Era una estate torrida quell' anno, forse la più rovente del secolo. Il
conte Biasox trovava ristoro nei sotterranei del suo palazzo, che si trovava nella capitale di Maradonia, dove gestiva tutte le acque del regno.
Mentre si godeva il fresco della cantina tra
bottiglie di vini pregiati si divertiva a contare le monete d'oro che aveva
accumulato nei suoi forzieri grazie alla sua proverbiale abilità nello spendere
i soldi pubblici. Egli inoltre sfogliava qualche libro della sua fornitissima
biblioteca per sfoggiare la propria cultura nei confronti della servitù e delle
guardie. Era particolarmente soddisfatto quel giorno, poichè aveva ricevuto un
plico reale con il quale lo si autorizzava a battere moneta con la sua effigie
e a chiamarlo biasino d'oro. Aveva ricevuto questo riconoscimento in quanto
amico fedelissimo del re zì Vicienzo o’ Piattaro trasformato, una volta
diventato re, in ‘On Vincenzo Carafaguidalberto. I suoi modi volgari frammisti
a sprazzi di gentilezza, ironie e battute anche pesanti tipico dei venditori
ambulanti lo rendevano simpatico presso il popolino ignorante che lo aveva
acclamato re e lo adorava.
L'amicizia di Biasox con il re era ricambiata perché
insieme a tutti i ribaldi del regno lo avevano aiutato a prendere il potere,
pertanto questi assecondava ogni sua richiesta. Nonostante la bella notizia e
le immense ricchezze accumulate non era sereno perché era prossima la data del
suffragio. nella contea di Calenum, sua per diritto di nascita e che ovviamente
voleva lasciare alla sua primogenita.
Il suffragio era una formalità dovuta da quando
il re precedente lo aveva imposto e doveva giocare bene le sue carte per
renderla una semplice formalità. La posta era troppo alta: doveva assicurare il
trono della contea a vita alla sua discendenza e pertanto doveva usare tutti i
mezzi che aveva a disposizione. Un paio di mesi prima della data fissata per il
suffragio partì per il suo villaggio sperduto negli acquitrini di Calenum, non
dimenticando di portare con sé due o tre forzieri pieni di biasini d'oro.
Arrivato nel suo palazzo di campagna trovò ad
attenderlo tanti suoi sostenitori - innanzitutto Giano Trifronte che offrì il suo
braccio e quello del suo giovane infante per la causa di Biasox, il quale fece
finta di gradire molto. Inoltre c'era Antimus Mutus, Gennarino o’ caporale che
da qualche tempo guadagnava suffragi mandando a lavorare in nero i braccianti
nei campi, altri notabili e le solite dame con relativi mariti per i quali
chiedevano continuamente privilegi. Biasox guardò gli astanti e si rese conto
che non erano sufficienti per le sue ambizioni - pertanto decise di giocarsi
tutto. In quella riunione mostrò la lettera di suo padre in cui gli rivelava
che Mark’Antonio da Nocellum era il suo fratellastro. Rivelò a tutti il suo
grande segreto di essere sempre stati alleati segretamente e di avergli
concesso il trono per qualche anno con la promessa che lo avrebbe appoggiato
nella lotta per insediare sua figlia sul trono del ducato. A quelle parole gli
astanti rimasero gelati e solo dopo qualche secondo di meraviglia osannarono
Biasox e commiserarono sé stessi per non aver mai capito nulla. Ma intravedendo
una facile vittoria con relativi benefici personali fecero finta di non capire
che li aveva sempre presi in giro.
Biasox nei giorni successivi per essere ancora
più sicuro della vittoria mandò ambascerie ai due capozona che rappresentavano
il re nella contea ed in quelle circostanti. Uno era Jianuario de Oliveria duca
di Sipicciano dei monti Lattani e l'altro il suo acerrimo nemico per finta
Maximus Grimaldellus marchese di Pezzarotonda. Ad entrambi mandò la richiesta
di non ostacolare i suoi piani promettendo l'appoggio delle sue truppe nelle
loro future battaglie per mantenere il potere. Con lo stesso plico li
supplicava di preparare una lista concorrente per far sì che i servi della
gleba non sospettassero dell'accordo. Per essere sicuro che accettassero, e per
essere più convincente, insieme al plico inviò un forziere di biasini d'oro a
testa.
Avuta risposta positiva alla sua richiesta
iniziò subito la sua campagna di corruzione in grande stile commisurando la
somma allo stato sociale delle persone - inoltre per i servi della gleba
istituì il piccolo prestito del suffragio, detto così perché durava solo per
quel periodo. Si potevano avere soldi, ovviamente pochi, senza interessi e con
tempi lunghissimi per la restituzione. Quasi tutti i servi della gleba
ricorsero al prestito: primo perché ne avevano bisogno e secondo perché i
galoppini di Biasox li avevano informati che in caso di vittoria della figlia
tutti i debiti sarebbero stati cancellati. Fatta questa ultima operazione
finalmente tornò la serenità sul volto del conte Biasox ed il sorriso sulle sue
labbra - mentre con una mano leggeva un libro per finta e con l'altra
accarezzava i suoi biasini d'oro.
IL CONTE DEL GRILLO