Il secolo dell’amarezza
Trattando questa pagina soprattutto il periodo del decennio francese, è opportuno precisare, per i più pignoli che potrebbero incontrare nelle loro letture delle discrepanze, che le leggi napoleoniche sulla soppressione degli ordini mendicanti furono diverse e non una sola. Si parte dalla legge generale del 1806 a cui man mano si aggiunsero i vari Real Decreti per la soppressione dei vari Ordini: gesuiti, benedettini, domenicani e francescani. A questi si aggiunsero ulteriori specifici Real Decreti per la chiusura di specifici Conventi.
Ringrazio il dott. Antonio Taccone dell’Archivio di Stato di Caserta per la squisita disponibilità e i chiarimenti in materia.
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Il forte vento di modernità e di anticlericalismo, originatosi in seno alla rivoluzione francese, portato da Napoleone investì tutta l’Europa con la forza di un ciclone. Nel suo occhio venne a trovarsi tutta la Chiesa e in particolare gli ordini mendicanti, vittime dello spirito riformista francese a cui facevano molto comodo conventi e monasteri da destinare a usi diversi da quello religioso.
La Legge sulla soppressione degli ordini mendicanti francescani che si era delineata all’orizzonte come uno spauracchio, nel nostro Comune fu portata ad esecuzione nel 1813.
I frati più istruiti del Convento di S. Francesco avevano seguito attentamente le altalenanti vicende politiche europee e nazionali, sperando che quell’infausto Real Decreto del 7 Agosto 1809, che voleva soppresse tutte le famiglie religiose dell’Ordine Francescano, non facesse in tempo ad essere applicato.
E invece prima arrivò il Real Decreto del 13 Settembre 1810 che disponeva la chiusura del Convento e poi i soldati francesi che lo mettevano in esecuzione.
I soldati, resi ancora più aspri dalle drammatiche vicende politiche che si andavano delineando sempre più chiaramente, cacciarono via i pochi ricalcitranti frati rimasti e diedero alle fiamme ciò che poteva essere bruciato.
Fra’ Cherubino, fra’ Alberto, fra’ Fortunato, fra’ Alessandro, fra’ Giuseppe, frate Angelo, frate Antonio e fra’ Giovanni erano stati costretti a scegliere tra la secolarizzazione o l’inserimento in altre famiglie religiose non toccate dalla Legge e, quando le truppe francesi arrivarono, in Convento c’erano solo tre di loro.
Il Convento fu chiuso e chiuso fu l’Ospizio borbonico ai Carani di cui si occupavano i frati del Convento di S. Agostino di Sessa.
Le rendite del Convento, stimate 300 ducati annui e che comprendevano anche 4 moggia di terreno di I classe e 15 moggia di terreno di seconda classe, passarono “alla” Comune di Carinola.
A quale uso fosse destinato il Convento non si sa, probabilmente a carcere, data la sua struttura e la sua ubicazione isolata. Fatto sta che la scena politica cambiò velocemente quello stesso anno con la sconfitta di Napoleone a Lipsia nell’ottobre del 1813 e tutto rimase in una posizione di stallo.
Nessuno si occupò più del Convento per molti anni; non il Clero, preoccupato di mettere al sicuro le sue proprietà da altri eventuali attacchi e perdite; né “la” Comune di Carinola, impegnata a delineare ancora una volta il proprio assetto politico ed amministrativo; né il Re anche lui occupato a riorganizzare tutto il suo Regno.
Chiuso al culto, abbandonato per ben 28 anni all’inclemenza degli agenti atmosferici e all’incuria degli uomini, il Convento andava lentamente, ma inesorabilmente degradandosi. Sarebbe sicuramente andato perduto se non fosse intervenuto l’interesse e l’amore popolare che ne chiese a gran voce al re, Ferdinando II di Borbone, la riapertura.
Dopo anni di continue ed insistenti richieste, il re concesse la sospirata riapertura del Convento con il Real Decreto del 10 Giugno 1838, ma le rendite, ora ridotte a 13 ducati annui, furono assegnate alla povera Mensa Vescovile d’ Ischia.
Dopo la riapertura, ben 11 frati tornarono ad animare il Convento, poi divennero 18 e infine 9.
Per permettere la loro sopravvivenza, il Comune di Carinola si accollò la somma di 20 ducati annui da passare ai frati, a cui andavano aggiunti i 13 ducati da passare alla Mensa Vescovile d’Ischia.
La vita sembrava essere infine ritornata tra le mura dell’antico nostro Convento e la popolazione era molto soddisfatta della tranquillità apportata in paese dai frati. Ma era una tranquillità effimera, di breve durata. Un altro doloroso scoglio si stagliava all’orizzonte per il Convento: l’Unità d’Italia.
Clio
vedi documento : frati schedati
Fonte: vedi bibliografia
L'interessante inquadramento storico di Clio sul convento francescano di Casanova mi porta ad alcune riflessioni incentrate sulla prima parte della stesura, di cui solo ora prendo visione. Che S. Francesco fosse particolarmente devoto a S. Michele è un dato acclarato, al punto da recarsi in pellegrinaggio al principale santuario micaelico del Meridione, quello, appunto, di Monte Sant'Angelo in Puglia. Ora, non è improbabile che lungo il tragitto S. Francesco abbia deciso di far tappa nelle località legate, per un motivo o per un altro, proprio a S. Michele: ebbene, Carinola doveva essere una di queste. Già la collina antistante il convento di S. Francesco rivela, nella denominazione "Sant'Arcangelo", quantomeno un culto in onore di S. Michele Arcangelo, veneratissimo dai Longobardi che, di norma, gli dedicavano ambiti devozionali su monti, in grotte (si pensi a quella omonima di Falciano) e in corrispondenza di sorgenti o affini. S. Michele era semplicemente il vincitore del demonio…ed invocarlo significava scongiurare tutto ciò che di maligno potesse gravare sugli uomini (tentazioni, possessioni e qualsiasi altra forma di manifestazione diabolica). Nel caso di un altro pregevole santuario micaelico nel Sud Italia, ad Olevano sul Tusciano in provincia di Salerno, a pochi metri dalla Grotta dell’Angelo, esisterebbe finanche l’impronta del demonio che, vinto da S. Michele, sarebbe ruzzolato giù per il monte…Ritornando a Carinola, credo proprio che ai tempi di S. Francesco – e siamo ai principi del Duecento – la devozione per l’arcangelo Michele fosse piuttosto importante, al punto da agevolare una sosta del poverello d’Assisi nelle nostre contrade. E a conferma di ciò ci sono gli affreschi delle tre absidi dell’Episcopio di Ventaroli: si badi bene, tre absidi su tre sono incentrate su un tema angelico; quella di sinistra, la più antica, reca la Madonna fra S. Pietro ed un arcangelo; quella centrale, nel registro mediano, ha ancora un arcangelo fra i dodici apostoli; quella di destra S. Michele che con una mano impugna la lancia per trafiggere il demonio, che si contorce ai suoi piedi, e con l’altra pesa le anime per indirizzarle al premio o al supplizio eterni. Quest’ultimo particolare, noto come psicostasia, fa comprendere anche l’altra ragione della centralità devozionale di S. Michele, concorrendo, con il suo intervento, al Giudizio degli uomini dopo la loro morte. Una presenza angelico-micaelica così ossessiva, concedetemi l’aggettivo, si spiegherebbe solo con un culto convinto e radicato nel Carinolese almeno dal Duecento, ambito cronologico di riferimento per gran parte degli affreschi absidali di Ventaroli. Più tardo, ma non per questo meno indicativo, è, altresì, un ulteriore S. Michele affrescato nell’ex cattedrale di Carinola. E a conferma del tutto esisterebbero i graffiti visibili sulla muratura esterna dell’Episcopio - sarebbe interessantissimo censirli - e probabilmente lasciati dai pellegrini che si recavano al santuario di S. Michele Arcangelo al Gargano: addirittura il S. Nicola dipinto, sempre nell’Episcopio, con la Madonna e S. Bernardo nel XV secolo sarebbe un omaggio ad un altro santo caro ai pellegrini diretti in Puglia, sebbene la cosa mi convinca meno (e qualche volta potremmo spiegarne il perché). L’abside destra dell’Episcopio, quella con la psicostasia per intenderci, è completata da un affresco più tardo, di fine Quattrocento, con un bellissimo S. Bernardino da Siena giustificabile proprio in virtù della sua di poco precedente puntata al convento di Casanova. E, non a caso, nel refettorio del convento, ancora S. Bernardino da Siena fa la sua comparsa nel “Calvario” della parete di fondo, riconoscibile per il volto scarno ed ossuto, oltre che per il saio francescano, fra i componenti del corteo che accompagna Gesù. In alto, invece, è ancora individuabile – o almeno spero – il dettaglio della facciata del convento intorno al 1470-80, periodo cui risale la messa in opera dell’affresco, e che non sembra così diversa da quella odierna, indizio preziosissimo per la storia architettonica del monumento. Non ricordo bene – sono mesi che non rivedo l’affresco … - se nello stesso brano son presenti uno o due personaggi in miniatura davanti la chiesa: pensare, ancora una volta, ad un omaggio agl’illustri visitatori S. Bernardino e/o S. Giacomo della Marca non mi sembra così impossibile. Mi congedo con una nota sulla Madonna con Bambino e S. Giovanni Battista di cui è riportata la foto nell’articolo di Clio. È la testimonianza pittorica più antica del convento, una volta visibile nel chiostro, forse collocabile a cavallo del 1250 o poco dopo: questo vuol dire che il S. Francesco, qui con il libro che richiama la Regola francescana, costituisce una delle primissime immagini dipinte del poverello umbro, di certo più antica di quella presente nelle storie del Santo affrescate da Giotto intorno al 1290 nella Basilica superiore di S. Francesco ad Assisi, tanto per citare un capolavoro noto ai più…un motivo di vanto di non poco conto, non trovate? Pregevole anche il S. Giovanni Battista visibile nello stesso dipinto, dal corpo provato e dalla barba incolta per la sua vita semieremitica nel deserto. Perché S. Giovanni? Perché è proprio a lui che viene dedicato inizialmente l’insediamento monastico di Casanova, in parallelo a quanto era stato fatto quasi 150 anni prima con la cattedrale di Carinola, ove la dedicazione era condivisa con la Madonna (che puntualmente ritorna proprio nell’affresco di S. Francesco). Prima parlavo di Giotto: provate a reperire un’immagine del “S. Francesco che riceve le stimmate” di Assisi, tema trattato da Giotto anche in altri frangenti. Cosa ne dite? È così lontano dal nostro “S. Francesco che riceve le stimmate” cui si accompagna un Sant’Antonio da Padova ed oggi protetto da un pannello protettivo? A me sembra di no…non voliamo, comunque, troppo con la fantasia, fermo restando che nel 1328 Giotto lavora a Napoli…
RispondiEliminaUn cordiale saluto a tutti!
Silvio Ricciardone
Veramente grazie Silvio perchè con il tuo intervento aiuti a rafforzare i miei studi e le mie ricerche! Non tutti hanno la percezione dell'importanza dei mostri beni storici, artistici ed architettonici e noi, nel nostro piccolo stiamo cercando di diffondere le informazioni per farli apprezzare e rispettare, io con la parte storica e tu con quella artistica. Forse col tempo ci riusciremo.
RispondiEliminaIntanto foto del convento, se desideri vederle, le puoi trovare nella sezione Foto. A mano a mano saranno caricate anche foto di altri nostri monumenti.
Sull'AGP di Carinola, di cui a breve farò un articolo storico, mi piacerebbe tu mi dessi delle spiegazioni sugli affreschi lì presenti, specie su un personaggio che si presenta con due teste mozzate appese alla cintura e che mi incuriosisce sapere chi sia. In attesa di risentirti presto, ti saluto. Ciao. Torna presto tra noi.
Grazie Silvio, spero che continui nello studio dei beni culturali di Carinola ,ignorati e bistrattati. Finalmente ci sia uno studioso , degno di tale appellativo, che ci faccia risorgere un pò almeno culturalmente. Grazie e continua.
RispondiEliminaMolto interessante questa sinergia di conoscenze e di affetti per i beni storici e artistici del nostro Comune. Ci da davvero la possibilità di conoscere ed apprezzare tante cose che la maggior parte dei cittadini ignora. Spero che tanti carinolesi ne prendano atto ma soprattutto ne prendano atto le amministrazioni comunali, con una giusta cura e una giusta tutela, nonché una miglior valorizzazione.
RispondiEliminaRingrazio veramente Clio e Silvio che ci fanno dono dei loro studi e spero di leggere ancora tanti di questi articoli.
X Silvio
RispondiEliminaCaro Silvio, e se la collinetta di Sant'Arcangelo fosse stata chiamata così DOPO la venuta di San Francesco? Magari è stato proprio il Santo a cominciare a chiamarla così e quel nome gli è rimasto da allora. Che ne dici? è un possibilità remota?
per 14.13 in campo culturale gli interrogativi, rivolti a sè stesso o ad altri devono scaturire da una ricerca fatta su testi o almeno su qualche leggenda popolare.
RispondiEliminaNon si possono fare ipotesi campate su quello che passa nella testa di qualcuno come nel tuo caso, non è serio. Non me ne volere.
Era solo una supposizione, non sono un esperto in materia.
RispondiEliminaBentornata Clio, sentivamo la tua mancanza; finalmente un articolo, anzi due, al di fuori dello standard abituale e di livello culturalmente alto. Ma d'altra parte non poteva essere diversamente visti i precedenti. Un grosso plauso anche a Silvio per il suo commento e la sua competenza (parlo di Silvio Ricciardone, puntualizzo per i controllori non richiesti di questo sito). In questi ultimi giorni il nostro paese è stato sconvolto da eventi tragici; un abbraccio fraterno a tutti i familiari delle persone che ci hanno lasciato
RispondiEliminaIn realtà gli articoli sul Convento saranno tre. Non si poteva fare diversamente, caro due calzini. Il nostro Convento ha avuto una lunga storia e non sempre felice, come potrai vedere. Bacioni
RispondiEliminaHo gia fatto questa domanda nella prima parte dell'articolo, ma nessuno mi ha risposto. Mi piacerebbe sapere dove si trova ora l'affresco messo come immagine all'articolo. Forse Silvio Ricciardone potrebbe saperlo. Grazie.
RispondiEliminaCredo che l'affresco di cui parli sia a Caserta, al Museo di Palazzo Reale, ma non ne sono sicuro.
RispondiEliminaL'amico/a delle 14.13 si poneva l'interrogativo sull'opportunità di un culto micaelico, provato dalla collinetta di Sant'Arcangelo, successivo all'arrivo di S. Francesco. A mio avviso non avrebbe troppo senso per le seguenti ragioni:1)come già ribadito, S. Michele era il Santo "dei Longobardi" ed in provincia di Caserta oronimi e toponimi di origine longobarda che richiamano l'Arcangelo non sono certo una rarità; bene, all'arrivo di S. Francesco, non solo il periodo longobardo era un " capitolo chiuso" da più di 150 anni, ma anche il dominio dei loro successori, i Normanni, apparteneva, sebbene da poco, al passato per il sopraggiungere degli Svevi di Enrico VI prima e Federico II poi; anzi, è proprio Federico II a detenere il potere quando S. Francesco giunge a Casanova. E non mi risulta che gli Svevi, nè tantomeno i loro successori Angioini abbiano promosso un culto "sfegatato" per S. Michele. 2) In un sito che poteva da poco fregiarsi dell'arrivo "in carne ed ossa" di Francesco d'Assisi, e che quindi "a ritorno d'immagine" era già ben messo di suo, sarebbe risultato quantomeno superfluo aggiungervi anche il culto di S. Michele: nel giro di poche centinaia di metri di distanza avrebbe preso piede un'assurda "dicotomia agiografica"... La devozione micaelica non poteva, quindi, che preesistere all'arrivo del poverello d'Assisi, diretto al Gargano per omaggiare S. Michele e che, proprio perciò, avrebbe sostato con piacere laddove l'Arcangelo era già venerato. I pellegrinaggi medievali, infatti, prevedevano numerose tappe intermedie in santuari o ambiti devozionali, magari custodi di prestigiose reliquie, prima del raggiungimento della meta finale; basti pensare alle numerose "fermate obbligate" lungo la via Francigena, che dal Nord conduceva a Roma, o lungo il "Camino de Santiago" che portava a Compostela, in Galizia, dove si venerano i resti dell'apostolo Giacomo. Il Menna, fra l'altro, sebbene vada sempre preso con cautela, parla dell'antica esistenza sulla collinetta di Sant'Arcangelo di un insediamento urbano, a conferma di come lassù potesse realmente esserci qualcosa. In merito all'affresco della Madonna con Bambino fra i santi Giovanni e Francesco anche a me risultava che fosse esposto al Museo dell'Opera e del Territorio della Reggia di Caserta; ignoro, tuttavia, se sia ancora là. Fu il compianto padre Michele Piccirillo a farlo conoscere alla comunità scientifica caldeggiandone l'esposizione in una mostra sulla Terra Santa di qualche anno fa a Milano. Approfitto anch'io della circostanza per associarmi al dolore di chi piange i propri cari recentemente scomparsi.
RispondiEliminaSilvio Ricciardone