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martedì 12 ottobre 2010

Famiglie allargate e metamorfosi.

Le famiglie allargate sono un po’ la croce della società perchè raccolgono avanzi di matrimoni finiti male. A volte funzionano, ma il più delle volte no.
Metti insieme, in una stessa casa, due mezze famiglie venute su con educazione, idee, comportamenti, interessi diversi e ti ritrovi un bazar arabo dove non ci si capisce un tubo; dove si litiga, si mercanteggia, si alza la voce,  ci si azzuffa,  ci si tende e la mano e, dulcis in fundo, ci si pianta un coltello nella schiena appena ti volti da un’ altra parte.

Circa tre anni fa c’è stato un divorzio nella nostra famiglia comunale, quello tra Pasquale Di Biasio e Gennaro Mannillo. Poveretti, non si intendevano più. L’uno troppo condottiero: aveva confuso la sindacatura con la dittatura e il suo abuso di potere era arrivato alla distribuzione di cariche comunali e vendite territoriali come fossero cioccolatini. L’altro troppo ambizioso: sapeva ben piangere i morti per fottere i vivi e la sua fama di bugiardo aveva superato quella di Pinocchio. Dopo qualche scaramuccia, i due decisero di separarsi e seguire ognuno la propria strada.
A dire il vero, la separazione fu abbastanza indolore, perché Gennaro si consolò subito con Mattia Di Lorenzo con cui sembrava intendersi benissimo. I figli della lupa e i figli dei fiori (il garofano ormai moscio) formarono subito un’allegra famiglia allargata e speranzosa e in quasi due anni di convivenza, seppur tribolata, qualcosa si riuscì a fare. Ben poco devo dire. Ma possono i lupacchiotti giocare a lungo con i fiori? Impossibile! I lupi sono sempre lupi e i fiori, a lungo andare, si ammosciano: una zampata dei primi e – zac! -  i secondi vanno a farsi fottere. Tutto prevedile.
E intanto, mentre Gennaro viveva e terminava la sua avventura con Mattia, Pasquale, da quel volpone che è, zitto zitto, cacchio cacchio, aspettava che il figliuol prodigo, dissipate tutte le sostanze, si rifacesse vivo. “Qua deve tornare!” diceva a se stesso. E si! Perché chi ha mangiato e fatto mangiare politica per tutta la vita, certe cose le sa. Poteva sbagliarsi? No, non poteva. Esaurite le infatuazioni extrafamiliari, si ritorna alla base. La famiglia, anche se di merda, è sempre famiglia.

Ma di quelli che da lupi si sono trasformati in fiori e di quelli che da fiori si sono trasformati in lupi per dare una mano alla famiglia allargata, che ne sarà ora?  Dei parenti, degli amici, degli amici degli amici che per un eccesso d’affetto hanno accettato di subire questa metamorfosi kafkiana, che ne sarà? A quale famiglia sentiranno di appartenere ora? Si sentiranno finalmente liberi o si sentiranno orfani?…
Credo di saperlo: subiranno un’ulteriore trasformazione! Non più lupi, non più fiori, ma il solito codazzo di pecore che andrà dove lo spingerà il cane pastore. Tutto rassicurante come prima. Continueranno a pascolare in una palude melmosa, disposte a seguire qualcosa che sembrerà un bellissimo vessillo ed è invece un lurido straccio svolazzante.

Personalmente, non amo le stupide pecore. Preferisco i caproni che se ne vanno per conto proprio.  E adoro quelli esuberanti che sanno dare cornate. Peccato che ce ne sono troppo pochi in giro! Se tutte le pecore sapessero trasformarsi in caproni, le cose sarebbero molto, molto diverse!

Amanteus

sabato 9 ottobre 2010

Facebook

L'alba del nuovo millennio è stata segnata dall'avvento di internet e dalla comunicazione in tempo reale che hanno portato a una nuova concezione di trasmettere le informazioni.
Con il progresso tecnologico quasi tutte le famiglie dei paesi più industrializzati si sono dotate di un Personal Computer: una finestra sul mondo disponibile a tutti in tempo reale.
Tutto questo ha portato a una rapida evoluzione del modo di pensare di milioni di persone, tutti collegati istantaneamente a un'unica e immensa rete.
Grazie ad internet è possibile accedere ad una miriade di informazioni e servizi con una rapidità impensabile fino a qualche anno fa. 
L'ultima trovata è quella dei social network, ove tutti possono pubblicizzare la propria immagine.
Facebook, Twitter, Netlog, sono solo alcuni dei nomi dei social network più diffusi.
Facebook è stato creato nel 2004 da uno studente dell'università di Harward con lo scopo di trapiantare sul web gli annuari con le foto di ogni singolo studente che alcuni college americani distribuivano all'inizio di ogni anno accademico come mezzo per conoscere le persone all'interno del campus. Nel giro di pochi mesi aderirono all'iniziativa molte altre università statunitensi e dal 2006 il servizio fu disponibile anche per  le scuole superiori e le grandi aziende. 
Negli ultimi mesi in Italia si è verificato un aumento esponenziale degli utenti iscritti a Facebook, per la maggior parte giovani studenti, che hanno scelto di far parte di questo progetto per conoscere e farsi conoscere.
Il sito è gratuito e ognuno può dunque creare un proprio profilo che contiene fotografie, interessi personali, scambiare messaggi privati o pubblici, aggiungere alla lista degli amici altri utenti con cui condividere i propri dati e riunirsi in gruppi di amici.
Molte persone sono rimaste assuefatte da questo servizio e passano le intere giornate a interagire con altri utenti, modellano la propria esistenza per essere sempre più in vista sul social network del momento.
Si è arrivati addirittura alla tacita concezione che chiunque non abbia un account di Facebook è tagliato fuori dalla società, una cosa che sembra inconcepibile.
Facebook è solo uno dei tanti mezzi di comunicazione che abbiamo a disposizione e non dobbiamo farne un uso smodato.
Ci sono tanti altri modi per conoscere nuove persone e di passare il tempo.
anonimo 

mercoledì 6 ottobre 2010

Un popolo che non sa riprendersi il futuro

Degli italiani qualcuno disse, nel lontano 1935, che fossero un popolo di santi, eroi, poeti e navigatori. Può darsi che allora questo qualcuno avesse un buon motivo per dirlo,  un oscuro signore malato di megalomania che finì poi a testa in giù.
L’orgoglio, seppur opportunista, che si cela in questa frase non ha più motivo di essere perché ormai gli italiani sono ben altro: un popolo di papponi, puttane e puttanieri che nulla hanno a che fare con i santi e gli eroi. E l’altro oscuro signore malato d’onnipotenza, che allatta la maggior parte di essi, non finirà a testa in giù come il suo predecessore, né glielo auguro; gli auguro però di cadere così pesantemente a culo per terra che non sarà più capace di rialzarsi. Ma anche questo sembra improbabile, nonostante le numerose scivolate.
Allora c’era un movimento che si chiamava “Resistenza” fatta di uomini con le palle che ebbero il coraggio di combattere  la prepotenza  e l’oppressione, lasciandoci anche la vita. Molte vite.
Oggi gli uomini sono rimasti, ma le palle sono scomparse. In compenso ci sono tante altre cose che fanno di questi uomini dei pupazzi di gomma che si possono tirare di qua e di là senza mai rompersi, che si piegano, si curvano, si flettono, si appiattiscono come tappetini su cui passa un piede sporco di merda che li deturpa. E loro non dicono una parola. Si lasciano deturpare sorridendo. Basta avere le tasche piene… Di che?

Sono arrabbiato. Sono arrabbiatissimo.
Mi fanno schifo queste persone che si lasciano comprare, queste donne che si offrono come mercanzia di basso valore per raggiungere un misero scopo. Mi fanno schifo queste persone che, come sanguisughe, succhiano la vita, il sangue, il futuro della povera gente, regalandogli disoccupazione, nevrosi, follia, morte sul lavoro, miseria. Mi fa schifo questo popolo di povera gente che non vuole pensare, non vuole  capire, non vuole analizzare e ingoia tutto ciò che gli viene propinato, anche il percolato più schifoso; che si accontenta, che sa solo lamentarsi e alzare le spalle come se la cosa non lo riguardasse più di tanto; questo popolo incapace di ribellarsi alle bugie, alle adulazioni e alla prepotenza di chi sa di poter comprare tutti: deputati, senatori, magistrati, giudici, giornalisti, amici e nemici e si fa forza di questo.
C’è mai veramente stato un popolo di santi, eroi, poeti e navigatori? Forse stralci di un popolo che ora sembra inebetito, ubriaco delle troppe stronzate mediatiche che gli vengono propinate di proposito per impedirgli di pensare. E non pensa.

E noi carinolesi siamo forse diversi? Cosa siamo diventati? Un popolo di pezzenti che ancora elemosina briciole di vita da qualcuno più furbo di altri che riesce a fare il capopopolo e gestisce i soldi pubblici, i nostri, per farsi amici ed amiche.  Che sa regalare posizioni di prestigio a chi più  gli comodo sulla pelle di tanti ai quali  non sputa neanche in faccia.
Che cosa ne riceviamo in cambio? Servizi? Neanche la parvenza! E allora non siamo ancora stanchi di permettere a quattro giocolieri incompetenti di gestire le nostre vite e il nostro futuro? Quando ci rendiamo conto che la forza siamo noi e solo noi e li mandiamo a quel paese? Che cosa vogliamo ancora aspettarci da loro?
Vogliamo darci finalmente una mossa e mandare tutti i soliti papponi a quel paese, creandoci una via d’uscita,  o vogliamo rimanere per sempre in questo pantano  puzzolente?

Nuvola Rossa

lunedì 4 ottobre 2010

cosa ho di italiano

Oggi non voglio essere Carinolese, Casanovese, Nocelletese né di S. Donato nè S. Ruosi nemmeno di Ventaroli e neppure di S. Anna. Non voglio essere di Casale e neppure della croce di Casale o di Borgo Migliozzi, non voglio essere di S.Croce e non voglio essere nemmeno di S.Bartolomeo. Non m’interessa se è meglio il vino di Casale piuttosto che  quello di Casanova, non m’interessa nemmeno se l’olio è più profumato in quella zona rispetto a quell’altra parte della collina. Non m’interessa se S.Anna nonostante così piccolo sia uno dei borghi più belli del comune e non m’interessa se a Casanova è passato S.Francesco come non m’interessa del vescovato di Carinola o dell’episcopio di Ventaroli. Insomma, oggi, nonostante sono carinolese della provincia di Caserta quindi campano e tifoso del Napoli m’interessa di sapere se sono ancora  italiano. Vorrei capire quanto d’Italia c’è in me? 1861 2011 un compleanno festeggiato con film, fictions, mostre fotografiche, articoli, convegni ecc ecc in quasi in tutto il territorio nazionale ma nonostante tutto l’Italia è sempre quella della nazionale calcistica o al massimo quell’entità culturale ormai sempre meno culturale e sempre più identificata con i suoi stereotipi come pasta, mafia, mandolino ecc ecc. 150 anni d’Italia eppure non sembra. Ancora gli stessi problemi che devono esserci altrimenti che Italia sarebbe. Il sud  sempre più a sud e il nord sempre più a nord le mafie che prendono appalti dallo stato e lo stato che quando serve si sostituisce alla malavita, la chiesa che mette paletti qua e là disoccupati a iosa che spaziano in lungo e in largo per cercare uno stipendio, le campagne che si svuotano e le città sempre più grigie: praticamente le stesse dinamiche che caratterizzano il bel paese dalla sua fondazione. Il particolarismo culturale fatto di dialetti tradizioni usanze che sembravano la forza e  la vivacità di un paese oggi sembrano chiari limiti e ovvie distanze. Tutti contro tutti ma tutti uniti quando si deve salire sul carro del vincitore. Oggi l’italia non è un paese che mi piace tanto ma nonostante tutto sono Italiano e in questa sede vorrei capire cosa resiste in me d’Italia. Esclusa la lingua e la bandiera credo che la mia italianità va riscontrata proprio nei difetti che questa nazione ogni giorno pone sopra alle qualità. Mi sento molto Italiano quando riesco ad ottenere traguardi passando sotto la regola così come fa il presidente Berlusconi, mi sento italiano quando ancor prima della persona guardo i simboli così come è di moda tra i leghisti. Sento forte il valore Italiano quando il mio egoismo supera le idee e il rispetto, come  tutti i parlamentari. Ma la cosa più italiana che faccio è quando con un sorriso da stronzo entro in casa, dò un bacio alla mia compagna e vado in bagno, mi guardo allo specchio e sghignazzando  penso alla mia amante.   

Faceless

domenica 3 ottobre 2010

Sognando il prossimo sindaco


Il sognatore di mezza estate ha stimolato, nel sognato,  un interessante elogio del sogno , così, trovandomi nel mio, anch’io ho sognato  ad occhi aperti.  Non  ho sognato un nome ma, complici le letture estive, ho sognato un metodo.

Ho sognato che prima di pensare a CHI dovrà essere il prossimo Sindaco tutti i politici e aspiranti tali si riunivano e pensavano a COSA dovrà fare il prossimo sindaco.
In Base a questo,poi, avrebbero scelto la persona con i requisiti richiesti dal Compito come fa una qualsiasi squadra di calcio, una qualsiasi azienda ed un qualsiasi altra organizzazione che persegue i propri fini legittimi.

Ma come si stabiliscono i requisiti senza essere influenzati dalle persone intorno al tavolo? Come Rawls, nel sogno ho immaginato la “posizione originaria” protetta da un “velo di ignoranza” sul futuro.

Azzerata la memoria il gruppo deve scegliere il suo leader  e, visto che tutti vogliono avere una possibilità hanno iniziato dai requisiti molto astratti e generali i, in modo da non escludere nessuno in principio.  Presumibilmente arriveranno ai questi sei punti:

1. Deve conoscere il territorio ed il suo popolo tanto da proporre soluzioni concrete ai problemi dei cittadini, in modo organico e con qualche stimolo all’orgoglio locale per ridarci speranza nel futuro. Questo programma, tra l’altro sarebbe di non poco aiuto per la vittoria.

2. Deve saper comunicare questa speranza alla squadra ed al popolo. Convincerli che è la cosa giusta. Per questo deve avere quel tanto di personalità ed una storia che gli conferiscono l’autorevolezza  necessaria a dare credibilità al programma.

3. Deve condividere questo programma con una squadra compatta che accetti l’idea della persona giusta al posto giusto. Per ogni ruolo ci vogliono dei requisiti. L’equilibrio tra le capacità ed i voti è un grande compito che deve saper gestire.

4.  Deve gestire il quotidiano senza mai perdere di vista gli obiettivi perché troppo spesso l’urgente distrugge l’importante. Coordinare e stimolare i vari assessori come un buon allenatore i suoi giocatori.

5. Deve avere la capacità di controllo per capire se si stanno raggiungendo gli obiettivi o se bisogna cambiare qualcosa. Un controllo della spesa sufficiente a garantire le risorse dove servono eliminando gli sprechi.

6. Deve, infine rappresentare l’orgoglio della sua terra in tutte le occasioni ufficiali e non con proprietà di linguaggio e, soprattutto con autorevolezza e concretezza del discorso.
Naturalmente non li ho inventati, e qualcuno potrà riconoscerne la provenienza, ma solo riformulati allo scopo. 

Se diamo un punteggio da 0 a 10 per ogni punto, si che il massimo sia 60,  la sufficienza sarà 36. Conviene stabilire anche che non deve esserci insufficienza netta ( meno di 4) su nessun punto.
Stabiliti questi requisiti, i convenuti , che erano  gli attuali politici Carinolesi hanno cominciato a darsi i voti.

Purtroppo non  sono arrivato a sognare il risultato.
Voi che voti gli dareste?



sabato 2 ottobre 2010

Le beffe della vita

Non aveva voglia di andare a dormire quella notte. Sentiva di poter correre per il mondo con la forza di un leone, di non aver più bisogno di dormire, o di mangiare. Camminare, parlare, ridere, piangere, volare lontano verso l’imperscrutabile profondità del destino fino a che non faccesse giorno. Sognava di vivere per sempre, ma come se quello fosse l’ultimo giorno. Si, in quel momento, Roberto era assolutamente consapevole di quanto fosse sacra la vita. A quanti di voi non è successo di sentire questa stessa sensazione? Magari quando avete per caso fatto un bell’incontro con una persona, oppure quando dinanzi ad un buon raccolto vi siete sorpresi a sorridere, o ancora restando impalati di fronte al  silenzio degli alberi. Oppure quando avete amato, stretti in un letto malsicuro e delizioso,  morendo tra le braccia calde dell’amante.
Ora però strada facendo, ripensava alla sera prima, alla baruffa scoppiata nemmeno ad inizio serata con quel solito coglione, alla barba fatta per scommessa al piccolo Luciano, ai quartaroni vinti a tre sette. Si era divertito assai, ma quando poteva continuare questa vita? Intanto le gambe sembra che non conoscessero altre strade se non quella della goliardaggine pura. Roberto ora era arrivato ad una piazzetta a quasi mezzo miglio dal centro della città, dove la notte si perdeva dentro quelle fumose locande che ben conosceva, zeppe di mignotte, cariche di vino. Lì dentro non si parlava di politica, non si litigava che per cose da niente, e poi si ritornava a bere insieme. Ma ora era arrivato. La porta era chiusa, ma da dentro veniva il solito baccano. Che fosse una burla? Perchè continuava a bussare e non si decidevano ad aprirgli? Si abbassò e si mise a guardare dal buco della chiave. Fece il suo ingresso dal cesso con i piedi ben piantati a terra, uno strano personaggio, che disse qualcosa alla formosa locandiera, la quale ammiccò a sua volta. La sala era uno spettacolo. Ora il vecchio Mario, ubriaco da vent’anni lì dentro, pare stesse guardando proprio verso la porta, dove l’occhio di Roberto mirava rapito la visione dell’allegra  festa in corso. Ma Mario era troppo ubriaco per parlare. Non era uno scherzo, erano tutti ubriachi e si erano chiusi dentro, per festeggiare fino a morire la festa di San Crisostomo. Che cosa poteva fare? Continuò a bussare forte, fino a quando qualcuno aprì la porta. La musica si fermò, tutti uscirono fuori, e quando lo riconobbero scoppiarono dal ridere vedendolo sobrio e ad uno ad uno cominciarono a pisciargli addosso. Anche le donne gli pisciavano addosso. Gli pisciavano dappertutto, anche in bocca e credette di berne molta, fino a quando stava per affogare e glup-glu glu –glup-gll gllu. Si svegliò e si pisciò addosso. Era un brutto sogno, cominciato bene.
Non c’è nessuna morale in questa storia, se non quella che non c’è nessuna differenza tra credere di vivere o credere di sognare. Infatti, come si è visto, la pisciata alla fine è meravigliosamente apparsa tra le lenzuola. In quel momento Roberto ha capito quanto la vita fosse una beffa.
Mimì

martedì 28 settembre 2010

XI festa della vendemmia

Dopo l'anno sabbatico a Casale di Carinola è tornata la festa della vendemmia. L'anno sabbatico fu voluto dal comitato organizzatore ufficialmente per prendere un anno di meditazione, ufficiosamente per dissidi sorti tra i membri del comitato. 
Ci furono tante critiche e polemiche ma tutte tese a migliorare sempre più la manifestazione - Dimostrazione che, quando le critiche sono costruttive, sono accettate e sono anche utili. L'anno di riposo è servito per far tornare una festa rinnovata ma sempre nel solco del primo impianto. Il filo conduttore della festa è stato  sempre quello della partecipazione popolare, come voluto da chi la ideò dodici anni fa. In questa edizione sono stati eliminati gli interventi tecnici per rendere la festa ancora più vicina al popolo. Alcuni non hanno gradito questa variazione sostenendo che la scienza ufficiale si deve sempre ascoltare anche in enologia. Come per l'olio anche per il vino ascoltare i professionisti è sempre utile e si può sempre mettere in pratica qualche loro prezioso consiglio. In effetti si nota in giro una accresciuta cultura enologica grazie ai vari convegni ed anche ad internet che molti aspiranti cantinieri consultano con frequenza ed attenzione. Conseguenza logica, il notevole aumento di ottimi prodotti enologici che vengono anche commerciati con discreto successo di quantità e prezzo.
Anche la viticultura che era stata abbandonata per la frutticoltura ha avuto un rilancio notevole con l'impianto di nuovi vigneti sia per uso familiare che a scopo commerciale. Sono state realizzate parecchie cantine ed altre sono in progettazione, anche se si sente la mancanza di una cantina sociale. Una cantina sociale è vitale per sostenere l'attività enologica di un territorio in quanto serve a propagandare il prodotto in aree più vaste d'Italia ed anche oltre confine. Sono discorsi fatti e rifatti da tanti, ma la parola cooperazione a Carinola come in tutto il sud resta tabù. 

Tornando alla nostra festa, si è notato un afflusso enorme di visitatori che a qualcuno sono sembrati meno dell'ultima edizione. Si è avuta questa impressione per due motivi, perchè sono arrivati gradualmente e perchè forse se ne aspettavano molti di più. Si è capito dai tanti cartoni di bicchieri restati invenduti che gli arrivi erano stati previsti con cifre con qualche zero in più. A parte qualche piccola e normalissima pecca l'organizzazione ha funzionato in modo militare come ordine ed efficienza sia nella somministrazione del vino che delle pietanze senza dimenticare i quintali di caldarroste preparate da veri professionisti del settore. Non si può non dedicare un pensiero particolare alle signore di Casale che hanno preparato ogni ben di Dio fondendo insieme impegno, bravura ed esperienza. Tanti primi piatti introvabili nei ristoranti e se anche fosse certamente non della stessa squisitezza.Tante verdure cotte nei modi più impensati ma tutte alla fine di un gusto sopraffino da sembrare secondi piatti. Non si può dimenticare i formaggi di ogni tipo e stagionatura con le immancabili mozzarelle che sembravano occhietti furbetti che ti guardavano nascoste sul tavolo. Un pensiero particolare ai dolci, tanti dolci, buonissimi dolci. Non li si può descrivere tutti perchè ormai la globalizzazione è arrivate anche nell'arte culinaria ed in particolare nella pasticceria. Elencarli tutti è impossibile ma su tutti troneggiavano le crostate con la  marmellata di ciliegie locali ed i "guanti" insieme ai panettoni che sembravano volessero scoppiare da un momento all'altro tanto erano ben lievitati. 
Chi legge non abbia l'impressione che quanto scritto sia l'elenco di tutto quanto offerto ai visitatori o parte perchè per descrivere tutto ci vorrebbero parecchie pagine. Ma su tutto quello che ha colpito di più come sempre, è la generosità delle signore di Casale con il loro insistente "prendi questo, prendi quest'altro" sommergendoti sotto un piatto di leccornie che a stento riesci a reggere in mano. Bellissima serata anche se rovinata sul tardi della pioggia. Bellissima per lo stomaco  perchè non è facile consumare tante leccornie tutte insieme e quasi gratis e per lo spirito di trovarsi in mezzo a contatto con delle persone che sprizzano dai loro sorrisi tanti buoni sentimenti. Di questi tempi non ditemi che è poco.  

Zufolo

lunedì 27 settembre 2010

Le 10 strategie della manipolazione mediatica

Il linguista Noam Chomsky ha elaborato la lista delle “10 Strategie della Manipolazione” attraverso i mass media.

1 - La strategia della distrazione. L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche utilizzando la tecnica del diluvio o dell’inondazione di distrazioni continue e di informazioni insignificanti.
La strategia della distrazione è anche indispensabile per evitare l’interesse del pubblico verso le conoscenze essenziali nel campo della scienza, dell’economia, della psicologia, della neurobiologia e della cibernetica. “Sviare l’attenzione del pubblico dai veri problemi sociali, tenerla imprigionata da temi senza vera importanza. Tenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza dargli tempo per pensare, sempre di ritorno verso la fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).

2 - Creare il problema e poi offrire la soluzione. Questo metodo è anche chiamato “problema - reazione - soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” che produrrà una determinata reazione nel pubblico in modo che sia questa la ragione delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, oppure organizzare attentati sanguinosi per fare in modo che sia il pubblico a pretendere le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito delle libertà. Oppure: creare una crisi economica per far accettare come male necessario la diminuzione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.

3 - La strategia della gradualità. Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, col contagocce, per un po’ di anni consecutivi. Questo è il modo in cui condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte negli anni ‘80 e ‘90: uno Stato al minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione di massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.

4 - La strategia del differire. Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria” guadagnando in quel momento il consenso della gente per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro di quello immediato. Per prima cosa, perché lo sforzo non deve essere fatto immediatamente. Secondo, perché la gente, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. In questo modo si dà più tempo alla gente di abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo con rassegnazione quando arriverà il momento.

5 - Rivolgersi alla gente come a dei bambini. La maggior parte della pubblicità diretta al grande pubblico usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, spesso con voce flebile, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente. Quanto più si cerca di ingannare lo spettatore, tanto più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se questa avesse 12 anni o meno, allora, a causa della suggestionabilità, questa probabilmente tenderà ad una risposta o ad una reazione priva di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).

6 - Usare l’aspetto emozionale molto più della riflessione. Sfruttare l'emotività è una tecnica classica per provocare un corto circuito dell'analisi razionale e, infine, del senso critico dell'individuo. Inoltre, l'uso del tono emotivo permette di aprire la porta verso l’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o per indurre comportamenti….

7 - Mantenere la gente nell’ignoranza e nella mediocrità. Far si che la gente sia incapace di comprendere le tecniche ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza creata dall’ignoranza tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare da parte delle inferiori" (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).

8 - Stimolare il pubblico ad essere favorevole alla mediocrità. Spingere il pubblico a ritenere che sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti...

9 - Rafforzare il senso di colpa. Far credere all’individuo di essere esclusivamente lui il responsabile della proprie disgrazie a causa di insufficiente intelligenza, capacità o sforzo. In tal modo, anziché ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e si sente in colpa, cosa che crea a sua volta uno stato di depressione di cui uno degli effetti è l’inibizione ad agire. E senza azione non c’è rivoluzione!

10 - Conoscere la gente meglio di quanto essa si conosca. Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno creato un crescente divario tra le conoscenze della gente e quelle di cui dispongono e che utilizzano le élites dominanti. Grazie alla biologia, alla neurobiologia e alla psicologia applicata, il “sistema” ha potuto fruire di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia fisicamente che psichicamente. Il sistema è riuscito a conoscere l’individuo comune molto meglio di quanto egli conosca sé stesso. Ciò comporta che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un più ampio controllo ed un maggior potere sulla gente, ben maggiore di quello che la gente esercita su sé stessa.

Noam Chomsky

venerdì 24 settembre 2010

Il Savone: un padre molto trascurato

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Come più volte ho ribadito nei miei articoli, la conoscenza del territorio aiuta a rispettarlo, proteggerlo, valorizzarlo ed amarlo.
In questo particolare pezzo, desidero occuparmi brevemente del Savone, il piccolo  corso d’acqua che attraversa il carinolese e che nell’antichità ricopriva un ruolo fondamentale. Altri avvenimenti storici saranno solo accennati. I pignoli del ramo che pensano di leggere un trattato storico completo resteranno delusi, tuttavia sarà ben accetto chiunque voglia offrire i propri contributi conoscitivi per la gioia dei lettori.

 *****
La parola “Falerno”, che nell’antichità denominava il nostro territorio, diventato famoso per quell’ottimo vino esportato in tutto il mondo classico, potrebbe essere di origine italica o etrusca. Deriva probabilmente da Faler, il nome dato dagli antichi a quel placido e piccolo fiume che i Romani chiamarono poi Savone (Safo)) e che nasce dal vulcano di Roccamonfina, attraversava il distretto di Teano e di Cales, il carinolese in tutta la sua lunghezza, da est a ovest, per finire,  dopo circa 48 km, a sud di Mondragone.
Falerno si chiamò il territorio, Falerno il principale prodotto, il vino, e Falerina o Falerna la tribù di coloni istituita  nel 318 a.C.
Prima che i romani mettessero piede nel nostro territorio, il fertilissimo ager Falernus apparteneva probabilmente all’ etrusca Capua, prospera città, capoluogo dei Campani.
Ma il nostro territorio faceva gola soprattutto ai Sanniti che si sentivano più in diritto di averlo, visto che da sempre abitavano nell’area e per nulla al mondo avrebbero voluto lasciarlo ai romani.  Per loro i romani erano degli intrusi arrivati all’improvviso e per contendersi la supremazia del basso Lazio e della Campania settentrionale, romani e sanniti se le diedero di santa ragione in una delle ben note guerre sannitiche, la prima,  ma solo dopo le battaglie  di Veseris prima e di Trifanum poi, in cui nel 340 a.C. l’esercito romano sconfisse le città della Pentapoli Aurunca e i loro alleati sanniti, Capua fu costretta a  cedere l’ager Falernus ai romani. I poveri sanniti, rotti e mazziati, dovettero mollare definitivamente l’osso e sparire dalla circolazione.
Da questa conquista, i romani ereditarono una florida situazione commerciale. Il Savone, ritenuto dalla maggior parte degli studiosi il confine meridionale dell’ager Falernus e linea di demarcazione tra questo e l’ager Statanus,  era un corso d’acqua navigabile particolarmente vitale, che niente aveva a che fare con la ridotta portata d’acqua di oggi;  una di quelle vie d’acqua che univa la costa alla via interna che collegava la Campania e il Lazio, quella che poi fu la futura via Latina dei romani, pressappoco l’ odierna Casilina.

Il collegamento con la via Latina significò ricchezza e benessere  anche per la zona costiera. Infatti, mentre gli altri distretti ausoni erano entità sociali chiuse su se stesse, i distretti toccati dalla via Latina erano diversi;  il contatto continuo con Capua, le città latine e i loro commerci li rendeva sicuramente più dinamici e vitali. La Cales preromana appariva, infatti, ricchissima proprio grazie a questa importante via interna su cui si svolgevano i commerci, nonostante la vicinanza del mare. Cales non era già più un villaggio, ma una protocittà, che si distaccava  notevolmente dalle consuete forme abitative  degli ausoni.
Alla foce del Savone sorse uno dei santuari italici più arcaici dell’area, Panetelle, a cui questa favorevole posizione giovò moltissimo e lo testimoniano le numerossime statuette votive in esso ritrovate. Il santuario era un probabile luogo di incontro della popolazione dei villaggi dell’area sinuessana.
  Sempre sul Savone, a pochi km da Cales e Teano, a Montanaro, esisteva un altro ricchissimo luogo di culto preromano, poi riutilizzato dai romani, in cui sono stati rinvenuti molti oggetti d’oro. Il tempio risale al VI – V secolo a.C e dai materiali ritrovati in esso si deduce che, oltre ad essere luogo di culto, era anche emporio commerciale frequentato da ausoni, etruschi, latini, greci, sanniti e romani. Più tardi, verso il III secolo a.C., i romani lo ristrutturarono completamente dedicandolo alla dea Demetra.
Probabilmente furono proprio queste vie d’acqua come il Savone  e il contato con l’interno che costituirono un primo approccio di commercializzazione,  tramite porti e scali marittimi, che più tardi si evolse notevolmente con l’istituzione delle colonie. 

Oggi il Savone non può chiamarsi più neanche fiume. E’ un fiumiciattolo  a cui è riservato il destino di tutti i   corsi d’acqua di questi tempi moderni: nasce sano e vitale e muore stanco e malato.
Usato nel recente passato per l’irrigazione dei campi, adesso non lo è neppure per quello.  Eppure non ha perso il suo fascino. Alle sorgenti è ancora bellissimo e offre angoli naturali di suggestiva bellezza con le sue cascatelle e il suo regime torrentizio. Man mano che però procede verso il mare si impregna di veleni, di scarichi di fogne, di canaletti di scolo, diventando esso stesso una fogna a cielo aperto.
Nelle sue acque e lungo le sue sponde si ritrova di tutto: immondizia, rottami, carcasse di animali e gli abitanti dei luoghi che attraversa lo evitano come la peste, non pensando che, se è diventato quella fogna che è, lo si deve solo a noi uomini che non riusciamo a difendere l’eredità del passato.
Invito tutti i sindaci interessati, tra cui quelli di Carinola, Falciano e Francolise, a unire le loro forze per un eventuale  risanamento del territorio che possa ridare dignità a questo corso d’acqua su cui è passata la nostra storia, adottando anche seri provvedimenti affinché non si continui a consumare un simile scempio.

- le foto dell'alto corso del Savone sono state gentilmente concesse dal sig. Oreste De Donato.
- la foto dell'antica Cales è del sig. Dante Caporali.

 Clio
con la consulenza di Minucius Aeterius

mercoledì 22 settembre 2010

Il Villaggio delle Lanterne Zozze

lanterne zozzeTanti anni fa Marco Polo nei suoi lunghi viaggi attraversò la Cina in lungo ed in largo visitandone anche i villaggi più piccoli. Nel suo girovagare aveva sempre notato le allegre lanterne rosse che tutti i locali pubblici e le case di famiglie importanti tenevano accese per tutta la notte. Più numerose e lucenti erano le lanterne tanto più era importante il locale o la famiglia che le esponeva. Marco Polo restò colpito da quello spettacolo che tutte le sere le lanterne davano in tutte le città e villaggi della Cina tanto da annotarlo nei suoi appunti citandole più volte. Pochi conoscono invece il Villaggio delle Lanterne Zozze in quanto le annotò in un diario che non fu pubblicato. 
Allontanatosi dalla capitale per visitare i vari luoghi a lui sconosciuti, girovagando nelle campagne arrivò in un villaggio dove fu copito da un fatto inusitato. Tutte le case erano abbellite con quelle che a lui a prima vista sembrarono le solite lanterne. La stranezza che lo colpì subito fu che erano variopinte e non del solito colore rosso che lui era ormai abituato ad ammirare. Ogni cancello aveva appese tante lanterne di vario colore di numero variabile ma in proporzione alla grandezza dell'abitato, più grande era il fabbricato più alto era il numero di lanterne appese. Giunto nel corso pricipale gli sembrò veramente un bello spettacolo quella esposizione di tanti orpelli che davano un aspetto festoso al villaggio. Continuando ad addentrarsi nel paese incominciò a rendersi conto che qualcosa non andava. Notò infatti che quelle che lui pensava fossero lanterne non erano appese come di solito ma erano attaccate in modo disordinato sui cancelli ed ai muri in modo scomposto. Si fermò per osservare meglio e giunto a pochi metri si rese conto del suo abbaglio per cui esclamò" ho scambiato monnezze per lanterne" Incuriosito chiese ad un indigeno cosa fosse quella novità particolarmente suggestiva ma anche molto puzzolente. 
Il pover'uomo guardandosi intorno per assicurarsi che nessuno lo vedesse gli spiegò l'arcano. Il governatore aveva imposto a tutti gli abitanti di esporre i loro rifiuti con l'ordine di rimuoverli solo ogni dieci giorni pena cento frustate e la solita forte multa. Visto lo sbigottimento del suo interlocutore il villico continuò nello spiegargli che in quel modo si metteva in mostra la ricchezza degli abitanti. Gli fece notare le abitazioni delle famiglie più abbienti con tantissimi sacchi mentre quelle dei più poveri erano adornate da un numeo minore. Oltre che a misurare il tenore di vita dei sudditi servono anche a decorare il villaggio che ha un aspetto più allegro. Unica nota stonata è che la tassa per l'asposizione dei rifiuti è altissima e chi non espone nulla viene punito duramente per occultamento di monnezza, reato gravissimo. Marco provò a chiedere come mai non ci fosse una ribellione a quelle angherie provocando la meraviglia dell'interlocutore. Gli disse che nessuno si ribellava anzi tutti avevano accolto la disposizione molto favorevolmente. Tutti fanno a gara per appendere i loro rifiuti ostentando  così la propria ricchezza, alcuni arrivano perfino a rubarli dai vicini per appenderli alle proprie abitazioni. Se gli addetti ai lavori provano a raccoglierli prima dei dieci giorni previsti sono aggrediti e picchiati duramente. Aggiunse che siccome il cacicco locale eletto dal popolo non faceva rispettare fedelmente la disposizione era stato rimosso e sostituito da tre solerti funzionari governativi che avevano ripristinato il rispetto rigoroso della legge. Marco restò alquanto perplesso ma preso atto delle delucidazioni ricevute annotò nel suo diario"oggi ho visitato il villaggio delle lanterne zozze"            
Marco Polo
lanterne zozze

lanterne zozze
lanterne zozze
lanterne zozze

lunedì 20 settembre 2010

Riflessioni di un tamarro

Più marcio e pericoloso del degrado gestionale amministrativo con cui ci confrontiamo quotidianamente, c’è  un degrado ancora più  letale, ovvero quello intellettuale che in questi anni, sempre più forte, sta imperando nei nostri confini. Mi dispiace molto dirlo, ma questo non è più il mio paese. Casanova, così come tutte le frazioni del Comune, stagione dopo stagione,  sembra  diventare un prolungamento di Gomorra. Esatto, proprio la città biblica che in Saviano è diventata una sorta di regno criminale che abbraccia il napoletano fino all’estrema periferia di Caserta.
Credevo che, sfortuna per sfortuna, almeno Casanova, grazie alle sue radici contadine, seguisse alcuni ideali basati sul rispetto reciproco e sulla salvaguardia delle proprie terre, allontanandosi così da quelle dinamiche di vita proprie dell’ impero Gomorra. Oggi, invece, vedo un forte degrado intellettuale che spalanca le porte a mentalità criminali e a modi di vita di una periferia cittadina che, ovviamente, non hanno nulla a che fare con la nostra terra.
Purtroppo, giorno dopo giorno, all’ignoranza genuina di paese  sembra sostituirsi l’ignoranza  della provincia puzzolente di rifiuti. Facendo un giro per tutto il Comune, noto che ci stiamo mutando in una frazione di Casal di Principe piena di giovani cafonamente cattivi.
Essere tamarri non è di per se una cosa negativa se si è legati ad un fare tamarro nostrano, ma vedere giovanissimi con atteggiamenti da ultras è decisamente deprimente. 
Qualche anno fa, ricordo perfettamente che se qualche male intenzionato proveniente da Gomorra voleva fare il bulletto a Casanova, alcuni genuini, ruspanti cafoni nostrani subito lo rispedivano in malo modo al paese d’origine al fine di preservare una sorta di identità casanovesi.  Oggi, invece, avviene il contrario. Infatti se hai il fare da delinquente vieni accolto a braccia aperte con aria di sottomissione.
La mia è solo una riflessione nata dall’osservazione di alcuni atteggiamenti che palesemente si vedono nelle piazze e nei bar del nostro territorio. Tutte cose che mi allontanano sempre di più dal mio paese. Una cosa è certa: che io, all’occasione, sarò sempre un vero e autentico cafone di paese che non perderà tempo a difendere questo mio status rispetto agli abitanti di Gomorra o aspiranti.  

Tamarro di paese

venerdì 17 settembre 2010

Modeste proposte per una buona politica

 Porta aperta al sogno
Qualcuno non avendo sogni più “brillanti” da sognare ha sognato di promuovere la mia candidatura a Sindaco. Da qui una serie di “commenti” via Internet, alcuni dei quali mi sopravalutano (grazie), altri mi sottovalutano (grazie lo stesso).
Li ho letti con un certo imbarazzo, con un po’ di malinconia, un po’ di divertimento, una piccola dose di vanità. Da tutti trapela un certo desiderio, una curiosità di ricevere una risposta. E una risposta la devo, sia per scansare equivoci sia per rispetto verso coloro che la chiedono.
Ma mettendomi a scrivere mi son trovato alla fine con un articolo molto lungo che non oso spedire a nessun  sito.
Pertanto quello che state per leggere è ciò che di quell’articolo è rimasto, dopo tagli e sforbiciate varie. In esso dicevo cosa intendo io per Politica,  da dove partire per una buona politica. Parlavo di alleanze, del senso civico, del principio di responsabilità; parlavo di arte, di passione, di coraggio, di intelligenza, di fantasia (sì), di linguaggi nuovi e convincenti, di energia spirituale e parlavo anche dell’aspetto cinico della politica (che esiste da quando esiste il mondo), dell’aspetto machiavellico che a volte ti costringe perfino a “sporcarti le mani” e dicevo la differenza che passa  tra l’uomo politico di valore e l’uomo politico “scalzacane”. Mi sono autocensurato in quell’articolo nella  parte in cui parlavo del modo di fare politica in questi nostri paesi, dove spesso i voti vengono elemosinati o ricattati o comprati in modo da devastare quel famoso senso civico che sta alla base di un sano consorzio umano. Dove la politica si fa a chi “sgarrupa” di più, dove la si fa creando “cricche” chiuse in lotta con altre cricche altrettanto chiuse ecc.
Poiché non mi è mai piaciuto fare di ogni erba un fascio ritengo che nelle precedenti amministrazioni ci siano stati anche elementi onesti e competenti,ma credo anche che spesso la loro onestà e competenza, vuoi per leggerezza, vuoi per mancanza di idee efficaci, vuoi per falso o egoistico “realismo”, siano state soffocate dalla “forza delle cose” che non hanno saputo dominare. Da ciò la mortificante situazione attuale.

Per quanto concerne le risposte dirette ai molti quesiti che mi hanno posto gli internauti ho dovute eliminarle, causa spazio, ma voglio dare una particolare, paradossale (per il lettore, non per me) risposta ad un quesito postomi da parecchi. (Permettetemi di fare un po’ di poesia.)
Dunque: c’è chi batte il tasto sul fatto che io sia un sognatore, un “poeta” e a suo parere la politica è troppo rude per i sognatori e i poeti,ignorando nella sua realistica ingenuità che la pelle dei sognatori è molto più dura di quella dei cosiddetti realisti.
Per prima offro questo aforisma di Flaiano: chi rifiuta il sogno si masturba con la realtà.
Ed io aggiungo:guai a colui che non sogna.

giardinetti

Sono i sogni che portano energia nella vita, sono i sogni che portano alle grandi  e piccole imprese. Sono i sogni che muovono la Storia, piccola o grande, personale e collettiva. Il grande sogno di Colombo ha portato alla scoperta dell’America,l’apertura di un locale non è altro che il sogno realizzato di qualcuno; piantare una vigna e fare un vino DOC non è altro che un sogno che diventa realtà; il piccolo sogno di qualcuno (ma non poteva farsi i fatti suoi?) spinge me a questo scritto e voi a fare commenti e ciò crea dinamismo sociale, energia dello spirito.
La realtà non è altro che sogno “realizzato”. Naturalmente ci sono sogni egoistici, personali e ci sono i grandi sogni che illuminano parti estese di umanità. Quella “realtà” che non deriva dai sogni è una ben misera realtà. Forse se gli uomini politici “sognassero” un po’ in grande le cose andrebbero meglio.
I HAVE  A DREAM (Io ho un sogno). Bastò questa frase negli anni ’60 del secolo scorso per sconvolgere gli Stati Uniti. Che bello sarebbe se ragazzi e ragazze di questo territorio indossassero una maglietta con la scritta I HAVE A DREAM.  Per testimoniare che sono spiritualmente vivi,dato che chi non ha sogni è come morto.
La realtà più triste è proprio il fatto che da noi non si sogna più o non si sa sognare. Una comunità che non ha sogni è una comunità che scompare, una comunità alla deriva. Ci faccia un pensierino su questo chi vuole fare politica.
Ci facciano un pensierino tutti. Si cerchi di capire del perché in questi luoghi non si ha più nemmeno la forza, il desiderio di sognare.

L’altra notte, alle tre e ventisette, prendo la macchina  e mi faccio un giro per i vari paesi del comune. 
Che spettacolo! Dovunque giravo lo sguardo vedevo “sogni” volteggiare nell’etere. Sogni d’oro, sogni  d’argento, d’amore, sogni politici, sogni economici, sogni intimi, sogni drammatici… tutti però belli.
Si lamentavano, poveretti, piangevano, pregavano perché qualcuno li sognasse. Ne vidi tanti nel cielo sopra Carinola, sopra Casanova, sopra Nocelleto, ovunque, sogni bellissimi, ma tristi perché nessuno li sognava, né ad occhi chiusi, né ad occhi aperti. Al ritorno proprio nel cielo sopra Casale, e precisamente dove c’è l’obbrobrio di asfalto e cemento adibito, tutto, a parcheggio, ti vedo, avvolto in una luce celestiale, questo sogno: ci sono padri e madri seguite dai loro bambini, vi vedo due politici che studiano il luogo, poi vedo negozianti, produttori, il Comitato della Festa della Vendemmia, altra gente. Mi rendo conto che stanno facendo una sottoscrizione; i due politici hanno stabilito con il loro impegno che quell’angolo viene concesso al popolo casalese perchè ne faccia un’oasi per i bimbi. Ed il generoso popolo casalese dove non provvede l’Amministrazione fa da solo. Ed ecco, come avviene nei sogni, quell’angolo  si riempie d’erba, e sull’erba sorgono giochi per bambini, panchine, alberelli. Ed eccoli giocare, i bambini, ed ecco  madri sedute sulle panchine che conversano con altre madri. Un piccolo giardino come si trova dovunque, in ogni parte del mondo, dove i bambini, per chi amministra il territorio, significano qualcosa. Solo dove i bambini non significano niente, solo là non c’è un giardinetto pubblico. Quale gusto, quale senso del bello ha guidato l’artefice di questa mostruosità? Questi sono i politici “pratici”, realisti, quelli che sanno spendere i soldi dei cittadini? Con lo stesso danaro, con un po’ di fantasia, si poteva creare un angolo di bellezza e di utilità per un popolo, invece quel popolo, volontariamente o no, è stato schiaffeggiato, è stato umiliato per mancanza di cultura o  per motivi forse peggiori da parte degli amministratori. Questa è la politica pratica,”realista”?
Ecco, l’ho provato a sognare io quel sogno, ma appartiene alla categoria dei sogni collettivi  e non basta che lo sogni uno soltanto. Devono essere molti a sognarlo perché diventi realtà.
A titolo informativo: i sogni si aggirano nel cielo sopra il nostro Comune solo nelle notti dispari e dopo le tre.
Se volete vederli cercate di non sbagliare. Nelle notti pari girano solo gli incubi.

Casale
Sempre in quell’articolo scrivevo, per mettere ben chiare le carte in tavola, una mia rapida biografia politica da quando avevo i pantaloni corti fino ai duri confusi eccitanti oscuri dolorosi pericolosi anni ’70 e poi ,uscito da quegli anni, fino a quando quello che era stato il mio partito cominciò ad autodistruggersi perdendo man mano la sua essenza ideale per essere poi definitivamente massacrato dalle zampate della magistratura. Vidi con tristezza i suoi elementi, i pochi veri, i molti falsi, disperdersi per tutti i punti cardinali della politica. Io, consideratomi politicamente sconfitto, ma forte comunque di quelle esperienze, mi ritirai, come si dice, a vita privata con i miei libri e i miei alunni. Ed ora vivo con voi in un Paese in pieno disfacimento morale ed economico. Un Paese dove la prima e massima espressione democratica - le elezioni-porta il nome di Porcellum o come l’ha definita colui che l’ha scritta, legge Porcata. Porcata:parola che deriva da porco, luogo in cui si rotolano i maiali nel fango; azione da porci.
E noi cittadini (sudditi), privati di vera democrazia, siamo costretti a dare il nostro voto con una legge che, in qualche modo, ci considera porci.
E nessuno si indigna, nemmeno l’evoluto (?) popolo di internet. Nessuno che grida la propria indignazione scrivendo:
IO NON VOGLIO QUESTA LEGGE CHE MI CONSIDERA UN PORCO E NON UN CITTADINO. IO VOGLIO UNA LEGGE CHE MI PERMETTE DI SCEGLIERE IL MIO PARLAMENTARE.

Sto divagando troppo. Dunque. Devo dare una risposta su una mia eventuale candidatura a Sindaco. E qui  potrei fare un’azione “canagliesca”, il “furbetto”, potrei fare un bel giochetto di tattica politica tale da mettere un po’ in apprensione qualcuno tenendo in sospeso la risposta.
Ma non è da me. La risposta è necessariamente: NO.
Non per i vari motivi evidenziati sul sito (sognatore, mancanza di conoscenza della macchina amministrativa ecc.). Queste son cose sormontabili con un po’ di impegno, un po’ di studio e con la scelta di efficaci collaboratori. Non sono queste le cose più difficili. Le cose difficili riguardano la coscienza, riguardano la visione che si ha del mondo e della vita, riguardano l’AMORE che si ha per questa terra e per il popolo che la abita, riguardano il principio di responsabilità, la capacità di individuare i problemi veri e di risolverli non per proprio tornaconto ma per l’interesse generale, riguardano la cultura, il senso di giustizia, riguardano il senso civico, la produzione di idee originali, e tante altre cose.
Cose che o si possiedono o non si possiedono. E chi non le possiede dovrebbe farsi da parte per il bene di tutti. Chi invece le possiede ha il dovere di farsi avanti. E l’epoca che lo richiede.
Mai come oggi si ha bisogno di uomini di buona volontà. Non è permesso il disinteresse, la pigrizia, l’indifferenza. Siamo in un periodo storico in cui per essere un buon professionista non basta eseguire bene il proprio lavoro, no, deve sentire anche il dovere di dare una percentuale di se stesso alla comunità, deve con altri sentirsi coscienza critica della società cui appartiene. Lo stesso deve fare un padre per  poter essere un buon padre: non può starsene con le mani in mano, indifferente alle cose che accadono intorno lasciando naufragare la comunità e con essa i suoi figli. No. L’indifferentismo, cosa addirittura più grave del delinquentismo, è il male che più disfa la società.
A volte mi chiedo se nel nostro territorio ci siano venti persone, culturalmente mature, evangelicamente sensibili, politicamente preparate,  in grado di costituire un comitato da ergersi a COSCIENZA CRITICA del popolo. Un Comitato che possa dialetticamente intervenire nelle scelte dei politici aiutandoli o criticandoli, costringendoli anche a confrontarsi attraverso assemblee  popolari. Per dare valore ai cittadini, per dare valore alla Politica. I politici in gamba avrebbero tutto da guadagnarci, in ogni aspetto, mentre i politici “scalzacani” e “affaristi” potrebbero essere smascherati nelle loro azioni. Io so che ce ne sono, più di venti, più di cento, anche tra chi già fa politica, di uomini e donne in grado di indirizzare su binari nuovi il corso delle cose. Basta rigenerarsi, basta mutare pelle al  modo di concepire ed affrontare la realtà. Basta sentire il dovere di farlo.


Casanova

So che qualcuno leggendo queste parole mi sta prendendo per un alieno o un antiquato, magari sta  dicendo  (cosa che ho pensato prima di lui) che alle prossime elezioni vedremo le stesse facce e ascolteremo i medesimi discorsi. Dirà che le mie parole sono sole delle parole vuote che si disperdono nel vento. Può darsi, ma io le scrivo lo stesso. Tendo a smuovere un po’ l’aria che respiriamo, aria creata non solo e non tanto dai politici, ma da noi stessi. Naturalmente le colpe dei politici sono più gravi, perché dovrebbero essere di esempio per il popolo.Le scrivo queste parole perché è mio dovere farlo, perché il mio tipo di cultura è dinamico e non statico e ti assicuro ,caro qualcuno, che pur essendo faticoso scriverle (specie con questo caldo) c’è nel farlo una strana misteriosa bellezza che nutre la vita.
Forse potrei anche darle più forza a queste parole, una forza tale da spingere  quel “sognato” Comitato della COSCIENZA CRITICA a fare qualcosa di più incisivo: Una lista civica per le prossime elezioni. Che bella, eccitante campagna elettorale ne verrebbe! Noi faremo i nostri discorsi, suoneremo le nostre campane, esporremo i nostri programmi e ci confronteremo con tutti senza alcun timore.
Una lista così non potrei che appoggiarla. Ci sono una ventina di persone sensibili a questo richiamo? Forse non vinceremo ma ne varrà la pena lo stesso. Sono sicuro che qualcuno di quella lista verrà eletto e potrà far sentire la voce del popolo con un nuovo, necessario accento.
O il Comitato o la lista civica. Importante è entrare in giuoco. E’ doveroso per tutti gli uomini di buona volontà.
Suggerisco (ma si può cambiare se qualcuno suggerisce di meglio) il provvisorio motto:
PER LA RINASCITA DI UN COMUNE DOVE (VOGLIAMO) CI PIACE VIVERE.

Se c’è qualcuno interessato alla partita (uomini, donne, giovani, anziani, politici e non politici) si faccia avanti e studieremo il da farsi.
Io non posso essere il protagonista principale per mille ragioni. Ammesso (e non concesso) che possa avere le doti per una simile carica, mi manca quell’energia fisica, causa l’età, che  mi sarebbe necessaria per una simile impresa. Mi conosco abbastanza da sapere che un tale incarico assorbirebbe tutte le mie forze e mi creerebbe drammatici problemi che a questo punto della vita non potrei sostenere. I miei compiti sono altri, più marginali, ma, prometto, non privi di incisività.
Questo è tutto (anzi non tutto) quello che avevo da dire per il momento.
So che molti sono abituati a sentire un linguaggio che parla alla pancia e non alla testa.
Io credo fermamente che prima bisogna parlare alla testa (e al cuore) perché anche la pancia sia soddisfatta.     
                                                                 
Auguri a tutti
per una buona politica
I HAVE A DREAM
Michele Lepore
                                                                                                                                                                       

giovedì 16 settembre 2010

sotto a chi tocca

Una porta spalancata per i signori del Pdl in Campania, sa di strano. Ma ciò potrebbe valere solamente per qualcuno, per i cosiddetti sognatori di una politica nuova, finalmente libera dall’ombroso metodo-Gomorra. L'obiettivo comunque è quello di informare, ma qualche considerazione amara va fatta. Per molti sarà naturale prepararsi ad accogliere uno come Mario Landolfi, che s'è n'è fottuto altamente del territorio in cui vive, con un’ombra grande come l'occhio di un Ciclope circa la questione giudiziaria della Eco4, politico di prospettiva ma che coi fatti ha poco a che vedere. Meglio farsi tanti, tanti amici. E così il consigliere regionale Massimo Grimaldi, presidente della commissione bilancio, uomo di punta nel casertano nella nuovissima giunta Caldoro, potrebbe ritrovarsi nel partito intrusi che puzzano di savoir faire. Proprio così. Sarà che il partito ha bisogno di rinforzi eccellenti, visto che il presidente del Npsi Gennaro Salvatore ha detto, proprio in questi giorni, sulla stampa, di aver preparato "una tessera onoraria del Nuovo Psi per l’onorevole Coronella, che ci ha simpaticamente suggerito l’idea prima delle vacanze; ne aggiungiamo un’altra per l’onorevole Landolfi, visto il grande interesse dimostrato per il nostro partito”. E’ possibile che siamo noi a sbagliare, in quanto questi politici- a cui aggiungiamo il gran bandito regionale Nicola Cosentino- abbiano fatto tanto per Caserta, ma che solamente non ce ne siamo accorti. Beh di quest'ultimo parlano meglio le inchieste dei Gip, e la sua misera figura quando addirittura non si voleva dimettere da sottosegretario all'economia, pensate un pò. Un bambino a cui levano, d’un tratto, un buon panino da mordere. In ogni modo il punto è un altro: Massimo Grimaldi per molti rappresenta già una speranza per Carinola, altri invece più criticamente aspettano prima che cominci a fare qualcosa di concreto per il Comune, come avviare una nuova stagione politico-amminsitrativa, in termini di sviluppo occupazionale, ambientale e culturale, sfruttando le risorse e le possibilità che la Regione mette a disposizione. Altri semplicemente, sono già scojonati dalle sue parole. In ogni modo nulla ancora è fatto, le adesioni vogliono tempo e calcoli soprattutto.
(L'abitudine, scriveva Oscar Wilde, dalle prigioni di Reading, porta al fallimento. E signori, come Landolfi e Cosentino, di abitudini ne hanno parecchie).



Uncino