Lo statuto che sostanzia la nuova fondazione della confraternita è preceduto da una supplica, redatta e sottoscritta dal notaio Giuseppe Matano, sottoscritta dal parroco della chiesa di san Pietro, sede della congregazione, Pasquale D’Errico, da altri notabili locali e da gente comune. Ciò a dimostrazione che nella confraternita risiedevano diverse categorie sociali della popolazione di Casanova, in virtù dello spirito di eguaglianza che vi regnava. La lettera porta a tergo il visto del Regio Cappellano Maggiore. Allo statuto, invece, furono aggiunte alcune condizioni e la clausola della sua non modificabilità previo il beneplacito reale da Isidoro Arcivescovo di Tarso, nel rispetto delle Reali Disposizioni del 1742 e del 1776.
Alla supplica seguono le regole della confraternita riassunte in nove articoli. La lettura del documento è interessante per comprendere com’era organizzata la struttura associativa. Nei diversi articoli sono dipanate due questioni fondamentali: le attività liturgiche finalizzate al suffragio delle anime del Purgatorio che i confratelli dovevano rispettare e l’organizzazione stessa della confraternita. Per quanto riguarda la prima questione, la “regola” stabiliva i comportamenti dei confratelli nelle diverse azioni che essi potevano e dovevano svolgere nel rispetto dei principi religiosi.
In questi punti si parla, infatti, della recita domenicale e nei giorni festivi dell’officio dè Morti e la recita del rosario tutte le domeniche sera in suffragio delle anime purganti. Queste manifestazioni prevedevano la partecipazione di un padre spirituale. L’organizzazione interna presumeva una figura cardine, individuata come priore. La funzione del superiore della confraternita era una carica annuale ricoperta da un membro della confraternita stessa, la cui elezione avveniva la prima domenica del mese di luglio.
A tal proposito, è d’uopo ricordare che nella confraternita, pur essendovi diverse figure istituzionali, tutte le decisioni importanti erano prese in ambito assembleare con la maggioranza dei voti dei presenti.
La votazione avveniva sempre a scrutinio segreto. L’assemblea eleggeva l’amministrazione della confraternita che, pena la decadenza, aveva dieci giorni per rendicontare l’operato della precedente amministrazione. Oltre al priore, eletto tra una rosa di nomi stabilita da tre “confratelli probi” nominati dal superiore uscente, erano eletti due assistenti, un segretario, un cassiere, due “razionali” col compito di supervisione dei bilanci della precedente amministrazione, e il “maestro dei novizi”.
Un ruolo molto delicato all’interno della confraternita era assunto dal Cassiere, che svolgeva la funzione di amministrazione dei beni e delle entrate che giungevano a beneficio della struttura. L’operato del cassiere era comunque vincolato al parere preventivo dell’amministrazione e dei confratelli.
Qualora il cassiere doveva investire piccole somme di danaro non superiori a 30 carlini, era tenuto a chiedere il consenso congiunto del Priore, degli assistenti e del segretario. Per somme superiori, invece, occorreva l’assenso dell’assemblea dei confratelli.
La confraternita, come stabilito dalle nuove norme frutto degli accordi tra Stato e Chiesa, non poteva acquistare beni con i propri fondi (Real Disposizione del 19 giugno 1776) e gli amministratori non dovevano avere debiti nei suoi confronti, tanto meno potevano avere rapporti di parentela fino al terzo grado con quelli uscenti. Si dovevano rispettare le mansioni proprie degli ecclesiastici che comunque erano diffidati dall’entrare nelle questioni della congrega. Il priore nominava il sacerdote che doveva presiedere alle funzioni sacre. Il numero dei confratelli doveva essere di 33, numero degli anni di Cristo e dei martiri, e la quota annuale di iscrizione ammontava a trenta carlini (come i denari, con i quali l’Iscariota, amministratore del gruppo degli apostoli, vendette Gesù ai romani).
L’ingresso di nuovi adepti poteva avvenire solo con la fuoriuscita di quelli già presenti all’interno della struttura per cause naturali o per espulsione. Il confratello, infatti, per non essere espulso doveva garantire la presenza in tutte le manifestazioni della Congrega salvo giustificati motivi. L’iscritto doveva partecipare alle adunanze e alle celebrazioni religiose, accompagnare il Sacramento agli infermi, accompagnare nei funerali i confratelli o le consorelle defunti prima della inumazione nella chiesa, far celebrare messe di suffragio per i confratelli estinti e che erano in regola con la retta, intervenire materialmente in favore dei poveri del paese dando però priorità ai confratelli. La prima ammenda per le assenze ingiustificate ammontava a mezza libbra di cera, per tre assenze al fratello veniva negato il Suffragio e, infine, se recidivo -su proposta del priore- l’assemblea, con la maggioranza dei voti ne decretava l’espulsione.
Uscito un confratello poteva entrarne uno nuovo. La formazione del neofita era compito del Maestro dei novizi e durava sei mesi dopo i quali, se non aveva fatto assenze ingiustificate, il maestro lo proponeva al priore, che a sua volta lo proponeva in assemblea, in seno alla quale si stabiliva se era degno d’indossare uniforme e accessori distintivi della Confraternita. L’acquisto della tonaca era a carico del fratello. Oggi la cappa della confraternita è una veste con cappuccio bianco con una mantellina nera che riporta, a sinistra, l’impronta con la Vergine del Suffragio. Nero è anche il cordone che cinge la tonaca.
Alla supplica seguono le regole della confraternita riassunte in nove articoli. La lettura del documento è interessante per comprendere com’era organizzata la struttura associativa. Nei diversi articoli sono dipanate due questioni fondamentali: le attività liturgiche finalizzate al suffragio delle anime del Purgatorio che i confratelli dovevano rispettare e l’organizzazione stessa della confraternita. Per quanto riguarda la prima questione, la “regola” stabiliva i comportamenti dei confratelli nelle diverse azioni che essi potevano e dovevano svolgere nel rispetto dei principi religiosi.
In questi punti si parla, infatti, della recita domenicale e nei giorni festivi dell’officio dè Morti e la recita del rosario tutte le domeniche sera in suffragio delle anime purganti. Queste manifestazioni prevedevano la partecipazione di un padre spirituale. L’organizzazione interna presumeva una figura cardine, individuata come priore. La funzione del superiore della confraternita era una carica annuale ricoperta da un membro della confraternita stessa, la cui elezione avveniva la prima domenica del mese di luglio.
A tal proposito, è d’uopo ricordare che nella confraternita, pur essendovi diverse figure istituzionali, tutte le decisioni importanti erano prese in ambito assembleare con la maggioranza dei voti dei presenti.
La votazione avveniva sempre a scrutinio segreto. L’assemblea eleggeva l’amministrazione della confraternita che, pena la decadenza, aveva dieci giorni per rendicontare l’operato della precedente amministrazione. Oltre al priore, eletto tra una rosa di nomi stabilita da tre “confratelli probi” nominati dal superiore uscente, erano eletti due assistenti, un segretario, un cassiere, due “razionali” col compito di supervisione dei bilanci della precedente amministrazione, e il “maestro dei novizi”.
Un ruolo molto delicato all’interno della confraternita era assunto dal Cassiere, che svolgeva la funzione di amministrazione dei beni e delle entrate che giungevano a beneficio della struttura. L’operato del cassiere era comunque vincolato al parere preventivo dell’amministrazione e dei confratelli.
Qualora il cassiere doveva investire piccole somme di danaro non superiori a 30 carlini, era tenuto a chiedere il consenso congiunto del Priore, degli assistenti e del segretario. Per somme superiori, invece, occorreva l’assenso dell’assemblea dei confratelli.
La confraternita, come stabilito dalle nuove norme frutto degli accordi tra Stato e Chiesa, non poteva acquistare beni con i propri fondi (Real Disposizione del 19 giugno 1776) e gli amministratori non dovevano avere debiti nei suoi confronti, tanto meno potevano avere rapporti di parentela fino al terzo grado con quelli uscenti. Si dovevano rispettare le mansioni proprie degli ecclesiastici che comunque erano diffidati dall’entrare nelle questioni della congrega. Il priore nominava il sacerdote che doveva presiedere alle funzioni sacre. Il numero dei confratelli doveva essere di 33, numero degli anni di Cristo e dei martiri, e la quota annuale di iscrizione ammontava a trenta carlini (come i denari, con i quali l’Iscariota, amministratore del gruppo degli apostoli, vendette Gesù ai romani).
L’ingresso di nuovi adepti poteva avvenire solo con la fuoriuscita di quelli già presenti all’interno della struttura per cause naturali o per espulsione. Il confratello, infatti, per non essere espulso doveva garantire la presenza in tutte le manifestazioni della Congrega salvo giustificati motivi. L’iscritto doveva partecipare alle adunanze e alle celebrazioni religiose, accompagnare il Sacramento agli infermi, accompagnare nei funerali i confratelli o le consorelle defunti prima della inumazione nella chiesa, far celebrare messe di suffragio per i confratelli estinti e che erano in regola con la retta, intervenire materialmente in favore dei poveri del paese dando però priorità ai confratelli. La prima ammenda per le assenze ingiustificate ammontava a mezza libbra di cera, per tre assenze al fratello veniva negato il Suffragio e, infine, se recidivo -su proposta del priore- l’assemblea, con la maggioranza dei voti ne decretava l’espulsione.
Uscito un confratello poteva entrarne uno nuovo. La formazione del neofita era compito del Maestro dei novizi e durava sei mesi dopo i quali, se non aveva fatto assenze ingiustificate, il maestro lo proponeva al priore, che a sua volta lo proponeva in assemblea, in seno alla quale si stabiliva se era degno d’indossare uniforme e accessori distintivi della Confraternita. L’acquisto della tonaca era a carico del fratello. Oggi la cappa della confraternita è una veste con cappuccio bianco con una mantellina nera che riporta, a sinistra, l’impronta con la Vergine del Suffragio. Nero è anche il cordone che cinge la tonaca.
Contestualmente alla nuova fondazione la confraternita, che evidentemente disponeva di discreti capitali, fece realizzare una propria cappella adiacente alla chiesa, dove per secoli aveva operato, e all’interno ospitò il Monte dei Morti. L’evento è celebrato nella lapide apposta nel tempietto che recita:
D.O.M.
AEDICULA QUAM SPECTES
SOLI EST INNIXA PIETATI
SODALIUM MONTIS MORTUORUM
CASALIS CASANOVAE
ANNO REPARATAE SALUTIS
MDCCLXXXVI
PAR.CO D. PASCHAL ERRICO
Tratto da: C. VALENTE, Una confraternita nell’antica diocesi di Carinola. La Confraternita delle Anime Sante del Purgatorio di Casanova di Carinola, Marina di Minturno 2004.
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