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mercoledì 20 ottobre 2010

riflessioni amatriciane su Marrese

Tenetevi forte. Quello che sto per dirvi potrebbe stramazzarvi al suolo. Per infarto del miocardio o per incontenibile crisi da riso. Antimo Marrese, in arte Antimus Mutus, ha messo nero su bianco, è salito in cattedra e, stufo del dilettantismo imperante, ci ha propinato il suo vangelo : un vero e proprio decalogo con tanto di precetti e dettami da seguire per mettere in atto una sana azione amministrativa e tendere al rilancio e allo sviluppo della nostra comunità. Un compendio di una terapia ad ampio spettro che spazia dalla conoscenza del territorio, fino ad arrivare alla imprescindibilità dei partiti, intesa come fucina di idee e palestra obbligata per la selezione della classe dirigente. Belle parole e propositi ancora migliori. Peccato che a diffonderli, come un novello apostolo, casto e puro come tradizione vuole, sia proprio lui : uno dei più pericolosi dinosauri della politica carinolese, sulla scena da oltre un quarantennio e fedele servitore di un solo credo : il suo!

Ma chi è Antimus Mutus ? Dall’ elenco telefonico risulterebbe essere un coltivatore diretto e, di per sé, questa è già un’ offesa verso chi, per davvero, quotidianamente sopporta il peso della usurante fatica della terra (lo vorrei vedere appresso alle mie vacche). Entra in politica agli inizi degli anni settanta, ovviamente tuffandosi a capo fitto tra le braccia di Mamma Diccì. La cosa gli piace, ha fame e comincia a fare capricci per avere il privilegio di attaccarsi alle mammelle della adorata mamma. In casa ha una sorta di fratellastro che gli insidia il posto e spesso arriva prima di lui : Aldo Migliozzi. Mamma Diccì però è esperta e capisce subito che tra i due a promettere meglio è Aldo ma, da buona Mamma del sud rurale e contadina, considera Antimus pur sempre “nu piezz ‘e core” e gli concede il latte in polvere del Comitato di Gestione dell’ Usl, siamo negli anni 80. Qui Mutus arrotonda la sua indennità di Assessore sempiterno e, strisciando come un serpente, ora con Loffredo, ora con Marcantonio, ora con Fiorillo, tira dritto per quasi un ventennio. Il suo motto, tanto per non derogare dagli spagnoleggianti aforismi della terra dei lazzari che furono è : ”Francia o Spagna purchè se mangna!” Improvvisamente però il cielo sopra di lui si ottenebra, arriva la saetta : il Consiglio comunale di Carinola viene sciolto perché ritenuto condizionato dalla criminalità organizzata. Mutus è preoccupato, colto da un momento di sbandamento, vede allontanarsi i privilegi di Mamma Diccì ma ha il merito di non darsi per vinto. Si mette in quarantena.

Meno di ventiquattro mesi ed è già pronto per il CCD di Pieferdinando Casini : in pubblico va dicendo che odia i comunisti e che si sente di Centrodestra. Si candida perfino alla Provincia, per mano della divina provvidenza non viene eletto. Intanto a Carinola mamma Diccì ha allevato un altro dei suoi figli migliori, ormai pronto per il grande salto : il giovane Di Biasio si è fatto strada, ha prevalso su quel buon uomo che era Antonio Matano. Marrese si guarda intorno, vede il Polo della libertà infestato dai Grimaldi e decide di cedere alle lusinghe di Pasquale e del Dibiasismo galoppante che annovera, tra i più pedissequi interpreti, Il sig. Giovanni Di Gennaro, altra meteora generata dalla vacatio della Democrazia cristiana, nel caso di specie quella casanovese. Pasquale comprende che Mutus può coprirgli una frazione, lo coinvolge nella gestione con tanto di licenza e agibilità. Mutus ne è grato, fa tesoro di quelle linee di credito e dimostra fedeltà in ogni occasione utile. Se ne sta zitto, come da quarant’ anni, come una statua. Dispensa certificati e accresce il profilo clientelare dell’ un’ azione amministrativa di per sé già deprimente. E cresce, tanto.

Con Pasquale supera tutti i travagli politici, approda dapprima nel il PPI, poi passa alla Margherita e, infine, si fonde con i DS in quel fritto misto cucinato con olio andato a male che è il Partito Democratico. Pasquale è contento, felice, compie salti di gioia e quando finalmente capisce che non può fare il Sindaco perché la legge glielo vieta, spinge Mutus verso il grande salto. Questi ha una sola titubanza : chi parlerà in campagna elettorale? Io non la faccio da una vita, a mala pena pronuncio le vocali e sbaglio tutte le finali, dice. Pasquale lo rassicura, ci penso io. Amen. Arriva la corrida delle elezioni e Mutus viene nascosto come un cane colto da improvvisa zoppia prima di essere catapultato sulla passerella di una Kermess di bellezza per esemplari a quattro zampe. La gente, il popolo, quello che Marrese invoca a che titolo non si sa bene, ne sgama l’infimo livello. L’ esito è scontato : Mutus perde! Di Biasio se ne fa subito una ragione, si rimbocca le maniche e prepara la rivincita non prima di essersi esibito in un paio di sparate in Municipio che nemmeno il miglior Benigni (con rispetto parlando). Mutus è triste , ha bisogno di una scossa, rischia l’ esaurimento, lui non ha mai perso. Non sa perdere . Non conosce nemmeno il significato del termine opposizione. Vuole riciclarsi, secondo alcuni pensa seriamente al suicidio ma, questa volta, la longa manus della provvidenza si ritira……..(Peccato) .

Bisogna intervenire, il trattamento sanitario obbligatorio è dietro l’ angolo. Lo capisce bene Marcantonio, allevato con gli stesi metodi. Si lascia intenerire e va da Mutus : ”Non abbatterti, gli dice, ci sono qui io. Ti faccio fare l’ Assessore con me, gestirai con me. Tutto, proprio tutto!”. Mutus sa che Marcantonio è sincero, del resto se non ci si aiuta tra Dinosauri vuol dire davvero che al peggio non c’è mai fine. E poi c’è Pietro li giù, una garanzia. Si riprende, gongola su e giù per le strade di Casale al pomeriggio con il suo nuovo Salvatore e di mattino all’ ufficio tecnico. Marcantonio ad Antimus ha prescritto una cura, estesa poi anche a Giovanni Di Gennaro. Innovativo come medicamento, prevede la recita di un ritornello per tre volte al giorno che suona cosi : ”Pasquale Di Biasio a morte! Pasquale Di Biasio a morte!” La cura ha successo, Mutus si riprende, Marcantonio è soddisfatto e lo è perfino Gennaro Mannillo : in questo modo, pensa la nuova fascia tricolore, non cado mai.” Marcantonio come Di Bella? Errore! Sulla scena irrompe Grimaldi con una agenda chiara e precisa e con una determinazione cinica e, soprattutto, una mission da compiere.. : sistemare definitivamente la pratica Marcantonio, portare con se Mutus e dare il benservito a Mannillo.

Comincia l’ attuazione pratica : Marcantonio viene trombato in 40 giorni per ben due volte: boicottato alle provinciali e fatto fuori dal pure agognato scranno di Assessore provinciale, al suo posto (che smacco) Rosa Di Maio, che nel frattempo , dopo averne presentato la lista, ha preso le distanze opportunisticamente da Pasquale Di Biasio. Nel mezzo l’ intimazione di sfratto a Gennaro che se ne va a casa mesto e rabbioso. Mutus capisce che Grimaldi non sa cosa farsene di Marcantonio . Ormai sono solo due a credere che possa fare il candidato Sindaco : il fido Filippo e quel gran fico di Giovanni Micillo. Invero Grimaldi lo ha sodomizzato per la terza volta, forse addirittura per la quarta, (speriamo non cominci a piacergli) se consideriamo che non lo ha neppure candidato nella sua lista alle provinciali dove, molto verosimilmente, sarebbe stato eletto. E Marcantonio lo sa bene, molto bene, anche se, come un disperato, continua ad arrampicarsi e a sforzarsi di non darlo a vedere, parte che ormai non tiene più.

Allora Mutus che fa, udite udite? Scrive il suo decalogo, in pratica, emulo di Antonella Clerici, ci dà la ricetta per governare Carinola. Sa bene che Marcantonio è in off-side e ritiene che lui, strumentalizzando i socialisti della 167, quelli con il cuore nel pozzo (quello di borgo Migliozzi), possa chiudere Casale e tentare la rivincita. In fondo anche “Susanna mon amour” si è fatto il restailing per servire come paggio alla corte di Grimaldi. Il ragionamento di Mutus è di una semplicità disarmante : Marcantonio non accetterà mai la Di Maio, anche se Grimaldi ha dimostrato di non essere come Cappuccetto Rosso e di saper andare dove lo porta il… Cuore! Risultato : entro in gioco io, alla grande, e Marcantonio verrà con me, dovrà farlo per forza, nessuno può garantirlo più di me! Mutus ci crede, si gioca la carta, scrive e prescrive, spera e si gode la disperazione di Marcantonio che, giorno dopo giorno, si acuisce sempre di più!

Dopo 40 anni, ancora TU, Mutus, direbbe il grande Lucio Battisti? Si può sopportare? A proposito , sapete una delle più enfatiche uscite pubbliche di Mutus in due anni di finta opposizione qual è stata? Quella sugli scavi di Forum Popilli e sul progetto di creare un Parco Archeologico da intitolare alla memoria di Padre Michele Piccirillo. Queste le sue parole, rilasciate a Corriere e Gazzetta di Caserta (verificare per credere) : ”Si tratta di una strumentalizzazione politica.”! Giudicate voi…….

Intanto le vacche mee se le stanna a fenì, che ve pozzana accire, sti recchiuni…Ca ce vonnu ri Tibotti……….!!!

Vincenzo L’ Amatriciano

martedì 19 ottobre 2010

Traduzione delle dichiarazioni di Marrese

Non sono comunista. Non sono fascista né democratico di sinistra; non finiano né berlusconiano. Sono un cittadino; libero da influenze politiche, per quanto è possibile, con un lavoro proprio,  interessato semplicemente al bene comune del territorio.
Paroloni? Può darsi. Ma per fortuna ci sono ancora gli stronzi come me che a questi paroloni ci credono. Perché? E vallo a sapere il perché! Potrei dire perché leggo, studio, analizzo, discerno e tante belle cose simili. No, niente di tutto questo. Semplicemente perché parlo con la gente.
Sento, ascolto, vivo il paese e la comunità in maniera attiva e sento le lamentale della gente, conosco i loro bisogni, quelli detti e quelli non detti. Conosco il loro malcontento a cui, chiaramente, si associa il mio.
La mia voglia di conoscere e capire mi ha portato a leggere, su un altro sito di Carinola, la bella lettera di Antimo Marrese. Molto retorica. Emblema  di questa Italia che da anni ci governa, ci imbavaglia e ci raggira. Dapprima con fine astuzia, ora con palese bassezza.  Antimo, figlio politico di questa Italia a basso costo,  sta forse preparando le giustificazioni per la sua ennesima discesa in campo? Certo che si!

Ci sta dicendo molto chiaramente, per chi la retorica la mastica,  che se non hai un partito politico alle spalle che ti sostiene non vali niente come amministratore. E su questo siamo d’accordo: così è. Chi ha più polvere spara e lui, da buon soldato, continua a combattere perchè forse non ha ancora trovato il partito che gli fornisca tanta di quella polvere da sparo da fargli esaurire tutte le sue cartucce. Ma forse, a questo punto,  avrebbe bisogno di un cannone.
Ci sta dicendo che solo loro, gli intoccabili della casta, possono aspirare ad amministrare il tesoro del Tempio e che le competizioni elettorali sono aperte solo ai volponi come lui che sanno dove e come stanare le prede. Sta dicendo ai comuni cittadini che potrebbero avere velleità politiche e potrebbero persino essere votati grazie alla stima e al prestigio di cui godono nella comunità,  che è meglio che se le facciano passare. Ci sta anche dicendo che ha una fottuta paura che queste velleità potrebbero concretizzarsi e lui rischia di perdere la possibilità di allattarsi ancora per un po’. E ci sta ancora dicendo che noi comuni cittadini non valiamo quattro ceci perché non sappiamo proporre niente di buono, se non cose irraggiungibili e assurde nel concitato periodo elettorale. E come mai  lui stesso, in quel periodo, è stato il primo ad appropriarsi di tutte le proposte fatte da cittadini su questo blog? Poveretto, perché era talmente a corto di proposte valide che si è buttato su quelle misere e irrealizzabili  di giovani “incapaci”. 
Ci sta dicendo, infine, che i colpevoli siamo noi cittadini che non capiamo un tubo di amministrazione e che ci facciamo fregare da loro come polli. E loro, gli intoccabili, ancora una volta cercheranno di farlo alla grande. Perché siamo stupidi e passivi.

Mi dispiace caro Antimo, ma le tue manovre non hanno una buona copertura e sanno di stantio come un formaggio rancido. Non tutti sono stupidi o passivi. E tirare in ballo i comuni cittadini in quel modo è stata sicuramente una mossa meschina più che sbagliata.
Quali grandi proposte ti aspetti da loro se non siete stati capaci di amministrare neppure nell’ordinarietà? Che cosa dovremmo proporre se non le cose di sempre che non ci sono mai state date? Te le faccio io le proposte in questa sede, quelle che non ci stancheremo mai di pretendere: paesi puliti e curati; controllo, tutela e valorizzazione  dell’ ambiente e dei beni storico-artistici;  un minimo di servizi sociali che abbiano attenzione verso i più deboli; un minimo di servizi ludici per i bambini e i vecchi. Cose normalissime e che ritrovi anche nei cosiddetti paesi del terzo mondo. Quante volte lo dobbiamo dire? Volete che vi diciamo anche come farle queste cose? E allora voi che cazzo ci andate a fare su quel Comune se non riuscite a partorire un’idea  e a concretizzarla e ve l’aspettate da noi cittadini che,  anche per ottenere cose banalissime, dobbiamo passare sotto le vostre forche caudine?
Ma lo sapete che avete rotto? Ma rotto, rotto, rotto!
Ecco, se proprio ci tenete, mettete un bel contenitore colorato nell’atrio del Comune dove i cittadini possano imbucare le loro proposte e come realizzarle, oppure create uno spazio sul sito ufficiale del Comune dove poterle mandare, così ci amministriamo da soli. Noi ce la suoniamo e noi ce la cantiamo. E sarebbe la cosa migliore!

Mister No


Dichiarazione di Marrese (pubblicata su carinola.net):

Come sempre capita nei periodi pre-elettorali, si avverte un fermento di idee che, a prima vista, sembrano preludere a un impegno di molti cittadini per la proposizione di nuove liste, magari con persone che nel passato non si sono esposte nell’agone politico.


A ciò si aggiungono le inevitabili proposte di chi sponsorizza eventuali candidati per le cariche più varie, in primis ovviamente, quella di sindaco.

Tutto legittimo, per carità, e anche auspicabile. se la cosa viene vista nell’ottica di una più ampia partecipazione intesa a proporre novità nel campo amministrativo della nostra nobile e bella terra a volte non governata con rigore e capacità. Ma è proprio così?

Quasi sempre si tratta di proposte velleitarie di cittadini che si svegliano dal loro letargo solo in un determinato periodo ben preciso. Disegni utopici perché non propositivi, ma basati solo su una vaga, forse anche gattopardesca, voglia di “cambiare”, eliminando buono e cattivo del passato; calpestando tesori di esperienza accumulati attraverso annose militanze; idealità cresciute insieme a chi davvero e a lungo ha profuso il proprio impegno.

E sempre ci si dimentica che non basta la buona volontà (ammesso che ci sia…), non basta essere “nuovi” per far bene. Non si può pretendere di amministrare a prescindere dai partiti e dalla politica, come se questi fossero vecchi arnesi da riporre per sempre. Anzi proprio in essi possiamo trovare nuove spinte, coesioni, occasioni, di andare avanti in modo moderno e utile per la cittadinanza. Possiamo noi procedere a ruota libera, senza il supporto che le strutture partitiche –anche e forse soprattutto in questi tempi difficili- garantiscono? Sono proprio i tanti bistrattati partiti quelli ai quali gli amministratori locali possono rivolgersi per attuare gli interventi indispensabili a migliorare la vita comunale. Fare a meno della “benedizione” loro significa astrarsi dalla realtà e rincorrere fumose chimere, magari belle sulla carta ma di nessuna utilità per la cittadinanza.

Dicevamo delle varie proposte che, quasi sempre, invocano come salvatore della patria qualcuno che, più che offrire garanzie o avere cultura politica e sincerità di propositi, può vantare altre doti che nulla centrano con la buona amministrazione, come ad esempio: bella presenza, un nome più o meno prestigioso, una solida posizione finanziaria e altre “virtù” del genere. Ma, signori, cerchiamo se non è chiedere troppo, di ragionare con la testa! Il governo sia pure di un piccolo comune, non è il concorso di Miss Italia! Sono richieste esperienza e reale impegno, capacità di districarsi nella complessa macchina della politica, dove sicuramente spesso vengono disattese le richieste dei cittadini, ma che è sarà sempre l’unico percorso col quale si assicura una civile convivenza, un miglioramento delle condizioni di tutti, anche se lento e incostante, e –soprattutto- il dono inestimabile della democrazia. A questo compito non ci si improvvisa: è troppo serie e arduo perché venga affidato a goliardi e pavoni, buoni, sì, a parlare e sparlare, ma non ad altro.

Certo è da mettere in conto anche il momento di reale crisi che i partiti attraversano, visti spesso come veicoli per arrivare a una meta che è solo vetrina personale e non impegno a favore e in nome della collettività.

L’attuale legge elettorale, che doveva risolvere annosi problemi e permettere alleanze solide e durature, si rivela ogni giorno di più una iattura che realizza l’esatto contrario, spingendo –vorremmo dire: obbligando…- i politici di qualsiasi livello, ma soprattutto quelli che operano in ambito locale, ad aggregazioni estremamente variabili e, spesso, anche “innaturali”.

La prossima tornata elettorale della primavera del 2011 affrontiamola con schiettezza, parlando dei problemi reali e proponendo rimedi che non siano quelli, ripetiamo velleitari, di buttare via insieme all’acqua sporca anche il bambino che stiamo lavando.



Antimo Marrese

ex capogruppo PD al Comune di Carinola

domenica 17 ottobre 2010

I Dioscuri carinolesi

Come tutti sanno, i Dioscuri sono figure mitologiche greche venerate anche dai romani che ne riprodussero le fattezze eroiche in molte piazze ed in molti templi . Castore e Polluce era il loro nome, alcuni autori riportano che erano gemelli figli di Zeus ma la maggior parte degli storici antichi sostenevano che erano soltanto amici fraterni e che il solo Polluce fosse figlio di Zeus e perciò immortale. I due si distinsero nella conquista del vello d'oro insieme agli altri argonauti e parteciparono ad altre epiche imprese. 
 Il ricordo delle loro gesta fu tramandato insieme al loro ricordo di eroi che cercavano il nuovo e le esperienzesconosciute. Trovarono la morte in una imboscata per una loro ragazzata: avevano rapito le promesse spose di due loro cugini, anche essi gemelli,  Ida e Linceo. Si narra che solo Castore morì, non Polluce in quanto immortale, ma questi per restare insieme al suo gemello per tutta l'eternità chiese a Zeus di morire anche lui. Un'altra versione della loro fine è quella che Zeus avesse concesso ad entrambi di vivere in eterno sotto forma di costellazioni che ancora oggi portano il loro nome. Comunque in entrambe le versioni viene ricordata e celebrata la loro amicizia anche dopo la morte. 

Anche a Carinola abbiamo avuto, anche se sotto spoglie meno eroiche, una coppia simile. Non si chiamano Castore e Polluce bensì Gennaro e Mattia con la differenza che nessuno dei due è immortale. Anche loro hanno stretto una amicizia più che fraterna ed insieme hanno affrontato battaglie di ogni genere. Anche loro come i Dioscuri hanno rappresentato per un biennio il desiderio di cambiamento e di anelito al nuovo insito nell'animo di ognuno. Si sono sforzati di traghettare la loro comunità verso il nuovo e l'innovazione scontrandosi tutti i giorni con forze retrograde e restauratrici. La loro fine non è stata causata dal rapimento da parte loro di belle fanciulle ma da qualcosa di più grave in ambito politico. I loro avversari li hanno accusati di essersi impadroniti del comando assoluto della cosa pubblica e pertanto dovevano morire. Dopo essere sfuggiti a vari agguati hanno finito per soccombere insieme sotto i colpi dei numerosissimi nemici. 

Fin qui la storia è molto simile a quella dei Dioscuri, il finale è alquanto diverso e sembra anche non tanto eroico. I due sconfitti sono rimasti abbracciati per lungo tempo notte e giorno a discorrere ed a progettare improbabili rivalse. Nel momento che si è prospettata la morte di uno dei due con la scomparsa dalla scena politica, nessuno dei due ha scelto di passare alla storia come martire politico, tanto meno hanno scelto  di finire gloriosamente insieme. Ognuno ha cercato gli alleati più consoni alle proprie idee con l’unico obbiettivo di sopravvivere. In un attimo hanno calpestato e dimenticata la loro fraterna amicizia che era diventata famosa anche fuoricomune. 

Si fossero fermati a questo, poco male, invece hanno iniziato una campagna di attacchi verso l’altro per giustificare il proprio operato. L’uno accusa l’altro che non lo ha invitato a riunioni importanti. L'altro lo accusa di poca riconoscenza per non aver concesso la sua testa agli avversari. Sicuramente quella di dividersi è stata la soluzione più giusta, di questi tempi è difficilissimo essere amici normalmente impossibile esserlo in politica. 
I politici moderni raramente sono eroi mai si sacrificano in nome dell’amicizia, così è stato anche in questo caso. Nel normale contenzioso politico si può essere alleati, anche leali, per un obiettivo comune, ma mai amici. Se capitasse che due politici fossero amici e lo restassero per sempre in quel caso ci troveremmo davanti alla reincarnazione dei Dioscuri e si dovrebbe erigere anche a loro un monumento commemorativo. Molti erano convinti che quel miracoloso evento si fosse verificato a Carinola col gemellaggio tra Gennaro e Mattia. Pensavano che fosse nata una coppia storica ma i fatti hanno riportato tutti alla realtà e constatare come i nobili sentimenti vengono seppelliti cinicamente dalla politica.

Eraclito

giovedì 14 ottobre 2010

La scuola tra passato, presente e futuro

“Tutto ciò che non abbiamo alla nascita e di cui abbiamo bisogno da grandi, ci è dato dall’educazione. Questa educazione ci viene dalla natura, o dagli uomini, o dalle cose. Lo sviluppo interno delle nostre facoltà e dei nostri organi è l’educazione della natura; l’uso che ci si insegna a farne è l’educazione degli uomini; l’acquisto di una nostra propria esperienza sugli oggetti che ci colpiscono è l’educazione delle cose”. Jean Jack Rousseau  
                                                                    
Non è facile parlare del mondo della scuola in questi anni di tagli e di contro-rivoluzioni didattiche. Non so quanto sia cambiata la scuola da quando la frequentavo dieci anni fa, ma ho l’impressione che nei nostri paeselli sia rimasta più o meno la stessa, con gli stessi metodi d’insegnamento, programmi leggermente diversi, con qualche insegnante più giovane che ha voglia di cambiare il mondo. Sono sempre convinto però che in un futuro non troppo lontano, la formazione nella scuola primaria e secondaria sarà la base per una nuova società, ricca di idee e d’immaginazione, di spirito critico, capace di discernere le cose giuste da quelle sbagliate. Ma ora senza andare troppo lontano ritorniamo al presente.
Come sapete nelle primarie di Casanova, sono state momentaneamente dislocate due sezioni delle medie (B-C), mentre la sezione A nelle primarie di Carinola, struttura altrimenti inutilizzata. Questo si è deciso in un tavolo dove hanno partecipato funzionari del comune, la commissaria, e naturalmente il Consiglio scolastico, riunitisi per prendere delle decisioni su come organizzarsi in vista dell’inizio del nuovo anno scolastico. Per chi non lo sapesse le scuole medie sono oggetto di lavori di ristrutturazione interna ed esterna, adeguamento alle vigenti norme di sicurezza, di igiene, e di abbattimento delle barriere architettoniche. Lavori per trecentomila euro, con fondi arrivati dall’Inail, durante la scorsa gestione Mannillo. Qualcuno temeva disagi, e invece sembra di no. Una maestra mi faceva notare, l’altro giorno, come tutto fosse stato organizzato con attenzione, cominciando dal fatto che i ragazzini delle medie non entrano dalla porta principale, utilizzata invece da quelli delle elementari. Così come per l’uso dei bagni, sono stati presi dei semplici accorgimenti. Insomma, a parte qualche scritta sui muri in più, tutto fila liscio, anche perché per dicembre l’edificio delle medie dovrebbe essere consegnato dalla ditta. Ma per ora il paese sembra un altro la mattina, non si vedevano da tempo così tanti genitori accompagnare decine di ragazzini allegri.

Pensate un po’, come sarebbe se tutti gli alunni del comune crescessero in un’unica struttura pubblica, oppure tutti quelli delle elementari insieme e tutti quelli delle medie in un'altra struttura. Un sogno? Forse, no. Se solo si capisse qualcosa in più sul famoso Polo Scolastico. Sappiamo per ora che i lavori, assegnati dalla Stazione unica appaltante verso i primi di agosto alla ditta Vincenzo Modugno Costruzioni e Restauri, sembra prevedano la costruzione di una sola struttura dal costo di due milioni di euro (finanziamenti arrivati nella scorsa gestione). Lavori tuttavia non ancora cominciati. A quei soldi vanno però inclusi costi di progettazione ed il costo del terreno espropriato ad un cittadino di Carinola. Verrà realizzato un quarto di Polo quindi, se non dovessero arrivare altri quattro milioni? Sembra proprio di si. E allora la popolazione in che modo può “pretendere” che la struttura si trasformi da sogno in realtà? Diamoci delle risposte, concrete possibilmente.
                                                                           
A proposito di sogni…
Ricordo una mia professoressa delle scuole medie, gentile, preparata e con una vocazione. Per quanto fossi un ragazzino abbastanza diligente, spesso capitava di distrarmi, ma pochissimo durante le ore della prof.ssa S., sempre pronta a crearci attività interessanti, divertenti e ora capisco, molto istruttive. Fra queste ,ricordo quelle in scienze naturali, in cui lei approfittava per parlarci di tutto, dall’importanza della tutela dell’ambiente (per lei questa era la vera fissa), alla prevenzione all’Aids, alla distinzione fra droghe leggere e droghe pesanti, quindi l’educazione sessuale, anche con convegni nell’atrio. E poi gli opuscoli della prof.ssa S. sull’ecosistema del territorio carinolese a cui seguivano le “gite”, che credo non siano state più fatte. Un giorno ci portarono su Monte Massico, noi ragazzini di terza media, consigliandoci di indossare scarpe adatte alla camminata. Ci mostravano le piante, ci facevano associare il nome delle piante alle splendide forme arboree delle nostre montagne. Speravamo di vedere qualche animale, ma non ricordo se riuscimmo a vederlo. Pranzammo lassù. Poi stanchissimi scendemmo, felici come può esserlo un bambino dopo una bella gita di primavera. Per buona sorte, oltre al piacevole ricordo, mi sono rimaste impresse anche quelle leggere lezioni sulla natura e sull’ambiente, così come mi sono rimaste impresse l’a, la b, la c… imparate alle elementari.

Emilio Voltaterra

martedì 12 ottobre 2010

Famiglie allargate e metamorfosi.

Le famiglie allargate sono un po’ la croce della società perchè raccolgono avanzi di matrimoni finiti male. A volte funzionano, ma il più delle volte no.
Metti insieme, in una stessa casa, due mezze famiglie venute su con educazione, idee, comportamenti, interessi diversi e ti ritrovi un bazar arabo dove non ci si capisce un tubo; dove si litiga, si mercanteggia, si alza la voce,  ci si azzuffa,  ci si tende e la mano e, dulcis in fundo, ci si pianta un coltello nella schiena appena ti volti da un’ altra parte.

Circa tre anni fa c’è stato un divorzio nella nostra famiglia comunale, quello tra Pasquale Di Biasio e Gennaro Mannillo. Poveretti, non si intendevano più. L’uno troppo condottiero: aveva confuso la sindacatura con la dittatura e il suo abuso di potere era arrivato alla distribuzione di cariche comunali e vendite territoriali come fossero cioccolatini. L’altro troppo ambizioso: sapeva ben piangere i morti per fottere i vivi e la sua fama di bugiardo aveva superato quella di Pinocchio. Dopo qualche scaramuccia, i due decisero di separarsi e seguire ognuno la propria strada.
A dire il vero, la separazione fu abbastanza indolore, perché Gennaro si consolò subito con Mattia Di Lorenzo con cui sembrava intendersi benissimo. I figli della lupa e i figli dei fiori (il garofano ormai moscio) formarono subito un’allegra famiglia allargata e speranzosa e in quasi due anni di convivenza, seppur tribolata, qualcosa si riuscì a fare. Ben poco devo dire. Ma possono i lupacchiotti giocare a lungo con i fiori? Impossibile! I lupi sono sempre lupi e i fiori, a lungo andare, si ammosciano: una zampata dei primi e – zac! -  i secondi vanno a farsi fottere. Tutto prevedile.
E intanto, mentre Gennaro viveva e terminava la sua avventura con Mattia, Pasquale, da quel volpone che è, zitto zitto, cacchio cacchio, aspettava che il figliuol prodigo, dissipate tutte le sostanze, si rifacesse vivo. “Qua deve tornare!” diceva a se stesso. E si! Perché chi ha mangiato e fatto mangiare politica per tutta la vita, certe cose le sa. Poteva sbagliarsi? No, non poteva. Esaurite le infatuazioni extrafamiliari, si ritorna alla base. La famiglia, anche se di merda, è sempre famiglia.

Ma di quelli che da lupi si sono trasformati in fiori e di quelli che da fiori si sono trasformati in lupi per dare una mano alla famiglia allargata, che ne sarà ora?  Dei parenti, degli amici, degli amici degli amici che per un eccesso d’affetto hanno accettato di subire questa metamorfosi kafkiana, che ne sarà? A quale famiglia sentiranno di appartenere ora? Si sentiranno finalmente liberi o si sentiranno orfani?…
Credo di saperlo: subiranno un’ulteriore trasformazione! Non più lupi, non più fiori, ma il solito codazzo di pecore che andrà dove lo spingerà il cane pastore. Tutto rassicurante come prima. Continueranno a pascolare in una palude melmosa, disposte a seguire qualcosa che sembrerà un bellissimo vessillo ed è invece un lurido straccio svolazzante.

Personalmente, non amo le stupide pecore. Preferisco i caproni che se ne vanno per conto proprio.  E adoro quelli esuberanti che sanno dare cornate. Peccato che ce ne sono troppo pochi in giro! Se tutte le pecore sapessero trasformarsi in caproni, le cose sarebbero molto, molto diverse!

Amanteus

sabato 9 ottobre 2010

Facebook

L'alba del nuovo millennio è stata segnata dall'avvento di internet e dalla comunicazione in tempo reale che hanno portato a una nuova concezione di trasmettere le informazioni.
Con il progresso tecnologico quasi tutte le famiglie dei paesi più industrializzati si sono dotate di un Personal Computer: una finestra sul mondo disponibile a tutti in tempo reale.
Tutto questo ha portato a una rapida evoluzione del modo di pensare di milioni di persone, tutti collegati istantaneamente a un'unica e immensa rete.
Grazie ad internet è possibile accedere ad una miriade di informazioni e servizi con una rapidità impensabile fino a qualche anno fa. 
L'ultima trovata è quella dei social network, ove tutti possono pubblicizzare la propria immagine.
Facebook, Twitter, Netlog, sono solo alcuni dei nomi dei social network più diffusi.
Facebook è stato creato nel 2004 da uno studente dell'università di Harward con lo scopo di trapiantare sul web gli annuari con le foto di ogni singolo studente che alcuni college americani distribuivano all'inizio di ogni anno accademico come mezzo per conoscere le persone all'interno del campus. Nel giro di pochi mesi aderirono all'iniziativa molte altre università statunitensi e dal 2006 il servizio fu disponibile anche per  le scuole superiori e le grandi aziende. 
Negli ultimi mesi in Italia si è verificato un aumento esponenziale degli utenti iscritti a Facebook, per la maggior parte giovani studenti, che hanno scelto di far parte di questo progetto per conoscere e farsi conoscere.
Il sito è gratuito e ognuno può dunque creare un proprio profilo che contiene fotografie, interessi personali, scambiare messaggi privati o pubblici, aggiungere alla lista degli amici altri utenti con cui condividere i propri dati e riunirsi in gruppi di amici.
Molte persone sono rimaste assuefatte da questo servizio e passano le intere giornate a interagire con altri utenti, modellano la propria esistenza per essere sempre più in vista sul social network del momento.
Si è arrivati addirittura alla tacita concezione che chiunque non abbia un account di Facebook è tagliato fuori dalla società, una cosa che sembra inconcepibile.
Facebook è solo uno dei tanti mezzi di comunicazione che abbiamo a disposizione e non dobbiamo farne un uso smodato.
Ci sono tanti altri modi per conoscere nuove persone e di passare il tempo.
anonimo 

mercoledì 6 ottobre 2010

Un popolo che non sa riprendersi il futuro

Degli italiani qualcuno disse, nel lontano 1935, che fossero un popolo di santi, eroi, poeti e navigatori. Può darsi che allora questo qualcuno avesse un buon motivo per dirlo,  un oscuro signore malato di megalomania che finì poi a testa in giù.
L’orgoglio, seppur opportunista, che si cela in questa frase non ha più motivo di essere perché ormai gli italiani sono ben altro: un popolo di papponi, puttane e puttanieri che nulla hanno a che fare con i santi e gli eroi. E l’altro oscuro signore malato d’onnipotenza, che allatta la maggior parte di essi, non finirà a testa in giù come il suo predecessore, né glielo auguro; gli auguro però di cadere così pesantemente a culo per terra che non sarà più capace di rialzarsi. Ma anche questo sembra improbabile, nonostante le numerose scivolate.
Allora c’era un movimento che si chiamava “Resistenza” fatta di uomini con le palle che ebbero il coraggio di combattere  la prepotenza  e l’oppressione, lasciandoci anche la vita. Molte vite.
Oggi gli uomini sono rimasti, ma le palle sono scomparse. In compenso ci sono tante altre cose che fanno di questi uomini dei pupazzi di gomma che si possono tirare di qua e di là senza mai rompersi, che si piegano, si curvano, si flettono, si appiattiscono come tappetini su cui passa un piede sporco di merda che li deturpa. E loro non dicono una parola. Si lasciano deturpare sorridendo. Basta avere le tasche piene… Di che?

Sono arrabbiato. Sono arrabbiatissimo.
Mi fanno schifo queste persone che si lasciano comprare, queste donne che si offrono come mercanzia di basso valore per raggiungere un misero scopo. Mi fanno schifo queste persone che, come sanguisughe, succhiano la vita, il sangue, il futuro della povera gente, regalandogli disoccupazione, nevrosi, follia, morte sul lavoro, miseria. Mi fa schifo questo popolo di povera gente che non vuole pensare, non vuole  capire, non vuole analizzare e ingoia tutto ciò che gli viene propinato, anche il percolato più schifoso; che si accontenta, che sa solo lamentarsi e alzare le spalle come se la cosa non lo riguardasse più di tanto; questo popolo incapace di ribellarsi alle bugie, alle adulazioni e alla prepotenza di chi sa di poter comprare tutti: deputati, senatori, magistrati, giudici, giornalisti, amici e nemici e si fa forza di questo.
C’è mai veramente stato un popolo di santi, eroi, poeti e navigatori? Forse stralci di un popolo che ora sembra inebetito, ubriaco delle troppe stronzate mediatiche che gli vengono propinate di proposito per impedirgli di pensare. E non pensa.

E noi carinolesi siamo forse diversi? Cosa siamo diventati? Un popolo di pezzenti che ancora elemosina briciole di vita da qualcuno più furbo di altri che riesce a fare il capopopolo e gestisce i soldi pubblici, i nostri, per farsi amici ed amiche.  Che sa regalare posizioni di prestigio a chi più  gli comodo sulla pelle di tanti ai quali  non sputa neanche in faccia.
Che cosa ne riceviamo in cambio? Servizi? Neanche la parvenza! E allora non siamo ancora stanchi di permettere a quattro giocolieri incompetenti di gestire le nostre vite e il nostro futuro? Quando ci rendiamo conto che la forza siamo noi e solo noi e li mandiamo a quel paese? Che cosa vogliamo ancora aspettarci da loro?
Vogliamo darci finalmente una mossa e mandare tutti i soliti papponi a quel paese, creandoci una via d’uscita,  o vogliamo rimanere per sempre in questo pantano  puzzolente?

Nuvola Rossa

lunedì 4 ottobre 2010

cosa ho di italiano

Oggi non voglio essere Carinolese, Casanovese, Nocelletese né di S. Donato nè S. Ruosi nemmeno di Ventaroli e neppure di S. Anna. Non voglio essere di Casale e neppure della croce di Casale o di Borgo Migliozzi, non voglio essere di S.Croce e non voglio essere nemmeno di S.Bartolomeo. Non m’interessa se è meglio il vino di Casale piuttosto che  quello di Casanova, non m’interessa nemmeno se l’olio è più profumato in quella zona rispetto a quell’altra parte della collina. Non m’interessa se S.Anna nonostante così piccolo sia uno dei borghi più belli del comune e non m’interessa se a Casanova è passato S.Francesco come non m’interessa del vescovato di Carinola o dell’episcopio di Ventaroli. Insomma, oggi, nonostante sono carinolese della provincia di Caserta quindi campano e tifoso del Napoli m’interessa di sapere se sono ancora  italiano. Vorrei capire quanto d’Italia c’è in me? 1861 2011 un compleanno festeggiato con film, fictions, mostre fotografiche, articoli, convegni ecc ecc in quasi in tutto il territorio nazionale ma nonostante tutto l’Italia è sempre quella della nazionale calcistica o al massimo quell’entità culturale ormai sempre meno culturale e sempre più identificata con i suoi stereotipi come pasta, mafia, mandolino ecc ecc. 150 anni d’Italia eppure non sembra. Ancora gli stessi problemi che devono esserci altrimenti che Italia sarebbe. Il sud  sempre più a sud e il nord sempre più a nord le mafie che prendono appalti dallo stato e lo stato che quando serve si sostituisce alla malavita, la chiesa che mette paletti qua e là disoccupati a iosa che spaziano in lungo e in largo per cercare uno stipendio, le campagne che si svuotano e le città sempre più grigie: praticamente le stesse dinamiche che caratterizzano il bel paese dalla sua fondazione. Il particolarismo culturale fatto di dialetti tradizioni usanze che sembravano la forza e  la vivacità di un paese oggi sembrano chiari limiti e ovvie distanze. Tutti contro tutti ma tutti uniti quando si deve salire sul carro del vincitore. Oggi l’italia non è un paese che mi piace tanto ma nonostante tutto sono Italiano e in questa sede vorrei capire cosa resiste in me d’Italia. Esclusa la lingua e la bandiera credo che la mia italianità va riscontrata proprio nei difetti che questa nazione ogni giorno pone sopra alle qualità. Mi sento molto Italiano quando riesco ad ottenere traguardi passando sotto la regola così come fa il presidente Berlusconi, mi sento italiano quando ancor prima della persona guardo i simboli così come è di moda tra i leghisti. Sento forte il valore Italiano quando il mio egoismo supera le idee e il rispetto, come  tutti i parlamentari. Ma la cosa più italiana che faccio è quando con un sorriso da stronzo entro in casa, dò un bacio alla mia compagna e vado in bagno, mi guardo allo specchio e sghignazzando  penso alla mia amante.   

Faceless

domenica 3 ottobre 2010

Sognando il prossimo sindaco


Il sognatore di mezza estate ha stimolato, nel sognato,  un interessante elogio del sogno , così, trovandomi nel mio, anch’io ho sognato  ad occhi aperti.  Non  ho sognato un nome ma, complici le letture estive, ho sognato un metodo.

Ho sognato che prima di pensare a CHI dovrà essere il prossimo Sindaco tutti i politici e aspiranti tali si riunivano e pensavano a COSA dovrà fare il prossimo sindaco.
In Base a questo,poi, avrebbero scelto la persona con i requisiti richiesti dal Compito come fa una qualsiasi squadra di calcio, una qualsiasi azienda ed un qualsiasi altra organizzazione che persegue i propri fini legittimi.

Ma come si stabiliscono i requisiti senza essere influenzati dalle persone intorno al tavolo? Come Rawls, nel sogno ho immaginato la “posizione originaria” protetta da un “velo di ignoranza” sul futuro.

Azzerata la memoria il gruppo deve scegliere il suo leader  e, visto che tutti vogliono avere una possibilità hanno iniziato dai requisiti molto astratti e generali i, in modo da non escludere nessuno in principio.  Presumibilmente arriveranno ai questi sei punti:

1. Deve conoscere il territorio ed il suo popolo tanto da proporre soluzioni concrete ai problemi dei cittadini, in modo organico e con qualche stimolo all’orgoglio locale per ridarci speranza nel futuro. Questo programma, tra l’altro sarebbe di non poco aiuto per la vittoria.

2. Deve saper comunicare questa speranza alla squadra ed al popolo. Convincerli che è la cosa giusta. Per questo deve avere quel tanto di personalità ed una storia che gli conferiscono l’autorevolezza  necessaria a dare credibilità al programma.

3. Deve condividere questo programma con una squadra compatta che accetti l’idea della persona giusta al posto giusto. Per ogni ruolo ci vogliono dei requisiti. L’equilibrio tra le capacità ed i voti è un grande compito che deve saper gestire.

4.  Deve gestire il quotidiano senza mai perdere di vista gli obiettivi perché troppo spesso l’urgente distrugge l’importante. Coordinare e stimolare i vari assessori come un buon allenatore i suoi giocatori.

5. Deve avere la capacità di controllo per capire se si stanno raggiungendo gli obiettivi o se bisogna cambiare qualcosa. Un controllo della spesa sufficiente a garantire le risorse dove servono eliminando gli sprechi.

6. Deve, infine rappresentare l’orgoglio della sua terra in tutte le occasioni ufficiali e non con proprietà di linguaggio e, soprattutto con autorevolezza e concretezza del discorso.
Naturalmente non li ho inventati, e qualcuno potrà riconoscerne la provenienza, ma solo riformulati allo scopo. 

Se diamo un punteggio da 0 a 10 per ogni punto, si che il massimo sia 60,  la sufficienza sarà 36. Conviene stabilire anche che non deve esserci insufficienza netta ( meno di 4) su nessun punto.
Stabiliti questi requisiti, i convenuti , che erano  gli attuali politici Carinolesi hanno cominciato a darsi i voti.

Purtroppo non  sono arrivato a sognare il risultato.
Voi che voti gli dareste?



sabato 2 ottobre 2010

Le beffe della vita

Non aveva voglia di andare a dormire quella notte. Sentiva di poter correre per il mondo con la forza di un leone, di non aver più bisogno di dormire, o di mangiare. Camminare, parlare, ridere, piangere, volare lontano verso l’imperscrutabile profondità del destino fino a che non faccesse giorno. Sognava di vivere per sempre, ma come se quello fosse l’ultimo giorno. Si, in quel momento, Roberto era assolutamente consapevole di quanto fosse sacra la vita. A quanti di voi non è successo di sentire questa stessa sensazione? Magari quando avete per caso fatto un bell’incontro con una persona, oppure quando dinanzi ad un buon raccolto vi siete sorpresi a sorridere, o ancora restando impalati di fronte al  silenzio degli alberi. Oppure quando avete amato, stretti in un letto malsicuro e delizioso,  morendo tra le braccia calde dell’amante.
Ora però strada facendo, ripensava alla sera prima, alla baruffa scoppiata nemmeno ad inizio serata con quel solito coglione, alla barba fatta per scommessa al piccolo Luciano, ai quartaroni vinti a tre sette. Si era divertito assai, ma quando poteva continuare questa vita? Intanto le gambe sembra che non conoscessero altre strade se non quella della goliardaggine pura. Roberto ora era arrivato ad una piazzetta a quasi mezzo miglio dal centro della città, dove la notte si perdeva dentro quelle fumose locande che ben conosceva, zeppe di mignotte, cariche di vino. Lì dentro non si parlava di politica, non si litigava che per cose da niente, e poi si ritornava a bere insieme. Ma ora era arrivato. La porta era chiusa, ma da dentro veniva il solito baccano. Che fosse una burla? Perchè continuava a bussare e non si decidevano ad aprirgli? Si abbassò e si mise a guardare dal buco della chiave. Fece il suo ingresso dal cesso con i piedi ben piantati a terra, uno strano personaggio, che disse qualcosa alla formosa locandiera, la quale ammiccò a sua volta. La sala era uno spettacolo. Ora il vecchio Mario, ubriaco da vent’anni lì dentro, pare stesse guardando proprio verso la porta, dove l’occhio di Roberto mirava rapito la visione dell’allegra  festa in corso. Ma Mario era troppo ubriaco per parlare. Non era uno scherzo, erano tutti ubriachi e si erano chiusi dentro, per festeggiare fino a morire la festa di San Crisostomo. Che cosa poteva fare? Continuò a bussare forte, fino a quando qualcuno aprì la porta. La musica si fermò, tutti uscirono fuori, e quando lo riconobbero scoppiarono dal ridere vedendolo sobrio e ad uno ad uno cominciarono a pisciargli addosso. Anche le donne gli pisciavano addosso. Gli pisciavano dappertutto, anche in bocca e credette di berne molta, fino a quando stava per affogare e glup-glu glu –glup-gll gllu. Si svegliò e si pisciò addosso. Era un brutto sogno, cominciato bene.
Non c’è nessuna morale in questa storia, se non quella che non c’è nessuna differenza tra credere di vivere o credere di sognare. Infatti, come si è visto, la pisciata alla fine è meravigliosamente apparsa tra le lenzuola. In quel momento Roberto ha capito quanto la vita fosse una beffa.
Mimì

martedì 28 settembre 2010

XI festa della vendemmia

Dopo l'anno sabbatico a Casale di Carinola è tornata la festa della vendemmia. L'anno sabbatico fu voluto dal comitato organizzatore ufficialmente per prendere un anno di meditazione, ufficiosamente per dissidi sorti tra i membri del comitato. 
Ci furono tante critiche e polemiche ma tutte tese a migliorare sempre più la manifestazione - Dimostrazione che, quando le critiche sono costruttive, sono accettate e sono anche utili. L'anno di riposo è servito per far tornare una festa rinnovata ma sempre nel solco del primo impianto. Il filo conduttore della festa è stato  sempre quello della partecipazione popolare, come voluto da chi la ideò dodici anni fa. In questa edizione sono stati eliminati gli interventi tecnici per rendere la festa ancora più vicina al popolo. Alcuni non hanno gradito questa variazione sostenendo che la scienza ufficiale si deve sempre ascoltare anche in enologia. Come per l'olio anche per il vino ascoltare i professionisti è sempre utile e si può sempre mettere in pratica qualche loro prezioso consiglio. In effetti si nota in giro una accresciuta cultura enologica grazie ai vari convegni ed anche ad internet che molti aspiranti cantinieri consultano con frequenza ed attenzione. Conseguenza logica, il notevole aumento di ottimi prodotti enologici che vengono anche commerciati con discreto successo di quantità e prezzo.
Anche la viticultura che era stata abbandonata per la frutticoltura ha avuto un rilancio notevole con l'impianto di nuovi vigneti sia per uso familiare che a scopo commerciale. Sono state realizzate parecchie cantine ed altre sono in progettazione, anche se si sente la mancanza di una cantina sociale. Una cantina sociale è vitale per sostenere l'attività enologica di un territorio in quanto serve a propagandare il prodotto in aree più vaste d'Italia ed anche oltre confine. Sono discorsi fatti e rifatti da tanti, ma la parola cooperazione a Carinola come in tutto il sud resta tabù. 

Tornando alla nostra festa, si è notato un afflusso enorme di visitatori che a qualcuno sono sembrati meno dell'ultima edizione. Si è avuta questa impressione per due motivi, perchè sono arrivati gradualmente e perchè forse se ne aspettavano molti di più. Si è capito dai tanti cartoni di bicchieri restati invenduti che gli arrivi erano stati previsti con cifre con qualche zero in più. A parte qualche piccola e normalissima pecca l'organizzazione ha funzionato in modo militare come ordine ed efficienza sia nella somministrazione del vino che delle pietanze senza dimenticare i quintali di caldarroste preparate da veri professionisti del settore. Non si può non dedicare un pensiero particolare alle signore di Casale che hanno preparato ogni ben di Dio fondendo insieme impegno, bravura ed esperienza. Tanti primi piatti introvabili nei ristoranti e se anche fosse certamente non della stessa squisitezza.Tante verdure cotte nei modi più impensati ma tutte alla fine di un gusto sopraffino da sembrare secondi piatti. Non si può dimenticare i formaggi di ogni tipo e stagionatura con le immancabili mozzarelle che sembravano occhietti furbetti che ti guardavano nascoste sul tavolo. Un pensiero particolare ai dolci, tanti dolci, buonissimi dolci. Non li si può descrivere tutti perchè ormai la globalizzazione è arrivate anche nell'arte culinaria ed in particolare nella pasticceria. Elencarli tutti è impossibile ma su tutti troneggiavano le crostate con la  marmellata di ciliegie locali ed i "guanti" insieme ai panettoni che sembravano volessero scoppiare da un momento all'altro tanto erano ben lievitati. 
Chi legge non abbia l'impressione che quanto scritto sia l'elenco di tutto quanto offerto ai visitatori o parte perchè per descrivere tutto ci vorrebbero parecchie pagine. Ma su tutto quello che ha colpito di più come sempre, è la generosità delle signore di Casale con il loro insistente "prendi questo, prendi quest'altro" sommergendoti sotto un piatto di leccornie che a stento riesci a reggere in mano. Bellissima serata anche se rovinata sul tardi della pioggia. Bellissima per lo stomaco  perchè non è facile consumare tante leccornie tutte insieme e quasi gratis e per lo spirito di trovarsi in mezzo a contatto con delle persone che sprizzano dai loro sorrisi tanti buoni sentimenti. Di questi tempi non ditemi che è poco.  

Zufolo

lunedì 27 settembre 2010

Le 10 strategie della manipolazione mediatica

Il linguista Noam Chomsky ha elaborato la lista delle “10 Strategie della Manipolazione” attraverso i mass media.

1 - La strategia della distrazione. L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche utilizzando la tecnica del diluvio o dell’inondazione di distrazioni continue e di informazioni insignificanti.
La strategia della distrazione è anche indispensabile per evitare l’interesse del pubblico verso le conoscenze essenziali nel campo della scienza, dell’economia, della psicologia, della neurobiologia e della cibernetica. “Sviare l’attenzione del pubblico dai veri problemi sociali, tenerla imprigionata da temi senza vera importanza. Tenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza dargli tempo per pensare, sempre di ritorno verso la fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).

2 - Creare il problema e poi offrire la soluzione. Questo metodo è anche chiamato “problema - reazione - soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” che produrrà una determinata reazione nel pubblico in modo che sia questa la ragione delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, oppure organizzare attentati sanguinosi per fare in modo che sia il pubblico a pretendere le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito delle libertà. Oppure: creare una crisi economica per far accettare come male necessario la diminuzione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.

3 - La strategia della gradualità. Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, col contagocce, per un po’ di anni consecutivi. Questo è il modo in cui condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte negli anni ‘80 e ‘90: uno Stato al minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione di massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.

4 - La strategia del differire. Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria” guadagnando in quel momento il consenso della gente per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro di quello immediato. Per prima cosa, perché lo sforzo non deve essere fatto immediatamente. Secondo, perché la gente, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. In questo modo si dà più tempo alla gente di abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo con rassegnazione quando arriverà il momento.

5 - Rivolgersi alla gente come a dei bambini. La maggior parte della pubblicità diretta al grande pubblico usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, spesso con voce flebile, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente. Quanto più si cerca di ingannare lo spettatore, tanto più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se questa avesse 12 anni o meno, allora, a causa della suggestionabilità, questa probabilmente tenderà ad una risposta o ad una reazione priva di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).

6 - Usare l’aspetto emozionale molto più della riflessione. Sfruttare l'emotività è una tecnica classica per provocare un corto circuito dell'analisi razionale e, infine, del senso critico dell'individuo. Inoltre, l'uso del tono emotivo permette di aprire la porta verso l’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o per indurre comportamenti….

7 - Mantenere la gente nell’ignoranza e nella mediocrità. Far si che la gente sia incapace di comprendere le tecniche ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza creata dall’ignoranza tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare da parte delle inferiori" (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).

8 - Stimolare il pubblico ad essere favorevole alla mediocrità. Spingere il pubblico a ritenere che sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti...

9 - Rafforzare il senso di colpa. Far credere all’individuo di essere esclusivamente lui il responsabile della proprie disgrazie a causa di insufficiente intelligenza, capacità o sforzo. In tal modo, anziché ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e si sente in colpa, cosa che crea a sua volta uno stato di depressione di cui uno degli effetti è l’inibizione ad agire. E senza azione non c’è rivoluzione!

10 - Conoscere la gente meglio di quanto essa si conosca. Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno creato un crescente divario tra le conoscenze della gente e quelle di cui dispongono e che utilizzano le élites dominanti. Grazie alla biologia, alla neurobiologia e alla psicologia applicata, il “sistema” ha potuto fruire di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia fisicamente che psichicamente. Il sistema è riuscito a conoscere l’individuo comune molto meglio di quanto egli conosca sé stesso. Ciò comporta che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un più ampio controllo ed un maggior potere sulla gente, ben maggiore di quello che la gente esercita su sé stessa.

Noam Chomsky

venerdì 24 settembre 2010

Il Savone: un padre molto trascurato

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Come più volte ho ribadito nei miei articoli, la conoscenza del territorio aiuta a rispettarlo, proteggerlo, valorizzarlo ed amarlo.
In questo particolare pezzo, desidero occuparmi brevemente del Savone, il piccolo  corso d’acqua che attraversa il carinolese e che nell’antichità ricopriva un ruolo fondamentale. Altri avvenimenti storici saranno solo accennati. I pignoli del ramo che pensano di leggere un trattato storico completo resteranno delusi, tuttavia sarà ben accetto chiunque voglia offrire i propri contributi conoscitivi per la gioia dei lettori.

 *****
La parola “Falerno”, che nell’antichità denominava il nostro territorio, diventato famoso per quell’ottimo vino esportato in tutto il mondo classico, potrebbe essere di origine italica o etrusca. Deriva probabilmente da Faler, il nome dato dagli antichi a quel placido e piccolo fiume che i Romani chiamarono poi Savone (Safo)) e che nasce dal vulcano di Roccamonfina, attraversava il distretto di Teano e di Cales, il carinolese in tutta la sua lunghezza, da est a ovest, per finire,  dopo circa 48 km, a sud di Mondragone.
Falerno si chiamò il territorio, Falerno il principale prodotto, il vino, e Falerina o Falerna la tribù di coloni istituita  nel 318 a.C.
Prima che i romani mettessero piede nel nostro territorio, il fertilissimo ager Falernus apparteneva probabilmente all’ etrusca Capua, prospera città, capoluogo dei Campani.
Ma il nostro territorio faceva gola soprattutto ai Sanniti che si sentivano più in diritto di averlo, visto che da sempre abitavano nell’area e per nulla al mondo avrebbero voluto lasciarlo ai romani.  Per loro i romani erano degli intrusi arrivati all’improvviso e per contendersi la supremazia del basso Lazio e della Campania settentrionale, romani e sanniti se le diedero di santa ragione in una delle ben note guerre sannitiche, la prima,  ma solo dopo le battaglie  di Veseris prima e di Trifanum poi, in cui nel 340 a.C. l’esercito romano sconfisse le città della Pentapoli Aurunca e i loro alleati sanniti, Capua fu costretta a  cedere l’ager Falernus ai romani. I poveri sanniti, rotti e mazziati, dovettero mollare definitivamente l’osso e sparire dalla circolazione.
Da questa conquista, i romani ereditarono una florida situazione commerciale. Il Savone, ritenuto dalla maggior parte degli studiosi il confine meridionale dell’ager Falernus e linea di demarcazione tra questo e l’ager Statanus,  era un corso d’acqua navigabile particolarmente vitale, che niente aveva a che fare con la ridotta portata d’acqua di oggi;  una di quelle vie d’acqua che univa la costa alla via interna che collegava la Campania e il Lazio, quella che poi fu la futura via Latina dei romani, pressappoco l’ odierna Casilina.

Il collegamento con la via Latina significò ricchezza e benessere  anche per la zona costiera. Infatti, mentre gli altri distretti ausoni erano entità sociali chiuse su se stesse, i distretti toccati dalla via Latina erano diversi;  il contatto continuo con Capua, le città latine e i loro commerci li rendeva sicuramente più dinamici e vitali. La Cales preromana appariva, infatti, ricchissima proprio grazie a questa importante via interna su cui si svolgevano i commerci, nonostante la vicinanza del mare. Cales non era già più un villaggio, ma una protocittà, che si distaccava  notevolmente dalle consuete forme abitative  degli ausoni.
Alla foce del Savone sorse uno dei santuari italici più arcaici dell’area, Panetelle, a cui questa favorevole posizione giovò moltissimo e lo testimoniano le numerossime statuette votive in esso ritrovate. Il santuario era un probabile luogo di incontro della popolazione dei villaggi dell’area sinuessana.
  Sempre sul Savone, a pochi km da Cales e Teano, a Montanaro, esisteva un altro ricchissimo luogo di culto preromano, poi riutilizzato dai romani, in cui sono stati rinvenuti molti oggetti d’oro. Il tempio risale al VI – V secolo a.C e dai materiali ritrovati in esso si deduce che, oltre ad essere luogo di culto, era anche emporio commerciale frequentato da ausoni, etruschi, latini, greci, sanniti e romani. Più tardi, verso il III secolo a.C., i romani lo ristrutturarono completamente dedicandolo alla dea Demetra.
Probabilmente furono proprio queste vie d’acqua come il Savone  e il contato con l’interno che costituirono un primo approccio di commercializzazione,  tramite porti e scali marittimi, che più tardi si evolse notevolmente con l’istituzione delle colonie. 

Oggi il Savone non può chiamarsi più neanche fiume. E’ un fiumiciattolo  a cui è riservato il destino di tutti i   corsi d’acqua di questi tempi moderni: nasce sano e vitale e muore stanco e malato.
Usato nel recente passato per l’irrigazione dei campi, adesso non lo è neppure per quello.  Eppure non ha perso il suo fascino. Alle sorgenti è ancora bellissimo e offre angoli naturali di suggestiva bellezza con le sue cascatelle e il suo regime torrentizio. Man mano che però procede verso il mare si impregna di veleni, di scarichi di fogne, di canaletti di scolo, diventando esso stesso una fogna a cielo aperto.
Nelle sue acque e lungo le sue sponde si ritrova di tutto: immondizia, rottami, carcasse di animali e gli abitanti dei luoghi che attraversa lo evitano come la peste, non pensando che, se è diventato quella fogna che è, lo si deve solo a noi uomini che non riusciamo a difendere l’eredità del passato.
Invito tutti i sindaci interessati, tra cui quelli di Carinola, Falciano e Francolise, a unire le loro forze per un eventuale  risanamento del territorio che possa ridare dignità a questo corso d’acqua su cui è passata la nostra storia, adottando anche seri provvedimenti affinché non si continui a consumare un simile scempio.

- le foto dell'alto corso del Savone sono state gentilmente concesse dal sig. Oreste De Donato.
- la foto dell'antica Cales è del sig. Dante Caporali.

 Clio
con la consulenza di Minucius Aeterius