, divertirsi, divertirsi.
La malattia, la morte altrui, vengono confinati in una posizione abbastanza marginale. Qualcosa a cui non pensare assolutamente. Qualcosa che non ci riguarda.
La morte e soprattutto la sofferenza dell’altro, pur se giovane, non è mai un evento contemplato e contemplabile nel proprio specifico effimero universo. E’ preferibile ignorarle. Si deve ignorarle!
Queste considerazioni mi riportano inconsapevolmente alle reminiscenze filosofiche di Kierkegaard: per il filosofo danese la morte è un’esperienza del singolo. Essa riguarda il singolo e soltanto il singolo e non è concettualizzabile.
Per Kierkegaard, l’ineluttabilità della morte e l’inconoscibilità del momento in cui essa giungerà fa sì che il suo pensiero debba essere sempre presente in noi, in qualsiasi cosa facciamo.
Ma riguarda noi, singolo.…E l’altro? Chi è l’altro?
L’altro è colui che c’è
Heidegger, nella sua filosofia, chiama l’uomo “Esserci”. Per il filosofo tedesco, l’esistenza non è solo utilizzare le cose del mondo che ci occorrono, usandole e manipolandole, ma è anche apertura tra l’uomo e gli altri “Esserci”.
Quando ho letto la filosofia di Heidegger, un po’ difficile da assimilare, sono rimasto un po’ spiazzato da questo modo strano di chiamare l’uomo. Poi ho capito.
Per capire l’ “Esserci” bisogna capire e osservare l’esistenza. In essa si muovono gli uomini. In essa condividono, linguaggi, esperienze. Essi “ci sono”, esistono: col loro sentire, col loro dolore, la loro sofferenza, la loro totalità di esperienze belle o brutte.
Ignorarli è semplicemente rinnegare se stessi.
Uno
A tale rimozione certamente contribuisce l’immagine di un “uomo” e di una “donna” moderni, così come ce li presenta l’ideologia dominante: belli, affascinanti, vincenti. Pieni di vigore fisico.
Sempre secondo l’ideologia dominante, questi uomini e queste donne hanno diritto ad un tenore di vita assolutamente favoloso, fatto di ricchezza, spensieratezza, allegria, divertimento a tutti i costi. Questi “status” alla fine assurgono a ruolo di “valori”.
Le nuove generazioni, come spugne, assorbono questi “valori” relegandone qualsiasi altro in un angolino buio della loro mente. Vivono male se non riescono ad emulare, anche in minima parte, questi modelli subdolamente falsificati e che i media distribuiscono a larghe mani.
Parola d’ordine per tutti: divertirsi, divertirsi, divertirsi.
La malattia, la morte altrui, vengono confinati in una posizione abbastanza marginale. Qualcosa a cui non pensare assolutamente. Qualcosa che non ci riguarda.
La morte e soprattutto la sofferenza dell’altro, pur se giovane, non è mai un evento contemplato e contemplabile nel proprio specifico effimero universo. E’ preferibile ignorarle. Si deve ignorarle!
Queste considerazioni mi riportano inconsapevolmente alle reminiscenze filosofiche di Kierkegaard: per il filosofo danese la morte è un’esperienza del singolo. Essa riguarda il singolo e soltanto il singolo e non è concettualizzabile.
Per Kierkegaard, l’ineluttabilità della morte e l’inconoscibilità del momento in cui essa giungerà fa sì che il suo pensiero debba essere sempre presente in noi, in qualsiasi cosa facciamo.
Ma riguarda noi, singolo.…E l’altro? Chi è l’altro?
L’altro è colui che c’è
Heidegger, nella sua filosofia, chiama l’uomo “Esserci”. Per il filosofo tedesco, l’esistenza non è solo utilizzare le cose del mondo che ci occorrono, usandole e manipolandole, ma è anche apertura tra l’uomo e gli altri “Esserci”.
Quando ho letto la filosofia di Heidegger, un po’ difficile da assimilare, sono rimasto un po’ spiazzato da questo modo strano di chiamare l’uomo. Poi ho capito.
Per capire l’ “Esserci” bisogna capire e osservare l’esistenza. In essa si muovono gli uomini. In essa condividono, linguaggi, esperienze. Essi “ci sono”, esistono: col loro sentire, col loro dolore, la loro sofferenza, la loro totalità di esperienze belle o brutte.
Ignorarli è semplicemente rinnegare se stessi.
Uno
Molto bene Uno. Un modo molto elegante di rimproverare chi non prende in considerazione il dolore altrui che circola in paese in questi giorni, pensando a divertirsi nella miniera più sciocca e infantile.
RispondiEliminaIl dolore come crescita dell'individuo, il dolore come iniziazione per entrare a far parte del mondo dei grandi e dei saggi, il sofferentissimo dolore in cui ci si crogiola nei verdi anni adolescenziali...Bhaa!!
RispondiEliminaE' acclarato,il dolore non è più tra noi, e quando lo vediamo ...non lo riconosciamo!!
x 7 marzo 14,28
RispondiEliminaNon era mia intenzione rimproverare nessuno.
Ho fatto solo delle semplici considerazioni.
Non lo riconosciamo e neppure lo rispettiamo.
RispondiElimina