Circa sessant’anni fa, subito dopo la guerra, Carinola non produceva monnezza. C’era una fame ancora talmente diffusa che si mangiavano persino le ossa, a discapito dei poveri cani che neanche quelle potevano avere. Questo per chi poteva permettersi un pollastrello nostrano, altrimenti erano i soliti fagioli o ceci cotti accanto al fuoco. Gli scarti delle verdure o qualsiasi altra cosa commestibile venivano gettati nell’orto, anticipando il moderno compostaggio.
Della famigerata plastica non c’era neanche l’ombra. Gli alimenti si conservavano nella madia, in piatti di coccio, ma duravano ben poco perché quello che non si era finito a pranzo si finiva a cena e non c’era necessità di conservare a lungo gli alimenti deperibili.
I recipienti di legno per lavare i panni erano già stati sostituiti da quelli di zinco pesante che potevano anche essere riparati in caso di rottura. D’altra parte, c’erano ancora i lavatoi pubblici e i ruscelli che servivano allo scopo.
La carta era molto preziosa. L’unica carta che si vedeva in giro nelle case comuni erano i grossi fogli rossicci, in cui zi’ Filumena la bottegaia avvolgeva i lunghi ziti da spezzare e di cui si salvavano gli scarti per mischiarli poi con i fagioli, e le buste di carta dello stesso colore, ri “cuoppi”. In essi veniva messo zucchero, sale, farina e pasta corta perché niente era imbustato, ma tutto si vendeva al minuto, “sfuso”. Questa carta la si conservava con la massima cura per accendere il fuoco sotto le fornacelle o sul focolare.
I quaderni dei bambini erano piccoli e sottili, con una brutta copertina nera fascistoide. Quando mio padre mi portò due quaderni, uno a righi e l’altro a quadretti, mi disse di non strappare pagine perché i quaderni non si trovavano facilmente. Li guardai, li girai tra le mani e chiesi a mio padre: “anche loro sono a lutto?”, perché tutte le donne del paese vestivano di nero per la morte di qualche familiare, e quel lutto se lo portavano avanti tutta la vita.
I recipienti di legno per lavare i panni erano già stati sostituiti da quelli di zinco pesante che potevano anche essere riparati in caso di rottura. D’altra parte, c’erano ancora i lavatoi pubblici e i ruscelli che servivano allo scopo.
La carta era molto preziosa. L’unica carta che si vedeva in giro nelle case comuni erano i grossi fogli rossicci, in cui zi’ Filumena la bottegaia avvolgeva i lunghi ziti da spezzare e di cui si salvavano gli scarti per mischiarli poi con i fagioli, e le buste di carta dello stesso colore, ri “cuoppi”. In essi veniva messo zucchero, sale, farina e pasta corta perché niente era imbustato, ma tutto si vendeva al minuto, “sfuso”. Questa carta la si conservava con la massima cura per accendere il fuoco sotto le fornacelle o sul focolare.
I quaderni dei bambini erano piccoli e sottili, con una brutta copertina nera fascistoide. Quando mio padre mi portò due quaderni, uno a righi e l’altro a quadretti, mi disse di non strappare pagine perché i quaderni non si trovavano facilmente. Li guardai, li girai tra le mani e chiesi a mio padre: “anche loro sono a lutto?”, perché tutte le donne del paese vestivano di nero per la morte di qualche familiare, e quel lutto se lo portavano avanti tutta la vita.
Paradossalmente, quando Carinola non produceva monnezza, ogni frazione aveva il suo “scopapiazza” personale che girava per il paese col suo carrettino spinto a mano e le ramazze. E che cosa ramazzava? Può sembrare strano, ma ramazzava gli escrementi di tutta la popolazione animale che abitava in ogni paese: pecore, capre, cavalli, asini, maiali. Il nostro zi’ Pasqualino ru scopapiazza ramazzava gli escrementi e li andava a depositare per la strada di San Francesco, dove ne faceva un bel mucchio. Poi li vendeva a secchi a chi aveva bisogno di concimare l’orto. Ma i furbi ci sono sempre stati e non volevano pagare quel prezioso concime organico: allora si alzavano presto la mattina, prima che arrivasse zi Pasqualino, e ramazzavano tutti gli escrementi lungo la strada. Se li ammonticchiava sotto il portone, così non aveva bisogno di andarseli a comprare. In questa gara di velocità tra zi’ Pasqualino lo scopapiazza e i furbi, le strade erano sempre pulite.
Il boom economico italiano degli anni sessanta fu l’inizio del disastro ecologico. La plastica cominciò ad invadere le case e sempre più le invase perché tutto divenne di plastica. Anche i tradizionali, poetici vasi da notte di metallo smaltato di bianco divennero di plastica.
Cominciò a vedersi qualche televisione in più, qualche frigorifero e qualche lavatrice che alleggeriva i lavori delle donne, ma si cominciarono anche a vedere i primi contenitore di sapone che però erano di cartone pressato e potevano essere bruciati nel forno. Ma l’industria della plastica andava forte e dava lavoro…
Per raccogliere i nuovo rifiuti non bastava più lo scopapiazza e ci si organizzò con una raccolta più efficace.
Negli anni 70/80 tutta la monnezza carinolese veniva smaltita a Carabottoli e coperta di terra. Se si scava in quel terreno, si troveranno molti reperti archeologici della monnezza carinolese di quegli anni.
Con la trasformazione della società da agricola a capitalistica, la monnezza aumentò in maniera esponenziale e fece la gioia delle organizzazioni criminali che videro in essa il nuovo oro. Nacquero le varie aziende di raccolta rifiuti gestite dalla camorra che cercavano appalti nei vari comuni. C’era sempre il politico compiacente che, in cambio di favori, dava l’appalto e la camorra si appropriò dell’affare monnezza.
E così negli anni 90/2000 ci siamo trovati in mano alla ECO4 che smaltiva i nostri rifiuti. Ma smaltire i rifiuti non significava RICICLO, RECUPERO E RIUTILIZZO. Significava solo depositarli in qualche buco, perché così fa la camorra: prende soldi ma non li spende per offrire buoni servizi.
A furia di depositarli di qua e di là, senza una politica di recupero, ci siamo trovati, in Campania, con tutti i buchi intasati. Solo la bocca del Vesuvio era ancora libera!
E nel 2007 scoppiò il caso monnezza che non si sapeva più dove mettere. I vari commissari straordinari, Pansa e Catenacci, avrebbero voluto che la mettessimo sotto il letto pur di uscirsene da quelle botte ma, chiaramente, ci siamo rifiutati di farlo!
Cominciò a vedersi qualche televisione in più, qualche frigorifero e qualche lavatrice che alleggeriva i lavori delle donne, ma si cominciarono anche a vedere i primi contenitore di sapone che però erano di cartone pressato e potevano essere bruciati nel forno. Ma l’industria della plastica andava forte e dava lavoro…
Per raccogliere i nuovo rifiuti non bastava più lo scopapiazza e ci si organizzò con una raccolta più efficace.
Negli anni 70/80 tutta la monnezza carinolese veniva smaltita a Carabottoli e coperta di terra. Se si scava in quel terreno, si troveranno molti reperti archeologici della monnezza carinolese di quegli anni.
Con la trasformazione della società da agricola a capitalistica, la monnezza aumentò in maniera esponenziale e fece la gioia delle organizzazioni criminali che videro in essa il nuovo oro. Nacquero le varie aziende di raccolta rifiuti gestite dalla camorra che cercavano appalti nei vari comuni. C’era sempre il politico compiacente che, in cambio di favori, dava l’appalto e la camorra si appropriò dell’affare monnezza.
E così negli anni 90/2000 ci siamo trovati in mano alla ECO4 che smaltiva i nostri rifiuti. Ma smaltire i rifiuti non significava RICICLO, RECUPERO E RIUTILIZZO. Significava solo depositarli in qualche buco, perché così fa la camorra: prende soldi ma non li spende per offrire buoni servizi.
A furia di depositarli di qua e di là, senza una politica di recupero, ci siamo trovati, in Campania, con tutti i buchi intasati. Solo la bocca del Vesuvio era ancora libera!
E nel 2007 scoppiò il caso monnezza che non si sapeva più dove mettere. I vari commissari straordinari, Pansa e Catenacci, avrebbero voluto che la mettessimo sotto il letto pur di uscirsene da quelle botte ma, chiaramente, ci siamo rifiutati di farlo!
Bene o male la crisi passò e siamo arrivati, infine, alla raccolta differenziata, sempre in mano alla ECO4 che tutto faceva tranne che differenziare sul serio. In cambio mungeva molto bene la vacca grassa carinolese che, poco alla volta, si rinsecchì. E non era la sola. Anche molti impiegati comunali la mungono, tramite il grado di capo-settore dato dalla convenienza politica e non per necessità o per merito. E i nostri soldi, invece di essere usati per offrire servizi ai cittadini, vanno ad impinguare le loro tasche!
Infine siamo riusciti a estromettere l’ ECO4 e a fare la raccolta porta a porta con la ESOGEST, che non sarebbe male, ma ogni tanto si ferma per sciopero. Perché si ferma? Perché ormai la vacca grassa carinolese, a furia di allattare voracissime bocche, è diventata talmente magra che non ci stanno più neanche le ossa. E i poveri operatori ecologici, che non ricevono uno straccio di stipendio da mesi, incrociano le braccia e aspettano che il sindaco faccia loro l’elemosina di ciò che gli spetta di diritto. E così siamo alle solite! Paesi sporchi e pieni di monnezza! A chi va a protestare, la canzone è sempre la stessa: NON CI STANNO SOLDI!
Questa è la storia della nostra monnezza per quel che io riesco a ricordare. Se qualcuno ricorda meglio o sa ciò che io non so, può intervenire nei commenti e avremo un quadro più completo della nostra monnezza story.
Patatemittecelemanitu!