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mercoledì 7 settembre 2011

La Confraternita del Purgatorio di Casanova attraverso lo statuto del 1786 - Parte II

Lo statuto che sostanzia la nuova fondazione della confraternita è preceduto da una supplica, redatta e sottoscritta dal notaio Giuseppe Matano, sottoscritta dal parroco della chiesa di san Pietro, sede della congregazione, Pasquale D’Errico, da altri notabili locali e da gente comune. Ciò a dimostrazione che nella confraternita risiedevano diverse categorie sociali della popolazione di Casanova, in virtù dello spirito di eguaglianza che vi regnava. La lettera porta a tergo il visto del Regio Cappellano Maggiore. Allo statuto, invece, furono aggiunte alcune condizioni e la clausola della sua non modificabilità previo il beneplacito reale da Isidoro Arcivescovo di Tarso, nel rispetto delle Reali Disposizioni del 1742 e del 1776.
Alla supplica seguono le regole della confraternita riassunte in nove articoli. La lettura del documento è interessante per comprendere com’era organizzata la struttura associativa. Nei diversi articoli sono dipanate due questioni fondamentali: le attività liturgiche finalizzate al suffragio delle anime del Purgatorio che i confratelli dovevano rispettare e l’organizzazione stessa della confraternita. Per quanto riguarda la prima questione, la “regola” stabiliva i comportamenti dei confratelli nelle diverse azioni che essi potevano e dovevano svolgere nel rispetto dei principi religiosi.

In questi punti si parla, infatti, della recita domenicale e nei giorni festivi dell’officio dè Morti e la recita del rosario tutte le domeniche sera in suffragio delle anime purganti. Queste manifestazioni prevedevano la partecipazione di un padre spirituale. L’organizzazione interna presumeva una figura cardine, individuata come priore. La funzione del superiore della confraternita era una carica annuale ricoperta da un membro della confraternita stessa, la cui elezione avveniva la prima domenica del mese di luglio.

A tal proposito, è d’uopo ricordare che nella confraternita, pur essendovi diverse figure istituzionali, tutte le decisioni importanti erano prese in ambito assembleare con la maggioranza dei voti dei presenti.
La votazione avveniva sempre a scrutinio segreto. L’assemblea eleggeva l’amministrazione della confraternita che, pena la decadenza, aveva dieci giorni per rendicontare l’operato della precedente amministrazione. Oltre al priore, eletto tra una rosa di nomi stabilita da tre “confratelli probi” nominati dal superiore uscente, erano eletti due assistenti, un segretario, un cassiere, due “razionali” col compito di supervisione dei bilanci della precedente amministrazione, e il “maestro dei novizi”.

Un ruolo molto delicato all’interno della confraternita era assunto dal Cassiere, che svolgeva la funzione di amministrazione dei beni e delle entrate che giungevano a beneficio della struttura. L’operato del cassiere era comunque vincolato al parere preventivo dell’amministrazione e dei confratelli.
Qualora il cassiere doveva investire piccole somme di danaro non superiori a 30 carlini, era tenuto a chiedere il consenso congiunto del Priore, degli assistenti e del segretario. Per somme superiori, invece, occorreva l’assenso dell’assemblea dei confratelli.

La confraternita, come stabilito dalle nuove norme frutto degli accordi tra Stato e Chiesa, non poteva acquistare beni con i propri fondi (Real Disposizione del 19 giugno 1776) e gli amministratori non dovevano avere debiti nei suoi confronti, tanto meno potevano avere rapporti di parentela fino al terzo grado con quelli uscenti. Si dovevano rispettare le mansioni proprie degli ecclesiastici che comunque erano diffidati dall’entrare nelle questioni della congrega. Il priore nominava il sacerdote che doveva presiedere alle funzioni sacre. Il numero dei confratelli doveva essere di 33, numero degli anni di Cristo e dei martiri, e la quota annuale di iscrizione ammontava a trenta carlini (come i denari, con i quali l’Iscariota, amministratore del gruppo degli apostoli, vendette Gesù ai romani).

L’ingresso di nuovi adepti poteva avvenire solo con la fuoriuscita di quelli già presenti all’interno della struttura per cause naturali o per espulsione. Il confratello, infatti, per non essere espulso doveva garantire la presenza in tutte le manifestazioni della Congrega salvo giustificati motivi. L’iscritto doveva partecipare alle adunanze e alle celebrazioni religiose, accompagnare il Sacramento agli infermi, accompagnare nei funerali i confratelli o le consorelle defunti prima della inumazione nella chiesa, far celebrare messe di suffragio per i confratelli estinti e che erano in regola con la retta, intervenire materialmente in favore dei poveri del paese dando però priorità ai confratelli. La prima ammenda per le assenze ingiustificate ammontava a mezza libbra di cera, per tre assenze al fratello veniva negato il Suffragio e, infine, se recidivo -su proposta del priore- l’assemblea, con la maggioranza dei voti ne decretava l’espulsione.

Uscito un confratello poteva entrarne uno nuovo. La formazione del neofita era compito del Maestro dei novizi e durava sei mesi dopo i quali, se non aveva fatto assenze ingiustificate, il maestro lo proponeva al priore, che a sua volta lo proponeva in assemblea, in seno alla quale si stabiliva se era degno d’indossare uniforme e accessori distintivi della Confraternita. L’acquisto della tonaca era a carico del fratello. Oggi la cappa della confraternita è una veste con cappuccio bianco con una mantellina nera che riporta, a sinistra, l’impronta con la Vergine del Suffragio. Nero è anche il cordone che cinge la tonaca.

Contestualmente alla nuova fondazione la confraternita, che evidentemente disponeva di discreti capitali, fece realizzare una propria cappella adiacente alla chiesa, dove per secoli aveva operato, e all’interno ospitò il Monte dei Morti. L’evento è celebrato nella lapide apposta nel tempietto che recita:

D.O.M.

AEDICULA QUAM SPECTES

SOLI EST INNIXA PIETATI

SODALIUM MONTIS MORTUORUM

CASALIS CASANOVAE

ANNO REPARATAE SALUTIS

MDCCLXXXVI

PAR.CO D. PASCHAL ERRICO

Tratto da: C. VALENTE, Una confraternita nell’antica diocesi di Carinola. La Confraternita delle Anime Sante del Purgatorio di Casanova di Carinola, Marina di Minturno 2004.

L’autore

Antiche confraternite laiche nella Diocesi di Carinola - parte I

In circa sette secoli di vita, la diocesi di Carinola ha visto la presenza, all’interno dei vari centri interessati dalla sua giurisdizione, di diverse confraternite, alcune delle quali ancora oggi sopravvivono. Le realtà antropiche (spesso solo piccoli villaggi) dell’ex diocesi calena erano: santa Croce e san Bartolomeo (uniti sotto la chiesa parrocchiale di santa Croce), san Donato e sant’Aniello (uniti sotto la chiesa parrocchiale di san Donato), san Ruosi e Ventaroli (uniti sotto la chiesa parrocchiale di S. Maria de Episcopia sostituita nella funzione nel 1722 dalla chiesa dei santi Filippo e Giacomo), Nocelleta (oggi Nocelleto, sotto la chiesa parrocchiale di san Sisto), Casale (con i suoi tre abitati - Santo Janni (san Giovanni), Casale di mezzo e Vignale, soggetti alla chiesa parrocchiale dei santi Giovanni e Paolo), Casanova (con i suoi tre abitati -Casanova, Carani e Lorenzi- sottoposti alla chiesa parrocchiale di san Pietro), Falciano (con i suoi due abitati di Capo e Selice sottoposti rispettivamente alle chiese parrocchiali di san Pietro e dei santi Rocco e Martino) e infine la Terra di Mondragone (con i suoi tre nuclei abitati di Mondragone, sant’Angelo e san Nicola, sottoposti rispettivamente alla Collegiata di San Giovanni, di san Rufino intra moenia, di sant’Angelo e di san Nicola).

Numerose realtà, dunque, caratterizzate dalla profonda povertà del luogo, soffocato da un rigido sistema feudale e da condizioni d’insalubrità. Fattori, questi, che per secoli hanno frenato lo sviluppo di queste terre. Volendo tracciare una cronistoria delle congregazioni del territorio attraverso le sparute fonti a tal riguardo, possiamo individuare le più antiche confraternite a partire dalla fine del XVI secolo. Grande aiuto alla ricerca è offerto dalle relazioni sullo stato della diocesi (Relationes ad limina) che i vescovi caleni, a partire dal 1589, dovevano presentare alla Sacra Congregazione del Concilio a Roma.
Le relationes ad limina furono lo strumento col quale la Chiesa, uscita dal Concilio di Trento (1545-1563), cercò di controllare l’operato e lo stato delle diocesi attraverso una descrizione delle istituzioni ecclesiastiche e della vita religiosa, a cura dei vescovi attraverso visite triennali delle diocesi di loro pertinenza.

Nelle “relazioni”, quindi, si descriveva non solo lo stato materiale delle diocesi, ma si dava traccia anche dei rapporti tra il vescovo e il Capitolo diocesano, dei rapporti con i religiosi locali, del funzionamento dei seminari, degli ospedali e di quant’altro rappresentava una struttura della chiesa operante nella diocesi, ivi comprese le confraternite dei laici. Attraverso questi preziosi documenti è possibile ricostruire lo stato delle diocesi. Nel caso di quella carinolese emergeva la triste realtà poc’anzi accennata, tanto che nemmeno la chiesa locale possedeva rendite cospicue.
Il regime di povertà, quindi, era piuttosto diffuso. In molti casi, infatti, furono gli stessi vescovi ad impiegare i propri denari per l’abbellimento della sede episcopale o di altre chiese del territorio diocesano. Prima di quella data, quindi, non è possibile rintracciare documenti che attestino la presenza nel territorio di associazioni cattoliche, lasciando tutto a ipotesi discutibili.

Nel 1590 il vescovo Nicola Antonio Vitellio riferisce, nella sua relazione, della presenza nella sua diocesi di alcune confraternite, quali: del S.mi Rosarij, di S.ti Rocchi, di S.ti Pauli; mentre a Carinola risultavano attive le confraternite del Sanctissimi Corporis Christi e dell’Annunciatione. Nella relazione del 1607, invece, risultano attive quelle del SS. Corpo, del Rosario e dell’Annunciazione e quelle del SS. Corpo e del Rosario nella chiesa dei frati francescani (complesso dell’Annunziata, ora di san Francesco) nella “Terra murata” di Mondragone.
Si può affermare, alla luce delle due relazioni sopraccitate, che dalla fine del XVI secolo nel territorio carinolese diverse erano le confraternite attive. Non è da escludere, però, che le stesse fossero attive prima di fine XVI secolo, com’è probabile che altre ve ne fossero state, ma che alla data della relazione di mons. Vitellio erano state ormai già destituite.

Del resto, queste associazioni laiche erano fortemente legate al contesto sociale, politico ed economico delle realtà in cui sorgevano e, se queste ultime non erano molto ricche, si assisteva al frequente “formarsi e concludersi” e a volte ricostituirsi a distanza di anni di tali movimenti legati alla preghiera e all’assistenza ai bisognosi. Ciò fa comprendere, in modo inequivocabile, quanto vivo, forte e costante fosse il “bisogno di Dio” nel territorio preso in esame. Bisogno tanto pressante da impegnare le popolazioni di queste terre, sebbene perlopiù povere e impegnate nel lavoro dei campi e della pastorizia per quasi tutto il giorno, nella ricerca di luoghi “fisici” oltre che spirituali per adorare il Padre. Stessa sorte, dunque, ha potuto subire la Confraternita delle Anime Sante del Purgatorio operante nella chiesa di san Pietro di Casanova. La realtà di Casanova doveva risultare alquanto attiva dal punto di vista religioso se, agli inizi del XVIII secolo, nella chiesa parrocchiale agivano ben tre congregazioni.

Da una descrizione dell’edificio parrocchiale del 1690, infatti, risultano attive nella chiesa le seguenti confraternite: del Monte dei Morti di Roma; del SS. Rosario unita al Santissimo. La confraternita del Monte dei Morti disponeva di un altare dedicato alla Vergine del Suffragio, posto sulla parete di fondo della navata laterale sinistra partendo dall’ingresso. L’altare era utilizzato per svolgere tutte le funzioni proprie della confraternita. Vi era anche un economo, col compito di provvedere alle spese e agli introiti.
Le entrate erano date da alcune somme a cadenza fissa e, quando queste venivano meno, la confraternita traeva sostentamento dalle offerte caritatevoli. Sempre nella chiesa, sulla parete di fondo della navata laterale di destra vi era l’altare della confraternita del SS. Rosario, unita a quella del Santissimo, ognuna con proprio economo e con una rendita annua di cinquanta ducati.

La confraternita del Purgatorio, al 1690, possedeva un altare nella chiesa di san Pietro dedicato alla Vergine del Suffragio (una tela di buona fattura dell’artista Geronimo Boccia, che ancora oggi si conserva nella chiesa, posta sulla parete di fondo della navata di sinistra) e cosa ancora più importante era legata al Monte dei Morti di Roma. Da ciò che resta nella chiesa parrocchiale, si può affermare che la Confraternita era abbastanza ricca, visto che la sua cappella era dotata di un pregevole altare in marmi policromi del XVIII secolo. Anche la confraternita di Casanova, come quelle del SS. Crocifisso e del Monte dei Morti della vicina Sessa Aurunca fondata nel 1575 e di quella della Rocca di Mondragone, era legata all’Arciconfratrenita del SS. Crocifisso in san Marcello al Corso, a Roma, la cui origine risale al 1519.

Essere legati ad una confraternita più grande implicava vantaggi di diversa natura per la confraternita “satellite”. Per ciò che attiene al Monte dei Morti si trattava di un’istituzione con lo scopo di raccogliere e gestire offerte e lasciti, onde poi utilizzarli per fini caritatevoli e per il sostentamento della congrega a cui era annesso. All’atto della nuova fondazione della confraternita casanovese nel 1786 all’interno della struttura esisteva un proprio Monte dei Morti. Circa l’origine della confraternita casanovese le tradizioni locali ne fanno risalire la fondazione prima di quella di Sessa Aurunca.

Purtroppo, niente di documentato ci porterebbe a rendere certa tale tesi e, pertanto, considerare quella in esame come la confraternita più antica della diocesi di Sessa in cui Carinola rientrava e rientra tutt’oggi, a seguito della soppressione della sede episcopale avvenuta nel 1818. “Antica” è, tuttavia, l’aggettivo usato per qualificare la confraternita nella Supplica del 1786 indirizzata a Ferdinando I di Borbone per farne accettare lo statuto presentato alla Real Camera di santa Chiara, organismo che i nuovi sovrani di Napoli sostituirono al Consiglio Collaterale, massimo organismo politico, amministrativo e giudiziario del viceregno. Alla supplica fu allegato il documento in cui si esponevano i fini religiosi, caritatevoli e le regole della Confraternita delle Anime Sante del Purgatorio. Nel territorio di Carinola solo due confraternite presentarono lo statuto per il riconoscimento regio: quella di Casanova e quella della Confraternita dell’Immacolata Concezione di Carinola.

È d’uopo, a questo punto, capire perché l’archivio della “Regal Camera S. Clarae” fosse, a partire dalla metà del XVIII secolo, pieno di richieste di riconoscimenti da parte delle centinaia di confraternite esistenti nel Regno di Napoli. A seguito del concordato stipulato tra Papa Benedetto XIV e Carlo III nel 1741, le confraternite passarono sotto il controllo dello stato e, pertanto, dovettero presentare ufficiale richiesta riconoscimento.
Si trattava, quindi, di una chiara volontà da parte del sovrano borbonico di controllare tutti i numerosi organismi ecclesiastici fonte d’ingenti patrimoni i quali, in più occasioni, avevano fatto gola ai sovrani europei, specie durante i periodi di crisi.
Le grandi confraternite, infatti, nella loro secolare esistenza avevano incamerato patrimoni immensi e non tassabili, perché sotto il diretto controllo della Chiesa. Bisognava, dunque, porre un freno allo strapotere finanziario di queste istituzioni. Laddove non riuscirono i sovrani dell’Ancien Régime intervennero i cambiamenti sociali e politici a seguito dei moti rivoluzionari scoppiati tra XVIII e XIX secolo e alle leggi eversive. Con i nuovi assetti socio – politici questi organismi furono fortemente perseguitati, fino a decretarne soppressione e confisca dei beni in favore dello Stato. Furono risparmiate solo le confraternite delle quali erano ben noti i fini caritatevoli e i cui beni furono comunque accorpati alle Congregazioni di Carità.

Tratto da: C. VALENTE, Una confraternita nell’antica diocesi di Carinola. La Confraternita delle Anime Sante del Purgatorio di Casanova di Carinola, Marina di Minturno 2004.

L’autore

domenica 4 settembre 2011

Cambiamenti per i commenti ai post



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La posizione del Quiquirì sulla legittimità o meno dell'anonimato è stata fino ad oggi chiaramente impostata sulla scelta di permetterlo. Ciò non perchè, come alcuni sostengono, si voglia permettere alle persone di tirare la pietra e nascondere la mano, ma per una semplice ragione: l'impossibilità di verificare la reale identità delle persone su internet. La sostituzione di persona, che è ben più grave dell'anonimato, continua a verificarsi su altri siti del carinolese e la nostra scelta è sempre stata quella di non rischiare di ricadere nello stesso grave errore. 

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Nucleo Base


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sabato 3 settembre 2011

Casanova nel XVII secolo. Una vicenda tragica!

…La realtà di questo piccolo casale (Casanova) era passata alle cronache del Vicereame napoletano nel 1647, in occasione della rivolta fomentata dal garzone di pescheria “Masaniello”.
Il 28 luglio di quell’anno, infatti,Carinola prende parte attivamente ai moti rivoluzionari divenuti più aspri a seguito dell’uccisione una settimana prima di Tommaso Aniello. Nella sommossa, a Casanova è assalito un giudice di Capua che si trovava nel casale con i suoi soldati. La vicenda assume carattere tragico allorché, imprigionati sia il giudice che le milizie, uno dei soldati viene decapitato. A Casanova giungono Pietro di Lorenzo con il caporale Francesco Ferraro e la sua compagnia. “Circa 150 persone si dirigono a Casanova, dove si scagliano contro il caporione Paolo Pampena. A questi, «quamplurimos ictus scoppittorum iniecerunt in persona Pauli, qui fuit mortaliter sauciatus». Scoppia una furibonda battaglia tra la compagnia del capitano Pietro di Lorenzo e i Carinolesi accorsi, «in quo inter alios fuit interfectus Franciscum Sasso».

Nella battaglia cadono molti rivoltosi, fra i quali Giovanni Prata, uno dei capi, a cui è mozzata la testa, infissa su una picca e portato in giro per Sessa”. Nel 1648 mons. Casvaselice scrive: ora per le calamità dei tempi e i bisogni della gente si è resa impossibile l’esazione dei fitti e quindi poterli mantenere (si riferisce al sostentamento dei ragazzi e dei docenti del Seminario diocesano). Né io potevo soministare gli alimenti, perché a causa delle stesse Rivoluzioni (il vescovo fa cenno anche alle huius Regni Revolutiones) non solo ho perso tutto il Patrimonio e il reddito ecclesiastico ma la stessa casa vescovile e tutte le suppellettili a causa de Ladri compagni di Papone, con grandissimo pericolo per la mia vita per ben due volte. Era un periodo di crisi totale. La povertà in cui versava la gente del territorio era enorme e la stessa chiesa si vedeva privata delle rendite che le spettavano (in primis delle decime).

A rendere poi ancora più triste la situazione, al di là della rivolta generale -sfogo naturale di una situazione di crisi che coinvolgeva tutto il Viceregno- vi era il fenomeno del brigantaggio. Nelle terre carinolesi scorrazzava Domenico Colessa originario di Caprile di Roccasecca e passato alle cronache del tempo come il brigante Papone (forse in ricordo di Giacomo Papone, rivoluzionario di Pignataro del XIV secolo), il quale non disdegnò di abbracciare la causa antispagnola divenendo addrittura strumento delle mire francesi a subentrare nella Capitale cavalcando l’onda del malcontento popolare e assumendo l’incarico di “Colonnello Comandante del rivoluzionario popolo napoletano”. Papone era un guardiano di capre che passò a svolgere funzioni di gendarme. Arrestato per brigantaggio nel 1646, fu rinchiuso nelle carceri della Capitale del Regno. Un anno dopo, durante la rivolta di Masaniello, riuscì a fuggire dalla prigione, dandosi alla latitanza.

Da quel momento ha inizio la sua carriera di brigante: unendosi alla folta squadra di ladroni che faceva capo a Giuseppe Arezzo di Itri, scorrazzò incontrastato tra il Golfo di Gaeta e l’Abruzzo. Preso dallo spirito della rivoluzione contro i padroni e la chiesa (tentò anche di irrompere nell’Abbazia di Montecassino) amò definirsi “Generale della Serenissima Repubblica napoletana” e conquistò intere cittadine tra cui Itri, Fondi, Sperlonga, Sora, San Germano e Teano. In quest’ultima città, però, gli abitanti opposero al Papone una fiera resistenza. Entrato i contatto nel ducato romano con l’ambasciatore francese Du Val gli fu offerta la possibilità, approfittando della rivolta antispagnola, di sostenere l’invasione nel Regno di Napoli. A tal proposito fu nominato “Colonnello Comandante del rivoluzionario popolo napoletano”. L’esercito di Papone fu sconfitto ben presto dalle milizie fedeli alla Spagna e il comandante fu arrestato, torturato e il 26 agosto del 1648 fu ucciso in Piazza Mercato a Napoli. Il suo corpo fu completamente smebrato e sparso tra Sora, Caprile e i paesi vicini.

La realtà urbana

…Venendo da Carinola per l’antica strada che, uscita dalla porta del Castello, si divideva in due rami, uno per Sessa, incontrando il Real Cammino quasi al confine del feudo, e l’altro che scendeva verso occidente, passando poco lontano dalla collina di san Francesco si entrava a Casanova, il primo dei tre abitati costituenti l’attuale casale di Casanova.
L’ingresso avveniva probabilmente in corrispondenza dell’attuale seconda traversa di Via Nazionale, dove è ubicato un edificio che conserva, attraverso un portale, una splendida testimonianza di arte catalana. Ma l’ingresso all’attuale Casanova doveva avvenire anche in corrispondenzadell’abitato detto delli Carani, da una seconda strada che, staccatasi dalla prima poco dopo Carinola, costeggiava la collina di san Francesco per entrare nell’abitato in corrispondenza dell’attuale via Ten. Montano.

Di lì, poi, si originava un bivio da cui partiva un’altra strada, ora nota come via Giardini. Rispetto a Casanova e ai Lorenzi, Carani era l’abitato più grande. A testimonianza di ciò giungono le numerose abitazioni storiche, alcune delle quali dotate di emergenze architettoniche, poste lungo le diverse stradine che salgono sulla piccola altura dove si è sviluppato l’abitato.

Il terzo nucleo, invece, prendeva nome dalla ricca famiglia dei Di Lorenzo, che in esso risiedeva. Ancora oggi, all’interno del piccolo nucleo storico, assume particolare rilevanza l’abitazione di questi patrizi originari anch’essi di Sessa. “ I due palazzi dei Di Lorenzo, Antonio e Lucrezia, sono ancora di immediata fruizione, d’impianto cinquecentesco, con interventi tardo barocchi di minore entità e qualità artistica, sono parzialmente adiacenti fra di loro al di sopra della via detta à S. Marciano.

Quello che rimane più in vista nel panorama dei luoghi è datato 1592 (anno probabile di fondazione di Bernardo di Lorenzo di Carinola) ed estende la sua compatta articolazione compositiva su quattro lati raccordati da un vasto cortile. L’edificio, posto in posizione strategica ai limiti di un fossato, tra le due vie della Gran Celsa e dell’antica chiesa di S. Lorenzo, è in gran parte conservato nel suo impianto originario, ma spazialmente modificato nei rapporti in altezza per un innalzamento della linea di gronda. Questo intervento, insieme alla scala nel cortile del lato destro, e alla terrazza al di sopra della cappella seicentesca, potrebbero essere stati realizzati negli anni in cui era proprietario Antonio di Lorenzo.

Il palazzo del marchese di Civigliano, marito di Lucrezia, è oggi in parte proprietà dei Budetti, e la sua facciata completamente decorata a stucco con disegni geometrici si impone nello spazio della piazza del piccolo agglomerato. Nell’androne d’ingresso si ammirano alcuni particolari affrescati emergenti dal bianco delle pareti e dalla copertura a volta racemi ed uccelli all’intorno dello stemma presunto dei Caetani di Civigliano”. Per quanto riguarda l’antica chiesa di san Lorenzo, nell’Onciario al foglio 492 è censita con l’appellativo di S. Lorenzo spreca mogliere e come appartenente al Beneficio del casale di Casanova, al tempo già allo stato di rudere. Il palazzo dei Di Lorenzo, poi, alla stregua delle dimore patrizie conteneva anche una cappella privata che, nel caso specifico, era dedicata alla Madonna del Carmelo e fu edificata da Antonio Di Lorenzo nel 1635.

Casanova, come gli altri casali di Carinola sinora analizzati, nonostante fosse costituito da tre nuclei possedeva un’unica chiesa parrocchiale, quella di San Pietro. Ancora una volta si ripete la consacrazione di un edificio di culto all’apostolo Pietro che, in alternativa a Paolo, era molto venerato in queste terre. Così come la tradizione locale vorrebbe che Saulo fosse passato per questi luoghi, non di meno reputa valida la tesi che anche Simon Pietro abbia soggiornato nelle terre, aiutando i primi cristiani nella diffusione della fede, prima di sedere sulla Cattedra di Roma per poi subire il martirio della croce, tra il 55 e il 67.

La chiesa parrocchiale casanovese, di cui si hanno notizie sin dagli inizi del secolo XIV , era una struttura non molto grande, ma comunque dotata di tutti gli elementi necessari per l’amministrazione del culto. In essa, poi, a testimonianza della sua particolare importanza, risiedevano ben due corporazioni ecclesiastiche il cui scopo era, oltre allosvolgimento dell’esercizio delle pratiche prettamente religiose (messe, processioni, preghiere particolari) e della moralità cattolica, l’assistenz ai bisognosi, l’accompagnare e provvedere ai riti per defunti, i suffragi fino all’impegno per fornire la giusta dote alle giovinette povere. Le confraternite, com’era consuetudine, si riunivano negli edifici di culto all’interno dei quali si ritagliavano degli spazi per svolgere le loro funzioni celebrate spesso da preti secolari o regolari.

La confraternita del Monte dei Morti di Roma, il cui scopo principale era quello di accompagnare i defunti, faceva capo all’altare della Madonna del Suffragio. Quella del Rosario, invece, la cui diffusione in generale è dovuta ai domenicani, aveva in dotazione una cappella dedicata alla Vergine del Rosario e probabilmente il suo scopo principale era devozionale, anche se in generale svolgeva mansioni tipiche di una congregazione. Pio V istituì la celebrazione della Vergine del Rosario nell’anniversario della vittoria navale riportata dai cristiani a Lepanto nel 1571, attribuita all’aiuto della Madonna, invocata con la recita del rosario.
Particolare, della confraternita casanovese, è la tela probabilmente realizzata tra i secoli XVII e XVIII che ornava il suo altare, raffigurante la Vergine col Bambino che dona ai frati domenicani il rosario, contornata dai Misteri di Incarnazione, Passione e Resurrezione. La confraternita del Monte dei Morti, invece, era meno ricca: possedeva solo un economo e si manteneva con i contributi dei confratelli e con la carità.

Quella del Rosario, invece, sembra possedesse addirittura un’altra confraternita, dedicata al Santissimo. Dalla relazione sullo stato della Diocesi carinolese redatta da mons. Vitellio nel 1590, tra le confraternite presenti nel territorio si registra anche quella del SS.mo Rosario. Lo scopo, sin dal secolo XVI, quando tali congregazioni furono particolarmente privilegiate dalla Chiesa, era di invogliare il popolo ad assistere alle funzioni liturgiche, nonché di accompagnare in processione il Sacramento. Per tale motivo, quindi, quella del Rosario possedeva due amministratori i quali, a differenza di quella dei Morti, avevano il compito di gestire un patrimonio più cospicuo, che andava dalla rendita certa dei 50 ducati annui, a tutta una serie di altri introiti, sotto forma di offerte e proventi su beni non facilmente censibili.

Non si dimentichi che, proprio per gli ingenti patrimoni incamerati che le confraternite gestivano senza nulla versare allo stato, in un primo momento attirarono gli appetiti dei vari governi. Poi si giunse alla loro chiusura e confisca delle proprietà …
La crescita della popolazione casanovese (nel 1709 il nucleo ammontava a 630 anime) portò alla realizzazione di un’altra struttura religiosa, costruita verso la metà del XVIII secolo nella zona detta “Cappelle” all’interno del nucleo dei Carani. Di questa parla per la prima volta mons. Del Plato nella sua relazione del 1752: “In Casanova, oltre alla chiesa parrocchiale c’è un’altra chiesa sotto il titolo di S. Maria della Pietà de iure patronatus laicorum”. La chiesa, sorta per volontà di una congregazione, oggi è dedicata alla Madonna delle Grazie ed è sede della confraternita omonima.

Tratto da:
C. VALENTE: L’Università Baronale di Carinola nell’ Apprezzo dei Beni anno 1690 -
Marina di Minturno 2008, pp. 55-60

L’autore

giovedì 1 settembre 2011

Un Comune “arrepezzato”

Spesso mi viene in mente un libro che andava per la maggiore qualche anno fa: Io, speriamo che me la cavo. Un libro simpatico da leggere pur nella sua amara realtà. Mi piaceva particolarmente il tema di un bambino di Arzano che parlava della sua casa in cui tutto era “sgarrubbato”: le porte, le finestre, le pareti, la strada in cui si trovava. Tutto.
Ecco, quando passo in macchina per il Comune o cammino per le strade, mi viene in mente l’Arzano di quel libro.
Più che “sgarrubbato”, Carinola è un Comune “arrepezzato”, dove non c’è strada che non abbia le sue buche fatte e rifatte decine di volte e che a furia di essere coperte e ricoperte, sono diventate dei veri crateri, pericolose per uomini e mezzi.
La palma della strada peggiore l’ha sicuramente Via San Cristofaro a Casanova, la stradina che dalla piazza porta all’ufficio postale, molto usata dai pedoni, soprattutto dagli anziani quando vanno a riscuotere la pensione.

E’ un vero mosaico di toppe: piccole, grandi, scoscese, rialzate, bucherellate. Un cammino così malagevole che chi non sta molto attento rischia si inciampare ad ogni passo e rompersi l’osso del collo. Stessa cosa deve dirsi dei marciapiedi che, in alcune parti, sono completamente scomparsi tanto sono consumati e molte persone ci sono cadute senza, tuttavia, citare il Comune per danni. Troppo buone!
Qualche cittadino, davanti la propria casa, ha rifatto il marciapiede a proprie spese e questo non mi sembra affatto giusto. Non è giusto che nessuna amministrazione comunale si preoccupi non solo della salvaguardia dei centri storici, della tutela dell’ambiente, delle sicurezza delle strade, ma soprattutto dell’incolumità dei propri cittadini. Ci si ricorda di loro solo in periodo elettorale, poi passata la bufera, i cittadini ritornano ad essere dei “signor nessuno” e vengono abbandonati al loro destino.

Se proprio non siamo degni della più attenta considerazione sociale amministrativa, ci si diano almeno strade su cui possiamo camminare senza il rischio di cader ad ogni passo. Ci sono strade che non vengono toccate da decine di anni; marciapiedi che non hanno più visto una mano di manutenzione da quando sono stati fatti la prima volta. E non è una vergogna questa?
Mi domando quando e quale amministrazione vorrà farsi carico di rifare le stradine secondarie più malmesse e i marciapiedi per assicurare ai cittadini un cammino agevole e sicuro, ma nessuno sa darmi una risposta.
Forse, come recita una famosa canzone di Bob Dylan, le risposte alle nostre domande di cittadini vengono “soffiate nel vento” e non le udremo mai: non hanno consistenza.

Tamburine Man

giovedì 25 agosto 2011

Come prima, peggio di prima

Non credo che il bel Massimo possa essere molto contento dei risultati ottenuti finora dalla vittoria della sua coalizione. Ok, ha vinto il suo candidato sindaco; ok, ha messo come consiglieri i suoi pupilli; ok, ha dato i migliori assessorati a chi voleva lui. Puo’ ritenersi soddisfatto per tutto questo?
Data la cruenta battaglia elettorale a suon di colpi bassi, ci si sarebbe aspettato almeno un’amministrazione attiva e funzionale; invece, nisba! La sua è stata una vittoria di Pirro e lo sa.
Cosa ci ha regalato il suo essere consigliere regionale e il suo energico impegno per la vittoria amministrativa? A noi nulla, a lui forse una soddisfazione personale.
Be’ se questo significa amministrare un Comune, allora siamo ben lontani dalla concezione di “res pubblica” . In realtà lo siamo sempre stati, ma tant’è! Una piccola speranza c’era! Vista la posizione politica del nostro, visto il suo forte volere individuale, ci si aspettava una rivoluzione amministrativa. Invece abbiamo ottenuto un sonno catartico.
E’ vero che ora fa troppo caldo e non si ha voglia di fare nulla, ma l’estate è anche uno dei periodi migliori per sperimentare le idee dei vari assessori, soprattutto quelli alla cultura e all’ecologia.
E non mi si venga a dire che non ci sono soldi: per realizzare certe idee, non occorrono soldi. Solo idee.
Be’, sono quelle che, purtroppo, non ci sono.
Mi piacerebbe proprio conoscere quali veri progetti vorrà portare avanti quest’amministrazione; come affronterà i problemi sociali, come quelli ambientali.
Credo che almeno gli elettori che li hanno votati, abbiano il diritto di saperlo. O no?
Per ora si vivacchia alla meno peggio, tra il “vedremo” e il “faremo”, mettendo una “pezza” qua e una là.
Che sfizio! A furia di attaccare “pezze” siamo diventati un popolo di straccioni!
Mi spiace dirtelo, bel Massimo, ma la tua tanto desiderata amministrazione è una grossa delusione per il popolo carinolese. Speriamo che non si trasformi in un incubo.

Invinoveritas

martedì 23 agosto 2011

Il Feudo de' Li Lorenzi

Nell' antico palazzo dove l’associazione onlus Circuito Socio-Culturale Caleno ha preso sede è passata la Storia con la S maiuscola, perché strettamente legata alle vicende del Regno di Napoli del periodo aragonese prima e del vicereame poi, ma anche la piccola storia del carinolese e del sessano.
Con grande piacere viene proposta, a tutti coloro che non hanno partecipato al Lunarte o non sono riusciti ad avere il depliant storico, questa pagina con la speranza che essa possa stuzzicare la curiosità pubblica per una conoscenza e un rispetto sempre maggiori del territorio.
I lettori che la leggeranno, si renderanno conto che ci sono molti “forse” e molti “probabilmente”: ciò è perchè le ricerche storiche di questo antico borgo dei Lorenzi di Casanova sono tuttora in corso. La pagina proposta vuole essere solo un’anticipazione che, in futuro, oltre ad ampliamento, potrebbe anche essere soggetta a cambiamenti qualora si ritroveranno ulteriori documenti storici.

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Per circa tre secoli, per tutto il periodo angioino, aragonese e oltre, Carinola fu congiunta a Sessa da legami di vassallaggio. La Contea di Carinola era parte attiva del Ducato di Sessa e a molti patrizi sessani veniva assegnata, per particolari meriti soprattutto militari, la gestione di feudi anche nel nostro territorio in cambio del giuramento vassallatico che assicurava al signore feudale non solo obbedienza e fedeltà, ma anche il versamento di quote in natura e prestazioni militari in caso di bisogno.
La congiura dei baroni era già avvenuta e stroncata e Marino Marzano era morto da un pezzo quando, intorno alla seconda metà del XVI secolo (1500), Bernardo Di Lorenzo, nobile uomo d’armi sessano di stirpe normanna, accettò il viceducato di un feudo nella contea di Carinola e divenne il capostipite della famiglia Di Lorenzo carinolese. Il feudo, che era stato in tempi più remoti dei Toraldo, dei del Gaudio e dei Ratta (ora Razza), lo ottenne per via ereditaria dalla famiglia del Transo con cui era imparentato (forse la madre era una del Transo; la moglie era invece una Guevara) e che si era stabilita da Gaeta a Sessa con Bonomolo del Transo nel 1495, per parentela contratta con i Marzano

Non sappiamo ancora se il feudo avesse un nome specifico (San Marciano? San Lorenzo?), ma di sicuro la famiglia Di Lorenzo legò il suo nome alla zona edificando, con Bernardo, il piccolo borgo che fu da allora chiamato LI LORENZI, dialettizzato in Laurienzi dal latino De Laurentio, come il cognome veniva registrato nei documenti ufficiali (con diverse varianti, devo dire).

Il borgo, anche se isolato da Casanova e a cui si accedeva per mezzo di un ponte levatoio, era perfettamente autonomo, perché Bernardo vi fece costruire stallaggi per le bestie, alloggi per i soldati e per i coloni contadini, un frantoio per l’olio e torchi per il vino. Non mancavano pozzi e acqua corrente incanalata da una sorgente per i quotidiani usi degli abitanti e per l’irrigazione dei campi. L’edificio principale, ad uso più che altro militare ed amministrativo, fu terminato nel 1592 e sullo stemma compare un unico albero illuminato dal sole a simboleggiare il capostipite di una gloriosa casata. Nell'albero, probabilmente un ulivo, sono messe ben in evidenza le robuste e profonde radici che stanno a significare da quale stirpe antica e solida Bernardo proveniva.

Lo stemma è chiaramente ripreso da quello della famiglia del Transo (ramo di Tropea) che consiste a sua volta in un albero di ulivo su tre colli, il cui motto era: sicut oliva in domo Domini (come ulivi nella casa del Signore), ma anche frangor et non flector (mi spezzo, ma non mi piego).
Il motto che Bernardo adottò per la sua casata fu degno del personaggio: fulgura timeo, volendo significare che non temeva nessuno, solo le folgori (divine?). Il palazzo aveva ed ha, al confine con la strada, una piccola cappella gentilizia dedicata alla beata Vergine del Carmelo.

Bernardo poteva fregiarsi dell’appellativo di Duca essendo il feudo un viceducato e poteva amministrare la giustizia sul territorio di sua competenza nei limiti che gli erano consentiti. E lo fece con pugno di ferro. Nel suo palazzo non mancavano, infatti, le segrete sotterranee per l’incarcerazione dei colpevoli. Oltre a fornire il suo feudo di tutti i comfort dell’epoca, Bernardo forni anche le sue residenze di vie di fuga, che non potevano mancare in caso di attacchi nemici. Una di queste vie di fuga aveva l’uscita nel vicino dirupo e, purtroppo, è stata coperta recentemente dai lavori eseguiti alla Fontana Vecchia.

L’altro palazzo ad esso adiacente, era la residenza vera e propria. Lo stemma (anche questo ripreso dalla famiglia del Transo, ramo di Sessa e Napoli in cui compare un leone rampante azzurro in campo dorato) è più completo e offre una lettura abbastanza chiara. Su uno scudo sormontato da un elmo, che rappresenta la natura militare della famiglia, è sempre un albero a cui si appoggiano due leoni rampanti, i due eredi maschi di Bernardo: Pietro e Carlo Di Lorenzo.
I due fratelli, non sempre in pace tra loro, ebbero nel 1647 una controversia con la Diocesi di Carinola che finì a Roma.
La causa riguardava una cappella sopraelevata, adiacente il loro palazzo, a cui si accedeva tramite una scala esterna. Essi ebbero dal vescovo di Carinola, Mons. Girolamo Vincenzo Cavaselice, il permesso di costruire la cappella pubblica, ma non rispettarono l’accordo di lasciare l’entrata libera a tutti, mettendo dei cancelli sul ballatoio e aprendovi un balcone in modo da accedere direttamente dalla loro stanza alla cappella. Furono perciò accusati di aver trasformato la cappella pubblica in un oratorio privato e la Diocesi di Carinola ne minacciava la chiusura. In loro difesa, i fratelli Di Lorenzo sostenevano che i cancelli erano stati messi per proteggere la cappella dall’ingresso di animali.

Di Carlo per ora non abbiamo notizie, ma Pietro, come descrive il De Masi, fu uno dei più valorosi soldati al servizio del Re Ferdinando il Cattolico nelle rivoluzioni del 1648. Fu dal viceré creato Capitano della Sacchetta, ossia Capitano della Milizia a Cavallo del Regno. In zona, la sua fama era enorme per la lotta che quotidianamente faceva contro briganti e malfattori.
A Casanova, con una squadra d’armati di 200 uomini, affrontò ed uccise un certo Giovanni Prata, malvivente, che gli devastava i beni, e ne portò, in trionfo, la testa mozzata a Sessa. Inoltre, più volte neutralizzò le azioni del brigante Papone, alias Domenico Colessa, che tiranneggiava il sessano e il carinolese. Pietro ricevette diverse lettere di ringraziamento dal re in persona che è possibile leggere nel libro del De Masi.

Il Duca Bernardo, nel suo testamento, aveva espressamente stabilito che fosse seguita la legge ereditaria normanna del maggiorascato, ossia che il grosso dell’ eredità e i titoli nobiliari spettavano al primogenito, mentre tutti gli altri figli venivano equiparati a secondogeniti. Agli eredi di sesso femminile toccava la sorte di mediatrici, sposando rampolli di famiglie con cui era opportuno allearsi, o il convento. Ritroviamo diverse donne Di Lorenzo nel monastero di San Germano di Sessa o di Santa Caterina in Aversa.
La legge del maggiorascato fu seguita da tutti i discendenti di Bernardo, anche se non sempre con tranquillità.

Il viceducato dei Lorenzi rimase in vita fino alla metà del 1700 quando, con l’istituzione del catasto onciario voluto da Carlo III di Borbone, tutte le proprietà furono pesantemente tassate e molte proprietà furono, di conseguenza, vendute. I Di Lorenzo persero, tra i tanti terreni, le Saucelle, ora Salicelle, e L’Incogna (o Ancogna), vastissima tenuta agricola al confine con il territorio di Cancello ed Arnone, che andò a far parte delle proprietà personali del re e divenne “pagliara reale” per la produzione della mozzarella.
La residenza ufficiale dei Lorenzi, i cui ultimi proprietari furono gli eredi dei marchesi di Cirigliano, ossia Lucrezia Di Lorenzo e il marito Nicola Gaetani d’Aragona, fu venduta ai coniugi Pietro Paolo Budetti e Felicia Spani. L’altra fu comprata dai Di Tora e poi dagli Sciaudone.

Di stirpe normanna, i Di Lorenzo, erano uomini d’armi venuti in Italia al seguito degli Altavilla, Ruggero e Roberto il Guiscardo. Stanziatisi inizialmente in Sicilia, raggiunsero il sessano seguendo le sorti militari sopratutto di Ruggero d’Altavilla. A Sessa erano presenti con Giovanni Angelo De Laurenzio già nel 1110 e con Guglielmo De Laurenzio nella metà del 1200.
Giovanni Angelo fu cavaliere di San Giovanni gerosolimitano (= di Gerusalemme), morto a Brindisi nella cui cattedrale è sepolto. La sua medaglia d’appartenenza all’ordine, con le sue armi ed il suo nome, era custodita dalla famiglia di Pietro Di Lorenzo.
Guglielmo De Laurenzio venne invece scelto, per prodezza e valore guerriero, quale Provveditore alle fortezze di Terra di Lavoro e dei tre principati di Capua, Salerno (Principato Citra) ed Avellino (Principato Ultra), dall’Imperatore Federico II.

Molto ancora c’è da scrivere, ma questo lo rimandiamo ad un prossimo futuro.

Concetta Di Lorenzo


Fonti:
Aldimari Biagio – Memorie istoriche di diverse famiglie nobili – Napoli 1691
Alfano Giuseppe Maria – Istorica descrizione del Regno di Napoli diviso in 12 province – Napoli, 1798
Archivio di Stato di Caserta – Tribunale di Ia Istanza - Documenti patrimonio famiglia Di Lorenzo
Archivio di Stato di Napoli – Documenti del Catasto Onciario
Brodella don Amato – Storia della Cattedrale di Carinola – Minturno, 2005
Brodella don Amato – Storia della Sagrestia della Cattedrale di Carinola – Minturno, 1996
Carrafa G. Battista e Muzio – Dell’historie del regno di Napoli – Napoli, 1572
De Fortis Muratori – Vite e famiglie degli uomini illustri – Napoli, 1755
De Masi Tommaso - Memorie Istoriche degli Aurunci – Napoli, 1761
Mugnos Filadelfo – Nobiltà del Mondo – Palermo, 1645
Paciaudi Paolo Maria – Memorie de’ Gran Maestri del Sacro Militar Ordine gerosolimitano – Parma, 1780
Porzio Camillo – La congiura de’ baroni del regno di Napoli – Milano, 1821
Tommasino Attilia – Sessa Aurunca nel periodo aragonese – Ferrara-Roma, 1997
Francesco Maria Villabianca – Sicilia Nobile – Palermo 1776





venerdì 19 agosto 2011

La mossa anticrisi è legge!!!

La manovra sarà di 49,8miliardi in due anni.
Si inizierà dal “Contributo di solidarietà” per dipendenti autonomi e dal prelievo triennale del 5 e 10 % che colpisce i redditi sopra i 90mila euro.
Per esempio si va da un’ imposta di 500euro per chi ha un imponibile di 100mila euro , fino a 8000euro per chi ha un reddito di 200mila. Ma siccome la tasse è detraibile l’anno successivo, in realtà a conti fatti il prelievo è un po’ più basso. La novità è che si potrà scegliere tra due strade : la prima è pagare la tassa; la seconda è scegliere un’ aliquota Irpef del 48% a seconda di come conviene.
La lotta all’evasione fiscale s’inasprisce ulteriormente con provvedimenti ad hoc e poi ci sono i tagli alle SPESE INUTILI : 12miliardi in un anno tra Ministeri ed Enti locali; eliminate una trentina di Province e i comuni sotto i 1000 abitanti; stop al doppio incarico per i parlamentari e restringimento sui voli e sulle auto blu!
I dipendenti pubblici si vedranno pagare però il TFR con 2anni di ritardo con rischio di vedersi trattenuta la 13cesima se sgarrano gli obiettivi di spesa. Sulle pensioni alzato in anticipo l’ingresso per le donne dell’impiego privato a 65anni.

Da sottolineare che la manovra ha ottenuto il plauso dell’Europa e l’apprezzamento dei leader di Francia e Germania. Mentre a sorpresa , Di Pietro, testualmente dà atto al Governo di “Essere uscito dalle secche e dal pantano…” il PD, come sempre, in barba all’appello di responsabilità fatto anche dalla Marcegaglia e da Napolitano, minaccia battaglia al Senato e presenta un pacchetto di misure alternative.
Insomma pare che dopo che L'Euro, grazie a quella brutta mortadella rancida di un Romano Prodi, è risultato a molti indigesto; dopo che la crisi economica mondiale ha fatto fare brutta figura pure ad Obama (il presidente tanto esaltato e osannato dalla sinistra italiana e in particolare da Waterloo Veltroni), Tremonti ed il suo Governo di centro dx hanno deciso di colpire non più i lavoratori dipendenti con reddito medio basso che non ce la facevano più ad arrivare a fine mese….bensì tutta quella schiera di evasori privilegiati, specialisti, dentisti, avvocati ecc. ecc. (quanti di voi hanno ricevuto una fattura dal proprio dentista per l'intero importo pagato? E dall'avvocato? E la visita specialistica del primario che di nascosto riceve privatamente?)

In conclusione, una volta tanto, confido NELLE PAROLE di DI PIETRO, augurandomi che quando ammette che il governo “è riuscito ad uscire dalle secche” non si sbagli…. Sperando inoltre che Berlusconi e Tremonti, PER LA PRIMA VOLTA NELLA STORIA, facciano pagare le tasse anche ai lestofanti!!!

Bucefalo

mercoledì 17 agosto 2011

La siccità della Contea

E’ arrivata l’estate nella Contea di Calenum; tutti si rilassano godendosi il sole cocente e sperperando le ricchezze. Il conte de Grimaldellis con il suo vascello ancorato nella baia dei proci, prepara le sue future mosse giocando una partita a scacchi contro la Sorte, sua amica e ormai compagna di ventura.
Leggenda narra che è stata proprio lei a regalargli il posto la prima volta nel Gran Consiglio di Campania felix. Il conte è abituato a giocare pesante nelle sue partite di scacchi e forse, il sole forte preso a testa vuota, gli ha fatto addirittura esclamare: Un giorno sostituirò Silvio il magnate da Arcore. Intanto, per non perderlo di vista, il conte Biasiox ha piazzato 4 sue vedette, armate di potenti cannocchiali, nella parte superiore del castello di sua proprietà nella baia dei proci, sul litorale pontino, per scrutare tutte le mosse del suo avversario. Calenum orfana dei due, anche per le vacanze non si da tregua.
Il popolo impegnato nel lavoro dei campi, immagina un futuro migliore e aspetta qualcosa dal Nuovo Consiglio di Calenum, ma l’abilità del Gran Priorato dell’Angelus mette a nudo tutte le carenze e trama per non perdere terreno. Si, perché il conte Grimaldellis ha allestito la squadra per la battaglia, ma ha già perso molti pezzi per strada. Antonio il Rosso, lo ha disconosciuto come suo signore e padrone, mentre Antimus Mutus è pronto a tradirlo se non lo rende graduato. Giorgius pare allontanarsi in silenzio.
Intanto torna di moda Mattia il gerarca che, pur di portar via lo scettro al conte de Grimaldellis, tenta in tutti i modi alleanze assurde. Destroide di nascità, nel suo curriculum personale troviamo svariati tentativi di lotta per il potere di Calenum , cosa che solo una volta gli è riusciita e solo per 2 lustri. Ma la cosa che fa notizia sono i suoi accordi segreti con gli estremi e sinistri personaggi di Calenum, da Giano Trifronte allo stesso Biasiox, dal quale ebbe un grande aiuto quando si candidò al controllo di Caserta. Tentativo miseramente fallito.
Ma la cosa che fa piu scalpore è il suo avvicinamento ad Antonio il Rosso, che contribuì fortemente a destituirlo del potere.
Tutti pronti insomma per settembre, per iniziare la vera battaglia. Chissà che questa volta sia quella buona.

Continua.....

CAIO GRACCO

domenica 14 agosto 2011

Riflessioni sul Lunarte 2011

Una delle più belle ed affascinanti manifestazioni del nostro comune si è appena conclusa.
Chi non ha avuto il piacere di prendere parte, come spettatore, al Lunarte non riesce nemmeno ad immaginare quale interessante occasione culturale e formativa si sia lasciato sfuggire.
Per la prima volta, il popolo carinolese ha avuto la possibilità di visitare parte dell’antico palazzo dei Di Lorenzo, oggi degli Sciaudone, in cui l’Associazione onlus Circuito Socio-Culturale Caleno ha la sua sede, e di leggere la storia e le storie di questo affascinante borgo del carinolese.
Nel palazzo, le mostre fotografiche del territorio a cura della Compagnia Teatrale ‘A Scarpasciota e dei ragazzi che hanno partecipato al seminario fotografico, hanno reso l’ambiente particolarmente suggestivo.
Sulla piazzetta dei Laurienzi, i bambini del laboratorio Lunarte ragazzi hanno terminato la loro preparazione con un simpaticissima rappresentazione. L’amico Alfredo Iannelli ha dato un saggio delle sue ricerche musicali e i Dans la Rue hanno animato la prima serata.

Nella seconda serata, ai Carani, ancora una volta i giovani artisti che partecipano alla manifestazione sono riusciti ad attirare l’attenzione di un pubblico molto numeroso ed era difficile perciò entrare nei portoni dove si esibivano. Non sono riuscita a vederli tutti, ma quelli che ho visto mi hanno regalato emozioni molto belle, da ricordare. Tutti veramente bravi: Manuela Schiano col suo simpaticissimo Pinocchio, Gaetano Battista, Eduardo Ricciardelli, Zampanò Forti con le sue canzoni, ma un’emozione particolare me l’hanno regalata le tre ragazze dell’Ars Musae, forse perché la loro esibizione è più vicina al mio sentire personale.
Mi è particolarmente piaciuto il loro modo di raccontare i ‘cunti’, nostra espressione popolare, raccolti da Giovanbattista Basile nel XVII secolo. Le loro voci e i loro corpi, fluidi come acqua e leggeri come aria, sono diventati mezzi per trasportare gli spettatori in un mondo magico, senza tempo, dove continuano a vivere i personaggi della nostra cultura popolare i quali, ogni tanto, tramite questi giovani e stupendi attori, ritornano tra noi per portarci oltre i confini della realtà, nell’immaginario popolare.
Sempre magico è camminare tra i vicoletti dei Carani, fermarsi ad ammirare le opere di giovani artisti, assaporare l’atmosfera, sentirsi abbracciati dagli altri….
La serata, come sempre, si è chiusa con un concerto musicale e la bella voce di Marcello Colasurdo si è diffusa piacevolmente per il paese, trascinado tutti nel ballo fino a quando la luna ha spento la sua incantevole ed onirica luce.

Trilly


venerdì 5 agosto 2011

In attesa del Lunarte

Tra qualche giorno, il 12 e 13 agosto, ai Lorenzi e ai Carani, borghi di Casanova, ci sarà la quinta edizione del Lunarte Festival e molti già si chiedono: che cosa ci proporranno quest’anno i ragazzi?
Per ora li vediamo tutti impegnati a ripulire la sede dell’associazione CCC onlus in quel magnifico borgo cinquecentesco che sono Li Lorenzi, per poter accogliere le manifestazioni del 12 sera.
Intanto, a partire da quest’anno, il festival è stato istituzionalizzato dal Comune che l’ha inserito nel bilancio; questa è senz’altro una bella notizia che denota l’interesse che il Lunarte suscita nei cittadini carinolesi, e non solo, e quindi anche nell’Amministrazione Comunale.

Come ogni anno, il festival è accompagnato da momenti formativi: il laboratorio teatrale “Lunarte ragazzi” curato da Pasquale Passaretti e Luigi Morra, già in corso, ed il seminario di fotografia diretto da Camilla Barni, chiamato specificamente “Stanze delle Meraviglie” perchè vuole approfondire il concetto di meraviglia inteso come desiderio di concentrare in un piccolo spazio tutto il sapere circostante.
Quest’anno, oltre alle vecchie collaborazioni, la manifestazione ospiterà gli artisti campani che hanno partecipato al concorso nazionale MArteLive.

Le donne dei Carani sono già pronte per ospitare nei loro portoni artisti di strada, artigiani e musicisti che si esibiranno in loco, regalando agli spettatori la magia di questa manifestazione capace di trasportare gli animi oltre i confini del reale; come dice Pasquale Passaretti, presidente del CCC onlus: “La perdita dei confini è l’anima della V edizione di Lunarte. La sua struttura oltrepassa gli spazi abituali, entra nelle case, nei ricordi privati, prelevando e lasciando segni, innescando giochi per la comunità così che il pubblico diventa attore, parte fondante dell’ opera”.

Auguri a tutti questi ragazzi che portano la loro passione e la loro preparazione artistica tra la gente, dimostrando ancora una volta che la cultura non vive necessariamente in stanze chiuse, ma cammina per le strade insieme alla gente, lasciandosi avvicinare, assaggiare, gustare e, perché no?, amare.

pipin’ tom

domenica 31 luglio 2011

La città che gioca con i suoi vizi


Proponiamo un tributo al al grande giornalista scomparso quest'oggi, Giuseppe D' Avanzo, con un suo articolo del 2008 tanto arguto quanto attuale. 



SCALTRISSIMA, Napoli anche in quest'occasione non ha alcuna intenzione di mettersi finalmente davanti allo specchio, di guardarsi le rughe profonde o la bocca sdentata, di annusare il cattivo odore del suo corpo, di dirsi - allo specchio, almeno così in privato - il disagio, il dolore, la sofferenza del suo collasso. 

È tanto attossicata dal suo non-essere (non è più una capitale; non è più ricca; non è più "illuminata"; non è più né colta né popolare; non è più cortese e tollerante; non è più intelligente e arguta; non è più moderna) da non avvertirne nemmeno i sintomi. Nemmeno tonnellate e tonnellate di immondizia riescono a scuoterla, a essere almeno un "sintomo" per una città che appare come anestetizzata dalla sua stessa, lenta e mortale malattia. 

I napoletani appaiono oggi - come incoraggia la cultura plebea che li sovrasta - irresponsabili, privi di speranza, senza alcuna identità da proteggere o passione civica da coltivare, senza alcuna aspettativa da condividere con gli altri, senza alcuna prospettiva di guardare il mondo. O, al mondo, di raccontarsi per trovare almeno una ragione alla sua catastrofe e - quindi - una possibile cura per rimettersi in piedi. Napoli è docilmente rassegnata a diventare "lo scarto" del Paese. 

È un antico trucco della città, giocare con i propri vizi per non affrontarli. Ostentarli addirittura, a chi la osserva e la racconta, come fossero oscene, irredimibili colpe originarie. In fondo, è a questo prezzo che la città è entrata nella modernità accettando che la pluralità delle sue voci, delle sue risorse, della sua diversità, dell'alterità delle sue forme di vita diventassero - per una cultura dello sviluppo crudamente economicistica - limiti, deficit, patologie da rimuovere. 

"Pensata" sempre dagli altri, Napoli ha accettato di essere quel "pensiero" nell'illusione collettiva e tragica che una "recita" mimetica, una commedia - e la contemplazione soddisfatta di se stessa - la rendessero accettabile e accettata. "Moderna", come ci si attendeva che diventasse e fosse, pure nella sua marginalità cui sono stati sacrificati, come ha osservato Franco Cassano, territorio, ambiente, legalità, cultura, bellezza, luoghi sociali, istituzioni pubbliche, élites, futuro. 

Anche la catastrofe della monnezza o la crisi di Chiaiano sono "pensate" altrove e Napoli, come inabile ormai ad autorappresentarsi o a riflettere su stessa in autonomia, si lascia rappresentare come un "inferno" chiuso in cui si finisce per non vedere, per non orientarsi. L'inettitudine del ceto politico - la sua complicità e mediocre, ostinatissima autoreferenzialità - si sovrappone all'invasività famelica della camorra - una camorra immaginata grande, onnipresente, onnipotente, una camorra con la C maiuscola - e, insieme, sostengono e sono sostenute da una società civile complice o dell'uno o dell'altra; o insieme dell'uno e dell'altra. Da questa geenna si può soltanto fuggire, la si può soltanto abbandonare al suo infausto destino e dunque alla sua immobilità ineluttabile. 

Non è che questa rappresentazione sia immaginata. Il centrosinistra di Antonio Bassolino ha costruito le sue fortune politiche come "partito della spesa pubblica", alimentando cinicamente l'"emergenza rifiuti", come "occasione"; sollecitando una gestione incontrollata delle risorse - europee, in questa nuova edizione; allargando un "blocco di potere", un "magma sociale" (dal professionista al pregiudicato) verticale e socialmente differenziato, che ha ospitato la "mediazione sociale" di una camorra, già grassa dei profitti accumulati dallo smaltimento dei rifiuti industriali e tossici del Nord. E' questo l'inferno che sconforta chi guarda da lontano. 

E tuttavia, diceva Italo Calvino, nell'inferno ci sono soltanto due modi per sopravvivere. "Il primo è accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più": è la strada che Napoli e i napoletani hanno percorso e che li rende ciechi, muti, insensibili dinanzi alla catastrofe. Il secondo modo "è rischioso, esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio". 

Questo "malgrado tutto" può apparire povera cosa, ma è la sola formula che oggi può arrestare la rovina di Napoli, l'unica bandiera che i napoletani potrebbero (dovrebbero) agitare. Anche a Chiaiano c'è un "malgrado tutto" da raccontare, un "non inferno" da ricordare. Il presidente della municipalità, i sindaci di Marano e Mugnano - la politica, la rappresentanza - appaiono credibili per i cittadini e per le istituzioni. Sono capaci di dialogo. Lasciano cadere ogni politica del "no". 

Il degrado urbano di queste periferie non deve lasciar pensare a un esclusivo degrado sociale. Negli ultimi anni il carovita cittadino, l'alto costo degli affitti, la speculazione edilizia ha visto muoversi verso i bordi della città quote di cittadini "consapevoli", non rassegnati alla violenza e al disordine che li circonda. Chiedono - con molte ragioni - una soluzione che rispetti le decisioni del governo nella tutela ambientale dei luoghi, e sanitaria dei cittadini. La popolazione delle tre comunità (Chiaiano, Marano, Mugnano) che si affacciano sulle cave destinate a discarica non è caparbiamente ostile. Nei capannelli lungo Poggio Vallesana si sente anche dire. 

"Non possiamo dire soltanto no?" tra il consenso di chi ascolta. Quel che si chiede non è la luna. E' di poter partecipare ai controlli, alle verifiche ripristinando una strategia di fiducia con le istituzioni. Questo solco è stato tracciato ieri - e confermato oggi - dagli incontri con Bertolaso. E' un confine che isola chi rifiuta la legalità, chi sceglie la violenza. E' lo sbarramento che dovrebbe trascinare allo scoperto chi vuole risolvere la questione con il fuoco e il ferro. Non c'è la camorra dietro quelle barricate che devono essere rimosse nelle prossime ore. 

Non c'è la camorra con la C maiuscola e sarebbe un errore enfatizzarne la potenza, la pervasività. È delinquenza di quartiere che ha piccoli interessi edilizi intorno alle cave e li vedrebbe impoveriti dallo smaltimento dei rifiuti. Ingaggia bande di ultras, facili alla cocaina, già viste in azione nella "battaglia" di Pianura, intorno ai roghi dei capi rom di Ponticelli. È questa delinquenza che sfida lo Stato e ha la possibilità di farcela soltanto se protetta dalla presenza di bambini, donne, anziani. Senza questa inconsapevole difesa, è perduta. E' contro di essa che dovrebbe muovere una prova di forza del governo che ci si augura non sia indiscriminata, brutale ostentazione muscolare. 

Se osservata con attenzione e senza pregiudiziali semplificazioni, la crisi di Chiaiano mostra che nell'"inferno" c'è anche traccia di ciò che non lo è. Bisogna "farlo durare e dargli spazio" con pazienza e chi lo sa che anche Napoli riesca a mettersi finalmente davanti a quel benedetto specchio per trovare decenza e dignità. 

Giuseppe D'Avanzo
(27 maggio 2008)

sabato 30 luglio 2011

Così vero, così irreale

Quando una persona lascia per sempre questo stupido mondo non è mai una cosa bella; meno che mai lo è se quella persona è una giovane donna sola.
Ci si abitua, tuttavia, a sentire queste notizie che diventano sempre più parte di una quotidianità che però non ci appartiene. Fino a quando qualcosa non viene a spezzare il sottile filo della normalità.
E Casanova si è trovata all’improvviso proiettato nella realtà mediatica che tutti i giorni ci bombarda con immagini crude, fredde, ma anche così lontane. Come appartenessero ad un sogno o ad un incubo sognato da qualcun altro.
Poi, all’improvviso, quel sogno diventa reale, visibile, tangibile: davanti ad una casa si raggruppano carabinieri, poliziotti e uomini della scientifica con le loro tute bianche e la mascherina sul volto perché una donna è morta da circa dieci giorni e nessuno se n’era accorto.
Se non fosse spietatamente vero, sembrerebbe una scena di uno di quei film polizieschi che siamo abituati a vedere o, ancora peggio, uno delle tante tragedie che rimbalzano sui teleschermi.

Ma anche questa è una tragedia; una vera tragedia della solitudine accaduta proprio da noi.

Ora, non voglio alimentare la curiosità morbosa di chi ama leggere dettagli macabri e raccapriccianti; voglio solo farmi delle domande. Come può accadere tutto questo in uno dei nostri paesi? Come è possibile non accorgersi che una vicina non si vede e non si sente da più giorni? Come si può non capire in quale disperata solitudine si è costretti a vivere e a morire?... Eppure, si può. L’indifferenza, la piaga più grossa della moderna società, rende tutto possibile. Anche in un paese come il nostro.

Il sentirci immuni da certe cose, in realtà ci rende solo più fragili e impreparati. Non vogliamo ammettere che neanche noi siamo più gli stessi; non siamo più quelli che sapevano ascoltare, che sapevano vedere e tendere la mano. Quelli che sapevano perdere i giorni e le notti per chi ne aveva bisogno. Ora, anche noi tiriamo dritti per la nostra strada senza mai guardarci intorno, muti e sordi verso tutti; preoccupati solo della difesa del nostro piccolo mondo.
E mentre l’amministrazione sonnecchia, il popolo vivacchia nelle piazze o si accapiglia miseramente per questo e per quel politico, c’è chi muore nel più drammatico silenzio, completamente ignorata dalla sua gente che neanche sa di quell’esistenza.

n.n.