Le ricerche di questa particolare pagina vanno dalla fine del 1800 al 1924 e sono costate qualche anno di lavoro, ma non mi sarebbe stato possibile farle se non avessi avuto l’aiuto e la collaborazione di una mia carissima amica che, per tanto tempo, ha avuto la pazienza di cercare gli emigranti carinolesi negli archivi di Ellis Island. A lei va la mia riconoscenza ed il mio grazie.
Mi sono fermata a quota mille inserendo, per mio interesse personale, anche Sacco e Vanzetti, ma i carinolesi emigrati negli USA sono molti di più. Devo anche precisare che le registrazioni di fine ottocento sono molto approssimative e, pur ritenendo alcuni emigranti originari di Carinola, non ne ho però la certezza. Chi volesse contribuire ad ampliare questa pagina con informazioni e storie o richiedere una ricerca, può farlo attraverso questo sito o scrivendo in privato a: clio@ilquiquiri.com
*****
L’ emigrazione di fine ottocento e inizio novecento fu uno dei fenomeni sociali più vasti, più tristi e più angosciosi che l’Italia abbia mai conosciuto. Il neo Stato unificato, ancora in fase di assestamento, non fu in grado di garantire la sopravvivenza a tutti i cittadini, soprattutto ai contadini del sud che, privati persino degli usi civici da secoli loro fonte di sostentamento, piombarono in una povertà senza speranza. L’ intero sud si ritrovò in una condizione di arretratezza da cui non si è mai ripreso.
Non ci furono, da parte dello Stato, iniziative governative capaci di rivoluzionare ed equilibrare l’economia e così masse di contadini, condannate alla povertà, intrapresero volontariamente la via dell’emigrazione verso il Nord America o l’Argentina, inseguendo un sogno di benessere che sembrava l’unica l’alternativa alla miseria.
Se da un lato lo stesso governo vide favorevolmente il fenomeno perché allontanava il rischio di esplosioni sociali e contribuiva al riequilibrio dell’economia mediante le rimesse degli emigranti, dall’altro dovette rendersi conto che la continua emorragia della forza lavoro verso il nuovo mondo era una vera calamità per l’agricoltura perché lasciava le campagne deserte e prive di manodopera.
Infatti, dalle province del sud Italia, a lungo tartassate dalla malaria, dalla povertà e dall’analfabetismo, grandi masse di contadini si diressero verso il nuovo mondo in crescita e che offriva tante possibilità di lavoro. Cifre da capogiro: un milione di italiani nelle ultime due decadi del XIX secolo e più di tre milioni nelle prime due decadi del XX secolo.
Terreni e masserie furono lasciate deserte, senza più lavoranti, e interi villaggi senza gente.
L’ideale dell’emigrante era quello di guadagnare abbastanza dollari per poter tornare in patria, comprare una casa, un pezzo di terreno e vivere tranquilli per il resto della vita. Migliaia lo fecero, ma milioni di altri rimasero per sempre in America e il prezzo pagato non fu affatto piccolo, sia per chi partiva sia per chi rimaneva.
Famiglie intere furono per sempre spezzate e gli affetti divisi: affetti di madri, di padri, di fratelli e sorelle, di figli e soprattutto di mogli.
Si crearono in Italia eserciti di “vedove bianche” che non videro più tornare i loro mariti, padri dei loro figli, perché di loro si erano perse per sempre le tracce o avevano formato altre famiglie.
Altre “mogli”. Altri figli.
La separazione di per sé fu molto difficile e sofferta, drammatica conseguenza dell’emigrazione.
I contadini furono costretti a lasciare case e villaggi che non erano semplicemente dei luoghi, ma erano comunità in cui era racchiuso un intero modello di vita e di valori a cui erano ancorati. Lasciarono monti e campi familiari, i cimiteri in cui riposavano i loro cari, le chiese, la gente, gli animali, gli alberi che avevano da sempre conosciuto e che facevano parte dell’intimo contesto del loro essere, per ritrovarsi in un mondo completamente diverso, dove nulla era loro familiare e dove l’impatto culturale poteva essere drammatico.
Sradicati da tutto questo, impreparati al nuovo sistema di vita, si ritrovarono in un prolungato stato di crisi, per mesi, per anni, sospesi tra il vecchio e il nuovo, letteralmente in “bilico” tra un mondo e l’altro. Solo chi fu in grado di adattarsi alle nuove condizioni e alle nuove sfide fu capace di assorbire l’inevitabile shock della migrazione e crearsi, di conseguenza, una vita.
Il Comune di Carinola, con tutte le sue frazioni, non fu affatto estraneo al fenomeno dell’emigrazione. I carinolesi partirono insieme a decine, a centinaia, tentando la grande avventura.
C’era probabilmente sul territorio, qualcuno che aveva sostituito l’antica figura del ‘caporale’ con una specie di ‘agente di viaggio’ per far fronte alle nuove richieste commerciali e che procurava biglietti sulle navi in cambio di un piccolo utile personale. Grazie all’aiuto di queste persone, centinaia di carinolesi lasciarono Carinola, Casale. Casanova, Falciano, Nocelleto, S. Bartolomeo, S. Croce, S. Donato, S. Ruosi e Ventaroli per luoghi lontani, appoggiandosi ai compaesani che li avevano preceduti e che offrivano volentieri il loro aiuto.
Gli anni ‘clou’ furono il 1905 e 1906. In quegli anni navi intere, piene di carinolesi, trasportavano il loro carico di speranza verso l’altra parte del mondo. Solo nel 1906 partirono, durante lo stesso viaggio con la nave Indiana, più di 50 carinolesi. Tutti uomini.
Il nostro Comune conobbe il dramma della separazione, l’angoscia di vecchi padri e madri che non videro più i loro figli, di mogli che non videro più i loro mariti, di figli che non conobbero mai i loro padri.
Se da un lato l’America rappresentò la realizzazione di un sogno di benessere a lungo agognato, dall’altro essa rappresentò l’allontanamento definitivo dai propri cari e dalle proprie radici.
Qualche carinolese non resistette a questo violento sradicamento dalle rassicuranti abitudini secolari a cui era abituato e nel nuovo mondo ci lasciò ben presto la vita.
Ma questa è un’altra pagina.
Clio
Fonte: Archivi di Stato di Caserta e Napoli; Ellis Island Passenger Records
grazie Clio che ci racconti la nostra storia
RispondiEliminaEra da tanto che non ti facevi sentire mia cara CLIO!
RispondiEliminaTi faccio i miei Complimenti perchè tra tutti quei nomi ci sono 5 dei miei antenati!!
Complimenti continua così!!
Unisco il mio al ringraziamento degli altri "posteggiatori". Chiunque, scorrendo questo elenco, ritrova qualche suo antenato di cui ha solamente sentito parlare dagli genitori o dai nonni che giocoforza hanno subito la separazione dei propri cari con la speranza ultima di poterli riabbracciare con il proprio carico di affetto e di denaro. Qualcuno di questi "esuli", in nome della famiglia tornò ancor più povero di come era speranzosamente partito e trovò la famiglia con meno proprietà di come l'aveva lasciata, ma tant'è! solo un appunto si può rimuovere al post ma è poca cosa; mancano i luoghi di destinazione degli emigrati ma questo non è sicuramente un torto della munifica Clio, i registri dell'epoca in cui i fatti si sono avverati non potevano essere fedeli come quelli dei giorni nostri. grazie ancora Clio e ala prossima.
RispondiEliminaG
Questo bellissimo post mi ha veramente toccato il cuore. Il mio bisnonno parti nel 1906, l'ho ritrovato nell'elenco, lasciando la moglie e due figli piccoli.Voleva semplicemente fare un po' di soldi per comprarsi un pezzo di terra e sistemare la casa e invece non è più tornato. Per anni la famiglia non ha saputo più nulla di lui, credendolo morto. La mia bisnonna, lasciata sola, ha dovuto crescere i suoi due figli lavorando nei campi da mattina a sera, come si faceva una volta. Poi, dopo tantissimi anni, tramite un paesano, si è rifatto vivo. Si era creato una nuova famiglia ed aveva avuto altri due figli.
RispondiEliminaMio nonno ha anche conosciuto uno dei suoi due fratellastri. Incontrandolo, quel sentimento di rancore che provava per suo padre e per questi suoi figli è scomparso all'improvviso quando ha visto che il suo fratellastro era identico a lui!
L'emigrazione è stato un vero dramma per tante famiglie di Carinola. Ti ringrazio Clio per questi tuoi studi che ci fanno sempre ricordare chi siamo e da dove veniamo.
semplicemente denso di emozioni questo post.grazie ancora clio per i sogni che di tanto in tanto ci rendi partecipi. salute e libertà a tutti gl amici del quiquiri.rocco
RispondiEliminaNon ho parole!
RispondiEliminaun commovente salto nel passato, grazie.
RispondiEliminaAll'amico che mi scritto in privato.
RispondiEliminaDi RICCIARDONE Luigi ce n'è uno solo (o meglio due ma è la stessa persona) partito nel 1892 a 32 anni con la nave Britannia. Non so se è il tuo parente, ma fa parte di quelle schiere di emigranti partiti a fine ottocento quando le registrazioni erano molto approssimative. Infatti la provenienza è scritta semplicemente Italy e non figura il Comune. Inoltre la registrazione ufficiale non combacia con la pagina del diario di bordo della nave. Saluti
Alla persona che mi ha scritto in privato.
RispondiEliminaDi SANTORO ce ne sono più di quattromila. Se non mi dai un nome non riuscirò mai a trovarlo o ci metterò un mese. Grazie
Grazie CLIO, per il bel lavoro fatto, perche non si crea un documentario da poter visionare alla biblioteca comunale di carinola? sara un ottima cosa. Un consiglio Angelo Gentile
RispondiEliminaquesto bellissimo post (come anche gli altri)ci deve anche e soprattutto far riflettere sulla politica che il Governo Centrale (che a me piace definire: un 'insieme di Italiani...)ha attuato nel Sud dell'Italia a partire, appunto dall'Unificazione fino a nostri giorni.
RispondiEliminaRiprendo un passaggio del post che per me è significativo dal punto di vista politico.
E' questo:
...soprattutto ai contadini del sud che, privati persino degli usi civici da secoli loro fonte di sostentamento, piombarono in una povertà senza speranza...
In effetti ci fu una forzata e spesso illegittima privatizzazione da parte del Governo, dei terreni che intere comunità locali avevano con cura utilizzato poichè fonte economica di sostentamento per tutti i membri.
Oggi non si va più in America, ma purtroppo esiste ancora quella "nazionale".
Dover lavorare a Milano, Novara, Modena etc etc etc etc etc etc etc etc è come lavorare all' estero.
Non poter vedere per mesi le persone a cui vuoi bene, le montagne che ti hanno visto crescere, non poter sentire i profumi che ti hanno accompagnato durante buona parte della tua vita, non è una tragedia, ma lo accetti con molta rassegnazione. Ti intristisce. E' come aver perso l'orientamento.
Personalmente ho sempre lottato e lotterò affinchè il Sud non venga penalizzato sulle scelte di Governo ( ..scusate.. qualsiasi Governo )ed affinchè ogni membro delle nostre comunità possa avere la facoltà di scegliere se "andare o restare"
E tu Clio cosa hai scelto?
ciao, Twingo
x18,55
RispondiEliminaChiaramente, restare!
non ne avevo dubbi, ciao
RispondiEliminatwingo
Scrivo da Nocelleto e devo dire che questo è uno degli articoli storici più belli che io ho letto su questo blog. Mi ha toccato particolarmente perchè sono un figlio dell'emigrazione più recente. So cosa significa sentirsi abbandonati, so cosa significa crescere senza l'affetto e la presenza di un padre. Se questa esperienza mi ha reso più forte mi ha anche reso più comprensivo verso i nuovi emigrati del nostro paese. Noi siamo stati come loro sono oggi per noi.
RispondiEliminaHo letto i commenti al post della mia amica Clio e il constatare l'interesse che i miei concittadini le hanno tributato, mi ha fatto molto piacere.
RispondiEliminaVorrei quindi aggiungere anche un mio commento, ma prima vorrei spiegare da dove è nata l'idea di questa ricerca.
Tutto ebbe inizio alcuni anni fa quando, durante i nostri incontri quotidiani e quasi per gioco, abbiamo iniziato a chiederci la provenienza dei nostri cognomi. Fatte alcune ricerche, ci siamo rese conto che, nel carinolese, alcuni di essi non esistevano più o sembravano stranamente scomparsi. Questo ci ha portato a volere approfondire il problema e abbiamo creduto di individuarne la principale ragione nel fenomeno migratorio, che portò tanti nostri concittadini in altri Paesi.
E’ così iniziata la nostra “avventura”.
Le ore passate negli archivi di Ellis Island scorrevano veloci... e intensa era la mia emozione quando, tra tanti emigranti, m’imbattevo in un cognome conosciuto, confermato anche dalla provenienza: Carinola, Casanova. Casale, Nocelleto.
Più mi addentravo nei registri, più aumentava il desiderio di volerli trovare tutti e di fissare la loro presenza ancora tra noi, ma gli emigranti erano tantissimi e ci siamo volute fermare a quota mille.
In un commento ho letto che sarebbe interessante se questa ricerca fosse approfondita e che il lavoro finale fosse posto in Comune per una libera consultazione da parte degli interessati. Ottima idea, ma per fare questo sarebbe necessario l’apporto di notizie da parte di chi n’è in possesso. Sarebbe bello riuscire a ricostruire la storia delle tante famiglie o singoli che, molti anni fa, decisero di tentare la fortuna in terra straniera. Che ne pensate?
E ora il mio commento
Il conoscere il passato è parte integrante della nostra cultura e, come tale, non deve essere dimenticato. Le ansie, preoccupazioni, paure e speranze che hanno accompagnato i nostri concittadini durante quel lungo, doloroso viaggio, devono rimanere incise nei nostri cuori come ricordo, ma anche per farci riflettere.
Una domanda mi è sorta spontanea. Stiamo assistendo ad un’ondata di nuovi emigranti, ma non più d’italiani verso le Americhe, ma di cittadini d’altri Paesi che, spinti da diverse necessità (povertà, ragioni politiche, desiderio di migliorare la propria esistenza) si riversano da noi e in altri Stati europei alla ricerca di ciò che dovrebbe essere fruibile da tutti: poter vivere in pace e garantire un tenore di vita “umano” alle loro famiglie.
Ma noi, figli e nipoti di persone che già hanno provato la sofferenza dell’abbandono, riusciamo a cogliere negli occhi di questi nuovi emigranti la stessa sofferenza? Oppure riusciamo soltanto a provare quel senso di fastidio e diffidenza che accompagna l’incontro con il “nuovo”?
Non nego che tra loro ci siano persone che arrivano tra noi con il desiderio di soldi facili, ma molti, i più, arrivano con lo stesso animo che accompagnava i nostri concittadini e altri milioni d’italiani costretti ad abbandonare le loro famiglie, spinti soltanto dalla speranza di un avvenire più sereno.
Vorrei con questo mio commento, condivisibile oppure no, far riflettere coloro che, dimenticando le sofferenze che hanno accompagnato i nostri cari, tengono nei confronti di queste persone atteggiamenti poco corretti se non discriminatori.
Sarebbe auspicabile che ci si ponga in un atteggiamento di apertura e accoglienza.