Lungo la Marina, al semaforo rosso, giri lo sguardo su un’aiuola spartitraffico: buste di plastica, stracci. Si muove una massa informe. Un plaid copre un barbone: tre, quattro topi gli camminano addosso. Sgrani gli occhi. «Li vede anche lei?». Si, il tassista li vede. I topi ora sono diventati otto. «Che volete fare? C e ne sono tanti». La Repubblica, martedì 7 nov. 06, pag. 60.
«…Dieci minuti di violenza prima dell’intervento della polizia…le donne presenti in aula…si lanciano insulti, urla, botte, sputi. Si colpiscono a sberle e a calci. Oltraggiano anche la Corte e la polizia penitenziaria. Il peggio si raggiunge quando una di loro trascina l’altra rivale a terra afferrandola per i capelli, fino a inciderle il cuoio capelluto. È mezzogiorno: nell’aula della sesta Corte di Appello di Napoli restano ciocche di capelli e qualche goccia di sangue. Scene da horror dentro il palazzo di giustizia. E ci vogliono dieci minuti di violenza perché accorrano polizia e carabinieri a far scattare le manette.» la Repubblica, mercoledì 8 nov. 2006, pag. 30.
Chi altri, se non Giorgio Bocca, ha avuto il coraggio di dire:
“Guardate che Napoli è una città sprofondata nell’Inferno!”
Dispiace constatare che uno dei pochi (forse l’unico) a dire qualcosa di sensato e di veritiero sul collasso della grande Baldracca, sia stato un disgustoso avanzo della Resistenza, un falsario tumultuante livore e malafede che, nel tempo delle scelte fatali, terrorizzato dall’idea di un arruolamento coatto nelle truppe di Salò, si catapultò col fuoco alle chiappe tra le cime dei monti del cuneese per imboscarsi tra la soldataglia partigiana, là lottando eroicamente contro repubblichini e tedeschi svuotando pollai e dispense di ignari bifolchi piemontesi.
La carogna di una città in avanzato stato di colliquazione necrotica si offre impudicamente allo sguardo di tutti, eppure tutto un caravanserraglio di rètori dall’approssimativa grammatica si ingegna, con sommo sprezzo del ridicolo, a tentar di rianimare un cadavere. Tra di essi, impagabili risultano i patetici amanti di Partenope: tragicomici come tutti i citrulli in balia di una puttana di cui sono perdutamente innamorati, costoro, sia da svegli che da dormienti finiscono con l’aver davanti agli occhi solo e sempre le fattezze idealizzate della mignotta per cui hanno perduto la testa. Vedono i loro desideri, e non la realtà, questi coglioni calzati e vestiti.
Poi vi sono i rètori peggiori: le iene, gli sciacalli, mai sazi delle putride carni di questa città in rovina. I mercanti di aria fritta: mestieranti della politica, sindacalisti venduti tipo il bestio (targato CGIL-FIOMM) che ho sentito con le mie orecchie (Giuro!!) ragliare in un microfono offertogli da una giornalista-scribacchina della sede napoletana di RAI 3:
«Bisogna dare una risposta ai pobblemi dell’accupazione! »,
e attorucoli, e cineasti falliti in odor di pedofilia assistiti da finanziamenti pubblici, e improbabili “intellettuali” da tre palle un soldo inaciditi dalla pederastia.
Quante volte, in questi giorni amari della grande emergenza, avete udito questa rivoltante feccia umana ruttar la solita solfa:
«Bisogna investire sui “ggiovani”, sull’educazione e l’istruzione delle nuove generazioni!»
Già, i giovani.
Tipo i ragazzi che, spavaldamente, dicono ai giornalisti: “Siamo camorristi nella capa” (la Repubblica, venerdì 3 novembre 06, pag. 1.)
Tipo le due studentesse dell’istituto magistrale presenti nella piazza gremita di gente per i funerali dell’edicolante napoletano Salvatore Buglione, trucidato nel corso di una rapina, che non appena s’accorgono con la coda dell’occhio che la telecamera puntata verso di loro non è di una grande rete nazionale, ma di una scalcagnata emittente locale, all’unisono si sciolgono dall’abbraccio sibilando un: «ma va’ fanculo» (non si sa rivolto a chi), e con stizza s’asciugano le lacrime che s’apprestavano ad esibire generosamente ai telespettatori di Ballarò o di Santoro, o di un grande TG nazionale (almeno Rai Tre, che cazzo!) venuto a riprendere “la corale commozione di una città colpita ancora una volta dalla violenza criminale, che si è raccolta con tutte le sue istituzioni intorno ai familiari della vittima…”, e blà-blà e piripì-piripò. Già, lo sfortunato giornalaio accoltellato a morte durante un tentativo di rapina dal famigerato Pippotto, scarcerato grazie all'indulto di Mastella. Mastella, lo scalzacani sannita sopravvissuto al naufragio della paranza malavitosa conosciuta come “Democrazia Cristiana”. Mastella, Mister “Che mi dai a me? Guarda che passo dall’altra parte e ti faccio cadere!”, il grande puparo dei mariuoli della politica e delle clientele, che tiene sotto ricatto la quasi totalità delle assemblee elettive dello Stivale.
Mastella. Essere conterranei con questo bandito della politica italiana, basta e avanza per vergognarsi d’essere meridionali. Di questa vergogna nazionale, Prodi ne ha fatto un ministro della Repubblica.
Se avesse beneficiato dell’indulto, Previti di certo non avrebbe accoltellato un edicolante.
Ve le ricordate, le baldracche rifondarole e le mignotte dell’Ulivo use ad intingere la lingua in inchiostri velenosi per redigere articoli grondanti malafede dalle pagine della grande stampa laica? Par di vederle tuttora, una mano poggiata al muro per sorreggersi e l’altra sulla pallida fronte imperlata di sudor freddo, e i mancamenti, e gli “Oddio sto male!”.
“Oddio-Oddio! Pare che vogliano dar l’indulto a Previti, a Previti!! Ma che siamo diventati tutti matti? L’indulto solo agli assassini e agli stupratori dei bambini. Previti significa Berlusconi. Il Male assoluto. Quale indulto? Scorticato vivo, deve essere! Viva Prodi.”
Queste cesse radical-progressiste custodiscono inconfessato, e amorevolmente covato negli anfratti di un cuore che batte per maligne passioni, un desiderio struggente: “Libertà per Erika e Omar”. Eroi insuperati della ribellione contro l’istituzione “clerico-fascista” della famiglia, queste due schegge dell’Inferno, un domani finiranno di certo in Parlamento, al posto di Luxuria, il marchettaro da marciapiede adottato all’unanimità dal troiaio dell’Ulivo come vezzoso reginetto del bon-ton, o di quell’Orco Uruk-kai di Caruso. Vedrete.
Nel bazzicar dalle parti di Napoli, questi disturbi psichiatrici in abiti femminili non manchino di prudenza. Stiano attente, codeste apologete dell’indulto ad oltranza, a sigillar le loro discutibili grazie in mutande di ferro: ad ogni angolo di decumano c’è un Pippotto di Piscinola, sempre arrapato e pronto a stuprarle.