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domenica 25 settembre 2011

In nome del popolo sovrano?

Negli ultimi tempi, una frase risuona sulla bocca dei leghisti e dei pidiellini, sempre più stonata, devo dire: “lo vuole il popolo”. Cosa vuole il popolo? La secessione? La separazione? Berlusconi? Quale popolo vuole tutto questo? mi chiedo. E cos’è il popolo per queste persone?

Sulla bocca dei politici questa parola è diventata astratta, inconsistente e serve solo a giustificare il loro tenace attaccamento alle poltrone per meri fini economici o le loro mascalzonate in nome di un popolo immateriale, incorporeo.

E invece il popolo esiste; e la maggior parte di esso non ha niente a che fare con quelli che si riempiono la bocca di questa parola. E’ quello che in realtà tira il carretto dell’economia italiana, quello che paga per le decisioni che altri prendono sulla sua pelle, quello che si fa un culo così per permettere a chi sta al governo di ingrassare a sue spese.

Mentre parte di popolo si dispera perché perde il lavoro e magari anche la casa, i signori della politica italiana non rinunciano ai loro scandalosi stipendi mensili né a nessuno dei loro immorali privilegi. Mentre i comuni lavoratori sono costretti a lavorare quarant’anni per avere uno straccio di pensione, ai signori della politica italiana basta una sola legislatura di cinque anni, una sola, per maturare una pensione da favola. Mentre un povero disgraziato che ha sbagliato viene messo per anni in galera, un delinquente politicante trova sempre il modo per aggirare la giustizia e uscirne come la povera vittima di un sistema troppo politicizzato.

Ma il popolo è anche quell’organismo fluido e molliccio che si lascia scomporre e ricomporre a piacimento dai troppo furbi; quell’organismo muto e svogliato che tutto sopporta, tutto digerisce, tutto metabolizza.

Fino a quando?... Sempre troppo a lungo.

Finché il popolo sarà così passivo e indolente verso tutto ciò che lo riguarda, ci sarà sempre un Berlusconi che cercherà di metterglielo in quel posto.

N. R.

mercoledì 21 settembre 2011

Una colletta per il Comune di Carinola

La musica è sempre la stessa, da anni “non ci sono soldi” nemmeno per le emergenze. C’è da aggiustare una strada? Non ci stanno soldi! C’è da pagare il contratto con l’Esogest? Non ci stanno soldi! Per fare una piccola festa? Non ci stanno soldi! Ed è sempre colpa dell’amministrazione precedente che ha sperperato tutto. Be’, qualcuno li sperpera i nostri soldi perché a pagare noi piaghiamo fior di quattrini, sia per l’acqua che per la monnezza e anche per l’ICI. E allora qualcuno ci sa dire che fine fanno i nostri soldi che non bastano mai, neanche a coprire un buco che si apre in una strada?
Visto che il nostro Comune è perennemente in deficit propongo una bella gara di generosità ai cittadini carinolesi: una colletta per asciugare le lacrime di questo disastrato Comune che piange sempre miseria. O forse è il solito vecchio modo di piangere i morti per fottere i vivi?... Si, è proprio quello!
Ormai non ci si può aspettare più niente di meglio dalle amministrazioni carinolesi se non quello di spararsi, magari con una gassosa. E farebbero più bella figura.
Non se ne può più di intrallazzatori, nullafacenti, bugiardi e maneggioni che continuano ad ingannare i cittadini, evitando di fare il proprio dovere: quello di amministrare PER i cittadini. Ma questa concezione esula dai nostri miseri amministratori. Che vadano a farsi benedire. Tutti!
Ci amministriamo da soli e faremo sicuramente meglio.

Nonsenepuopiù

sabato 17 settembre 2011

Debàcle tra ex innamorati

Carinola - Raccolta rifiuti, precipitano improvvisamente i rapporti fra Esogest Ambiente e amministrazione comunale: dopo uno scambio di note e di contestazioni nelle ultime settimane, ieri arriva una brutta lettera della società appaltatrice del servizio ecologico, che complica ulteriormente la situazione. Si parla di non ritirare più la frazione organica da lunedì 21 settembre, quindi si minacciano difficoltà di garantire la raccolta differenziata ed addirittura di interrompere il contratto per il trenta settembre prossimo. Dopo di che, il colpo finale, di prendere in considerazione la possibilità di licenziare i dipendenti provenienti dal cantiere di Carinola. Insomma, le persone assunte negli ultimi tre anni, residenti nel Comune. Né più né meno che una sorta di avvisaglia, giustificata col fatto che la società rivendica somme deficitarie relative agli anni scorsi. “C’è tutta una situazione in fermento –spiega il sindaco Luigi de Risi- per il momento non possiamo fare gran chè, tuttavia – suggerisce subito dopo- quello che posso dire ai cittadini è di insistere con la raccolta, ed evitare di abbandonare i rifiuti, soprattutto la frazione organica, nel caso in cui non venisse ritirata”. Ma la situazione è tutta in discesa, nonostante la percentuale di raccolta differenziata si aggiri intorno al 50%, con questi fatti, serve un colpo di coda. In parte la questione si può leggere fra i numeri. Secondo la Esogest il debito nei confronti dell’Ente ammonterebbe alla somma di un milione e duecentomila euro, stando ai calcoli di questa amministrazione invece non supererebbero i settecentomila euro. Difatti nella lettera protocollata giovedì mattina, si legge come la mancanza di un piano di rientro economico, faccia pensare alla società che il Comune non abbia intenzione di regolare i conti, da qui le difficoltà a pagare i lavoratori del cantiere. Il Comune invece nelle ultime contestazioni invita la società a rispettare tutti i punti del contratto, come ad esempio l’avviso il giorno prima dei luoghi dove avverrà lo spazzamento delle strade, in modo da poter verificare attraverso controlli. Tuttavia al centro della querelle non c’è solo una sfida a colpi di euro, poichè la questione si complica sulla possibilità pressoché imminente di provincializzare i servizi relativi ai rifiuti: dal primo gennaio 2012 potrebbe subentrare un maxi consorzio che pensa di gestire il ciclo dei rifiuti in tutti i comuni del casertano. La Gisec(Gestione Impianti e Servizi Ecologici Casertani). Il sindaco De Risi, ha fatto sapere ieri che, insieme ad altri sindaci che hanno appaltato il ciclo a delle società private, ha altri progetti. Nella prossima settimana è stato indetto un incontro in Provincia per incontrare il Presidente Zinzi in merito alla faccenda. “ Quello che chiediamo è rivedere delle norme, ed affacciare la possibilità di ridare il servizio di raccolta ai Comuni”. Insomma, di entrare in un nuovo consorzio, non ne vuol sapere. In effetti, potrebbe essere un passo indietro di dieci anni, ai tempi del Ce4 ed Eco4. Ma questa è tutta un’altra storia.

Da "La Gazzetta di Caserta" 16 settembre 2011

mercoledì 14 settembre 2011

Gli arraffatutto

Prossimamente avrà inizio il quindicesimo censimento della repubblica italiana a cura dell'ISTAT. Questo evento è molto importante per fotografare il modo di vivere della popolazione italiana, dove lavorano e che lavoro svolgono, dove abitano e di quali servizi godono. Dalla lettura e dallo studio approfondito dei dati rilevati uscirà il quadro della situazione generale della vita del paese in  tutte le  sue sfaccettature. Lo studio della situazione attuale indurrà gli studiosi del settore a preparare i progetti utili all'ulteriore sviluppo della società italiana per i prossimi dieci anni. Questo lavoro di rilevamento è importante proprio perchè dai dati scaturiti dal censimento si avrà l'input per la stesura di tutti i grandi progetti, in ambito sociale ed economico.

La registrazione dei dati è effettuata da personale incaricato dal comune, i cosiddetti rilevatori. Scorrendo le pagine  internet sull'argomento si leggono i bandi di tanti comuni per reclutare il personale ad hoc, quasi tutte del centro nord: Milano, Roma le città più grandi e tanti comuni più piccoli, hanno pubblicato bandi per l'assunzione di  un numero di rilevatori necessari per il buon esito del lavoro. Per citare un dato, Roma ha bandito una selezione per 1935 addetti. I requisiti principali richiesti titolo di studio e status di disoccupato.

 Scendendo nei comuni meridionali si nota la quasi  totale mancanza di questi bandi, evidentemente queste categorie di persone, ovvero disoccupati con titoli di studio, in queste parti d'Italia non ce ne sono. Si comprende benissimo che questo è falso,  la verità è ben altra, nei comuni del sud impera la categoria degli arraffatutto. Dall'ora di straordinario fittizia allo straodinario elettorale questi gran lavoratori non si fanno scappare nulla. Anzi, non potendo esercitare il ruolo di scrutatori o presidente di seggio si fanno sostituire da figli e nipoti. Senza ritegno ed anche perchè senza controllo politico, quelli si accontentano della loro parte. Abituati ad arraffare, sempre ed in tutti i nodi, non rinunciano certo alla somma prevista per il censimento, anzi grande lotta per parteciparvi. Questa volta non possono farsi sostituire dai figli in quanto è necesario un bando pubblico, difficile da imbrogliare come i sorteggi per gli scrutatori. Allora eccoli pronti ad affrontare  pomeriggi di lavoro dopo una giornata di duro lavoro trascorsa a chiacchierare sul comune. Alla fine della campagna di rilevamento saranno stanchi ma felicissimi di aver arraffato qualche centinaio di euro nell'indifferenza dei politici ed anche dei giovani disoccupati. Questo è il sud, ora e sempre

Rilevatore romano

domenica 11 settembre 2011

Vendanges



Vendemmia in Francia, fra scoperte, lavoro e qualche suggestione. Mi iscrissi a giugno all’agenzia nazionale del lavoro francese con l’obiettivo di trovare un lavoro stagionale: dopo appena due settimane avevo già un contatto con un viticoltore, dal quale poi ho lavorato per dieci giorni insieme ad altri 25 vendemmiatori tagliando decine e decine di grappoli di rosso beaujolais, coltivati su 13 ettari di terreno, otto dei quali sarebbero andati per la sua produzione vinicola, cinque per la Cooperativa. Un’esperienza che voglio assolutamente ripetere se avrò la stessa fortuna nei prossimi anni, sperando che a me si aggiunga qualche amico.

Il lavoro è stato duro, ma tutto sommato la fatica non pesava affatto, l’atmosfera è stata fin dal primo giorno quella di una festa, in cui però tutti lavoravano con buona lena, aiutandosi gli uni con gli altri, pure scherzando, cantando, ma sempre rispettandosi reciprocamente. Un giorno tagliammo 14 tonnellate, circa 500 chili ciascuno. Quella sera il patron stappò delle bottiglie frizzantine per brindare al lavoro della rumorosa squadra che si andava affiatando, a tavola come nei filari, nel garage e nel Gite dove riposavamo. Un gruppo in cui c’erano studenti e studentesse universitarie per lo più, i quali chiuse le sessioni da maggio a settembre, mi spiegavano che riuscivano a trovare diversi lavori stagionali nel comparto dell’ortofrutta, con un  buon contratto. Nel gruppo però ho fatto amicizia anche con alcuni simpatici signori che da anni non riuscivano a rinunciare alla Vendemmia. Durante i primi tre giorni ci sorprese il maltempo: ma l’azienda di Franck Large era attrezzata di tutto punto. Giubbe e pantaloni impermeabili, quindi stivali per continuare a lavorare sotto la pioggia. Poi il sole inondò di luce e di calore le dolci colline del lionese, precisamente a Salles Arbuissonnas, un grazioso borgo medievale sommerso di vigneti di Beaujolais Villages. Trecento abitanti circondati da ettari ed ettari di vigneti. Un’economia forte, un’organizzazione funzionale, servizi comunali degni di questo nome. Davanti a tutto una forte unione d’intenti nella comunità, rappresentata da una Cooperativa di viticoltori che, fondata dal 1955, si occupa di tutto, dal processo di vinificazione alla vendita delle bottiglie. Ad ogni viticoltore della cooperativa viene dato un voto per la qualità dell’uva portata quel giorno, voto che poi inciderà sul suo ricavo finale. Ma la cooperativa è anche il luogo di divertimento per i vendemmiatori: a fine giornata ci si ritrova tutti lì per un lungo aperitivo fra schiamazzi, musica e tanto vino: rosso, bianco, frizzante e rosè.  

Un sogno il mio di poter fare una lunga vendemmia anche nella mia terra, tagliare il Falerno in grosse quantità, sapere che una cooperativa di produttori si sia attrezzata per i processi di vinificazione, imbottigliamento e vendita….
Che arrivino decine e decine di persone per compare al dettaglio il nostro Vino.
Che una grande festa, come quella della Vendemmia a Casale, coinvolga tutta la comunità del nostro addormentato Comune.

Michele Sorvillo   


giovedì 8 settembre 2011

Telegramma di fine estate.



 La Grangelsa è bruciata stop escluso il bar di s.donato il venerdì una palla che non finisce mai stop assessori muti stop Sindaco in vacanza da una vità stop Tonio Pagano organizza i tornei a Nocelleto stop qualcuno sposta panchine stop   giochi e carte di vario genere stop.    

Se per uno strano motivo non ci fossero più i telefoni (no! vista la situazione a s.donato non è un buon esempio, ricominciamo). Se internet non esistesse, questo sarebbe il telegramma che invierei  per informare un amico  lontano della situazione sociopolitica di Carinola. Poche frasi ma efficaci  per descrivere  l’azione amministrativa  di questo primo quadrimestre, targato gigi.  Per fortuna internet esiste ancora (quindi sandonatesi non lamentatevi e pensate ai bambini della Libia)  e possiamo analizzare quanto ci pare ciò che si è fatto a Carinola. C’è qualcuno che invita a lasciare i pc ed uscire, vivere della bellezza del nostro comune, della gioa, della vita di Carinola. Io sono sempre in giro e tutta stà festa non si è vista. Vabbè i tifosi sono tifosi e ci saranno sempre così come durante l’epoca Di Biasio, c’era gente che voleva ospitare personalmente la munnezza in casa propria. Il sadomaso a certa gente piace, c’è poco da fare, godere nell’essere umiliati che strane perversioni. Persone che se non le umili magari vanno a fare l’assessore con un altro che lo stratta ancora peggio. Ma questo è sesso estremo e io non posso non accettarlo, sono un moderno. Ritornando a noi, anzi al telegramma, diciamo che l’assessore all’ecologia, di cui non ricordo il nome, stava quasi chiudendo l’estate senza cenere tra i capelli e invece è partito il fuoco. Chi l’ avrebbe mai detto che a settembre la Grangelsa potesse bruciare. Assessore? tu lo sai dov’è la Grangelsa giusto? Certo che lo sai. Così come sai che nella manutenzione dei giardini  enzo gagliardi ha decisamente  più stile. Non hai proposto nulla nei confronti della questione boschi. Neanche una proposta, nemmeno a faverè come si suol  dire.  Ok, il danno è fatto, capita, del resto sei giovane è la tua prima esperienza, è estate, si esce con gli amici, si và a s. donato ecc ecc. Ma adesso perché non ti fai un giro sulla Grangelsa?. Telefona al tua amichetto di Casanova quello giovane come te? Come si chiama eeee coso di Spirito. Lo chiami e ti fai portare con il motorino sulla Grangelsa e in trenta secondi capisci da dove è partito l’incendio. Coso Di Spirito esperto di montagne ti dirà che il fuoco partendo dal terreno sottostante alla chiesa, “passeggiando” per il sottobosco ha determinato un forte e sciagurato incendio. Il terreno da dove è iniziato l’incendio, ti dirà coso di spirito, è una proprietà privata. Quindi visto che sei l’ assessore all’ecologia  prenderai le tue dovute considerazioni. Poi  scendi in paese e ti siedi tu e cose di spirito  sulle panchine e se passa nardelli fermatelo così vi bevete un bel gingerino alla faccia mia. Un bel quadretto, Qui, Quo e Qua ovviamente tutti sappiamo chi è zio Paperone.  Dopo ciò, mi auguro vivamente che l’assessore all’ecologia, in questi pazzi giorno estivi carinolesi,  abbia almeno menato la mazza, altrimenti non ha giustificazioni per l’indifferenza nei confronti delle questioni di sua pertinenza.
La sera una palla esagerata  tutti a rompersi le palle, facendo i vecchi durante la settimana aspettando il venerdì per andare a s. Donato e far finta di trovarsi a Milano Marittima. Questa la vita sociale carinolese.  Ma non è colpa dell’assessore alla cultura e spettacolo in quanto, prima di tutto, come dice tony, non ci sono soldi (e se lo dice tonino…….) e poi perché antonio giorgio, parliamoci chiaro, sta alla cultura come coraggio e libertà sta alla politica, lontani.  Ma non è un dramma assessore, lo sappiamo che volevi l’assessorato ai servizi sociali per fare case e cose sociali ma non è andata così, succede. Fare l’assessore alla cultura antò non è difficile, lo ha fatto pure mattia e la dottoressa, praticamente cani e porci ( è un modo di dire… mamma mia come siete maliziosi). Dai antò puoi farcela, non ascoltare quel tirchio di  tony, non ascoltare i tuoi coetanei ma ascolta chi è più giovane di te e vedi che anche senza soldi ma con idee fresche farai un figurone e farai schiattare a tutti quelli che ti prendono per i fondelli incluso grimaldone. Ci devi credere.
Tony  ormai a loop dice soltanto: non ci sono soldi. L’atro giorno educatamente ho salutato, lui d’istinto ha detto “ scusa non ci sono soldi” . Pensate,  si è così immedesimato nella parte che al bar non paga mai il caffè, scrocca in continuazione. Dice che non ci sono soldi o meglio che stamm guagliati. Che tradotto significa state guagliati. È vero tony I soldi non ci sono ma ci saranno, sono sicuro, sono ottimista. Ci saranno i soldi  per la segreteria, per  fare qualche clinica, per costruire qualche sgarrubbo di cemento grezzo e per tutte le puttanate che ti dice grimaldone e alla fine  dirai  che era meglio quando si stava peggio. Dai tony domani offro il caffè a tutti quindi anche a te, non sono razzista. E basta dire che tony ha dati i soldi ai ragazzi di Nocelleto per organizzare il  torneo di calcetto o per fare qualche festa fuori mano. Sono dicerie. Gossip estivo.
 Gigi e che ti devo dire. Ti hanno messo a far finta di fare il puc nell’ex ufficio di enzuccio,  stile basso napoletano, che tanto desideravi e, adesso, non parli più.  Ci manchi gigi dove sei? Ti vogliamo bene. Tutti ricordano  la tua allegria ai comizi. Dove sei gigi? ti aspettiamo.
Le carte di vario genere? Si, è stata l’estate delle carte. Carte intese da gioco, proprio come quelle utilizzate da coraggio e libertà nei loro graziosi tornei stile azione cattolica di vecchia scuola. Un po’ di ping pong, qualche stronzata su fb e tutti insieme a mangiare la pizza. Tutti, tranne  michelino che è più interessato ad infilarsi e fa anche bene, mangiare con monfreda non è cosa per stomaci delicati.  Ragazzi monfreda non si può vedere. Se il partito dei giovane deve essere rappresentato da monfreda allora propongo antimuccio come segretario ufficiale del partito dei bimbi. Antimuccio è decisamente più giovane. Ovviamente parlo  del lato estetico  e  non solo del profilo  intellettuale, sia chiaro. Antimuccio nonostante l’età sicuro ha più successo di monfreda e non sto parlando di politica. Poi, ci sono le carte intese come burocrazia. La burocrazia, che grande invenzione. Utile per gli abili maneggiatori trappola per i polli che si credono maneggiatori. Attenti ,le carte le devono giocare chi le sa toccare e tu massimo non sei uno di quelli.
Vedete che era meglio un telegramma.  

Facocero di fine estate.  


mercoledì 7 settembre 2011

La Confraternita del Purgatorio di Casanova attraverso lo statuto del 1786 - Parte II

Lo statuto che sostanzia la nuova fondazione della confraternita è preceduto da una supplica, redatta e sottoscritta dal notaio Giuseppe Matano, sottoscritta dal parroco della chiesa di san Pietro, sede della congregazione, Pasquale D’Errico, da altri notabili locali e da gente comune. Ciò a dimostrazione che nella confraternita risiedevano diverse categorie sociali della popolazione di Casanova, in virtù dello spirito di eguaglianza che vi regnava. La lettera porta a tergo il visto del Regio Cappellano Maggiore. Allo statuto, invece, furono aggiunte alcune condizioni e la clausola della sua non modificabilità previo il beneplacito reale da Isidoro Arcivescovo di Tarso, nel rispetto delle Reali Disposizioni del 1742 e del 1776.
Alla supplica seguono le regole della confraternita riassunte in nove articoli. La lettura del documento è interessante per comprendere com’era organizzata la struttura associativa. Nei diversi articoli sono dipanate due questioni fondamentali: le attività liturgiche finalizzate al suffragio delle anime del Purgatorio che i confratelli dovevano rispettare e l’organizzazione stessa della confraternita. Per quanto riguarda la prima questione, la “regola” stabiliva i comportamenti dei confratelli nelle diverse azioni che essi potevano e dovevano svolgere nel rispetto dei principi religiosi.

In questi punti si parla, infatti, della recita domenicale e nei giorni festivi dell’officio dè Morti e la recita del rosario tutte le domeniche sera in suffragio delle anime purganti. Queste manifestazioni prevedevano la partecipazione di un padre spirituale. L’organizzazione interna presumeva una figura cardine, individuata come priore. La funzione del superiore della confraternita era una carica annuale ricoperta da un membro della confraternita stessa, la cui elezione avveniva la prima domenica del mese di luglio.

A tal proposito, è d’uopo ricordare che nella confraternita, pur essendovi diverse figure istituzionali, tutte le decisioni importanti erano prese in ambito assembleare con la maggioranza dei voti dei presenti.
La votazione avveniva sempre a scrutinio segreto. L’assemblea eleggeva l’amministrazione della confraternita che, pena la decadenza, aveva dieci giorni per rendicontare l’operato della precedente amministrazione. Oltre al priore, eletto tra una rosa di nomi stabilita da tre “confratelli probi” nominati dal superiore uscente, erano eletti due assistenti, un segretario, un cassiere, due “razionali” col compito di supervisione dei bilanci della precedente amministrazione, e il “maestro dei novizi”.

Un ruolo molto delicato all’interno della confraternita era assunto dal Cassiere, che svolgeva la funzione di amministrazione dei beni e delle entrate che giungevano a beneficio della struttura. L’operato del cassiere era comunque vincolato al parere preventivo dell’amministrazione e dei confratelli.
Qualora il cassiere doveva investire piccole somme di danaro non superiori a 30 carlini, era tenuto a chiedere il consenso congiunto del Priore, degli assistenti e del segretario. Per somme superiori, invece, occorreva l’assenso dell’assemblea dei confratelli.

La confraternita, come stabilito dalle nuove norme frutto degli accordi tra Stato e Chiesa, non poteva acquistare beni con i propri fondi (Real Disposizione del 19 giugno 1776) e gli amministratori non dovevano avere debiti nei suoi confronti, tanto meno potevano avere rapporti di parentela fino al terzo grado con quelli uscenti. Si dovevano rispettare le mansioni proprie degli ecclesiastici che comunque erano diffidati dall’entrare nelle questioni della congrega. Il priore nominava il sacerdote che doveva presiedere alle funzioni sacre. Il numero dei confratelli doveva essere di 33, numero degli anni di Cristo e dei martiri, e la quota annuale di iscrizione ammontava a trenta carlini (come i denari, con i quali l’Iscariota, amministratore del gruppo degli apostoli, vendette Gesù ai romani).

L’ingresso di nuovi adepti poteva avvenire solo con la fuoriuscita di quelli già presenti all’interno della struttura per cause naturali o per espulsione. Il confratello, infatti, per non essere espulso doveva garantire la presenza in tutte le manifestazioni della Congrega salvo giustificati motivi. L’iscritto doveva partecipare alle adunanze e alle celebrazioni religiose, accompagnare il Sacramento agli infermi, accompagnare nei funerali i confratelli o le consorelle defunti prima della inumazione nella chiesa, far celebrare messe di suffragio per i confratelli estinti e che erano in regola con la retta, intervenire materialmente in favore dei poveri del paese dando però priorità ai confratelli. La prima ammenda per le assenze ingiustificate ammontava a mezza libbra di cera, per tre assenze al fratello veniva negato il Suffragio e, infine, se recidivo -su proposta del priore- l’assemblea, con la maggioranza dei voti ne decretava l’espulsione.

Uscito un confratello poteva entrarne uno nuovo. La formazione del neofita era compito del Maestro dei novizi e durava sei mesi dopo i quali, se non aveva fatto assenze ingiustificate, il maestro lo proponeva al priore, che a sua volta lo proponeva in assemblea, in seno alla quale si stabiliva se era degno d’indossare uniforme e accessori distintivi della Confraternita. L’acquisto della tonaca era a carico del fratello. Oggi la cappa della confraternita è una veste con cappuccio bianco con una mantellina nera che riporta, a sinistra, l’impronta con la Vergine del Suffragio. Nero è anche il cordone che cinge la tonaca.

Contestualmente alla nuova fondazione la confraternita, che evidentemente disponeva di discreti capitali, fece realizzare una propria cappella adiacente alla chiesa, dove per secoli aveva operato, e all’interno ospitò il Monte dei Morti. L’evento è celebrato nella lapide apposta nel tempietto che recita:

D.O.M.

AEDICULA QUAM SPECTES

SOLI EST INNIXA PIETATI

SODALIUM MONTIS MORTUORUM

CASALIS CASANOVAE

ANNO REPARATAE SALUTIS

MDCCLXXXVI

PAR.CO D. PASCHAL ERRICO

Tratto da: C. VALENTE, Una confraternita nell’antica diocesi di Carinola. La Confraternita delle Anime Sante del Purgatorio di Casanova di Carinola, Marina di Minturno 2004.

L’autore

Antiche confraternite laiche nella Diocesi di Carinola - parte I

In circa sette secoli di vita, la diocesi di Carinola ha visto la presenza, all’interno dei vari centri interessati dalla sua giurisdizione, di diverse confraternite, alcune delle quali ancora oggi sopravvivono. Le realtà antropiche (spesso solo piccoli villaggi) dell’ex diocesi calena erano: santa Croce e san Bartolomeo (uniti sotto la chiesa parrocchiale di santa Croce), san Donato e sant’Aniello (uniti sotto la chiesa parrocchiale di san Donato), san Ruosi e Ventaroli (uniti sotto la chiesa parrocchiale di S. Maria de Episcopia sostituita nella funzione nel 1722 dalla chiesa dei santi Filippo e Giacomo), Nocelleta (oggi Nocelleto, sotto la chiesa parrocchiale di san Sisto), Casale (con i suoi tre abitati - Santo Janni (san Giovanni), Casale di mezzo e Vignale, soggetti alla chiesa parrocchiale dei santi Giovanni e Paolo), Casanova (con i suoi tre abitati -Casanova, Carani e Lorenzi- sottoposti alla chiesa parrocchiale di san Pietro), Falciano (con i suoi due abitati di Capo e Selice sottoposti rispettivamente alle chiese parrocchiali di san Pietro e dei santi Rocco e Martino) e infine la Terra di Mondragone (con i suoi tre nuclei abitati di Mondragone, sant’Angelo e san Nicola, sottoposti rispettivamente alla Collegiata di San Giovanni, di san Rufino intra moenia, di sant’Angelo e di san Nicola).

Numerose realtà, dunque, caratterizzate dalla profonda povertà del luogo, soffocato da un rigido sistema feudale e da condizioni d’insalubrità. Fattori, questi, che per secoli hanno frenato lo sviluppo di queste terre. Volendo tracciare una cronistoria delle congregazioni del territorio attraverso le sparute fonti a tal riguardo, possiamo individuare le più antiche confraternite a partire dalla fine del XVI secolo. Grande aiuto alla ricerca è offerto dalle relazioni sullo stato della diocesi (Relationes ad limina) che i vescovi caleni, a partire dal 1589, dovevano presentare alla Sacra Congregazione del Concilio a Roma.
Le relationes ad limina furono lo strumento col quale la Chiesa, uscita dal Concilio di Trento (1545-1563), cercò di controllare l’operato e lo stato delle diocesi attraverso una descrizione delle istituzioni ecclesiastiche e della vita religiosa, a cura dei vescovi attraverso visite triennali delle diocesi di loro pertinenza.

Nelle “relazioni”, quindi, si descriveva non solo lo stato materiale delle diocesi, ma si dava traccia anche dei rapporti tra il vescovo e il Capitolo diocesano, dei rapporti con i religiosi locali, del funzionamento dei seminari, degli ospedali e di quant’altro rappresentava una struttura della chiesa operante nella diocesi, ivi comprese le confraternite dei laici. Attraverso questi preziosi documenti è possibile ricostruire lo stato delle diocesi. Nel caso di quella carinolese emergeva la triste realtà poc’anzi accennata, tanto che nemmeno la chiesa locale possedeva rendite cospicue.
Il regime di povertà, quindi, era piuttosto diffuso. In molti casi, infatti, furono gli stessi vescovi ad impiegare i propri denari per l’abbellimento della sede episcopale o di altre chiese del territorio diocesano. Prima di quella data, quindi, non è possibile rintracciare documenti che attestino la presenza nel territorio di associazioni cattoliche, lasciando tutto a ipotesi discutibili.

Nel 1590 il vescovo Nicola Antonio Vitellio riferisce, nella sua relazione, della presenza nella sua diocesi di alcune confraternite, quali: del S.mi Rosarij, di S.ti Rocchi, di S.ti Pauli; mentre a Carinola risultavano attive le confraternite del Sanctissimi Corporis Christi e dell’Annunciatione. Nella relazione del 1607, invece, risultano attive quelle del SS. Corpo, del Rosario e dell’Annunciazione e quelle del SS. Corpo e del Rosario nella chiesa dei frati francescani (complesso dell’Annunziata, ora di san Francesco) nella “Terra murata” di Mondragone.
Si può affermare, alla luce delle due relazioni sopraccitate, che dalla fine del XVI secolo nel territorio carinolese diverse erano le confraternite attive. Non è da escludere, però, che le stesse fossero attive prima di fine XVI secolo, com’è probabile che altre ve ne fossero state, ma che alla data della relazione di mons. Vitellio erano state ormai già destituite.

Del resto, queste associazioni laiche erano fortemente legate al contesto sociale, politico ed economico delle realtà in cui sorgevano e, se queste ultime non erano molto ricche, si assisteva al frequente “formarsi e concludersi” e a volte ricostituirsi a distanza di anni di tali movimenti legati alla preghiera e all’assistenza ai bisognosi. Ciò fa comprendere, in modo inequivocabile, quanto vivo, forte e costante fosse il “bisogno di Dio” nel territorio preso in esame. Bisogno tanto pressante da impegnare le popolazioni di queste terre, sebbene perlopiù povere e impegnate nel lavoro dei campi e della pastorizia per quasi tutto il giorno, nella ricerca di luoghi “fisici” oltre che spirituali per adorare il Padre. Stessa sorte, dunque, ha potuto subire la Confraternita delle Anime Sante del Purgatorio operante nella chiesa di san Pietro di Casanova. La realtà di Casanova doveva risultare alquanto attiva dal punto di vista religioso se, agli inizi del XVIII secolo, nella chiesa parrocchiale agivano ben tre congregazioni.

Da una descrizione dell’edificio parrocchiale del 1690, infatti, risultano attive nella chiesa le seguenti confraternite: del Monte dei Morti di Roma; del SS. Rosario unita al Santissimo. La confraternita del Monte dei Morti disponeva di un altare dedicato alla Vergine del Suffragio, posto sulla parete di fondo della navata laterale sinistra partendo dall’ingresso. L’altare era utilizzato per svolgere tutte le funzioni proprie della confraternita. Vi era anche un economo, col compito di provvedere alle spese e agli introiti.
Le entrate erano date da alcune somme a cadenza fissa e, quando queste venivano meno, la confraternita traeva sostentamento dalle offerte caritatevoli. Sempre nella chiesa, sulla parete di fondo della navata laterale di destra vi era l’altare della confraternita del SS. Rosario, unita a quella del Santissimo, ognuna con proprio economo e con una rendita annua di cinquanta ducati.

La confraternita del Purgatorio, al 1690, possedeva un altare nella chiesa di san Pietro dedicato alla Vergine del Suffragio (una tela di buona fattura dell’artista Geronimo Boccia, che ancora oggi si conserva nella chiesa, posta sulla parete di fondo della navata di sinistra) e cosa ancora più importante era legata al Monte dei Morti di Roma. Da ciò che resta nella chiesa parrocchiale, si può affermare che la Confraternita era abbastanza ricca, visto che la sua cappella era dotata di un pregevole altare in marmi policromi del XVIII secolo. Anche la confraternita di Casanova, come quelle del SS. Crocifisso e del Monte dei Morti della vicina Sessa Aurunca fondata nel 1575 e di quella della Rocca di Mondragone, era legata all’Arciconfratrenita del SS. Crocifisso in san Marcello al Corso, a Roma, la cui origine risale al 1519.

Essere legati ad una confraternita più grande implicava vantaggi di diversa natura per la confraternita “satellite”. Per ciò che attiene al Monte dei Morti si trattava di un’istituzione con lo scopo di raccogliere e gestire offerte e lasciti, onde poi utilizzarli per fini caritatevoli e per il sostentamento della congrega a cui era annesso. All’atto della nuova fondazione della confraternita casanovese nel 1786 all’interno della struttura esisteva un proprio Monte dei Morti. Circa l’origine della confraternita casanovese le tradizioni locali ne fanno risalire la fondazione prima di quella di Sessa Aurunca.

Purtroppo, niente di documentato ci porterebbe a rendere certa tale tesi e, pertanto, considerare quella in esame come la confraternita più antica della diocesi di Sessa in cui Carinola rientrava e rientra tutt’oggi, a seguito della soppressione della sede episcopale avvenuta nel 1818. “Antica” è, tuttavia, l’aggettivo usato per qualificare la confraternita nella Supplica del 1786 indirizzata a Ferdinando I di Borbone per farne accettare lo statuto presentato alla Real Camera di santa Chiara, organismo che i nuovi sovrani di Napoli sostituirono al Consiglio Collaterale, massimo organismo politico, amministrativo e giudiziario del viceregno. Alla supplica fu allegato il documento in cui si esponevano i fini religiosi, caritatevoli e le regole della Confraternita delle Anime Sante del Purgatorio. Nel territorio di Carinola solo due confraternite presentarono lo statuto per il riconoscimento regio: quella di Casanova e quella della Confraternita dell’Immacolata Concezione di Carinola.

È d’uopo, a questo punto, capire perché l’archivio della “Regal Camera S. Clarae” fosse, a partire dalla metà del XVIII secolo, pieno di richieste di riconoscimenti da parte delle centinaia di confraternite esistenti nel Regno di Napoli. A seguito del concordato stipulato tra Papa Benedetto XIV e Carlo III nel 1741, le confraternite passarono sotto il controllo dello stato e, pertanto, dovettero presentare ufficiale richiesta riconoscimento.
Si trattava, quindi, di una chiara volontà da parte del sovrano borbonico di controllare tutti i numerosi organismi ecclesiastici fonte d’ingenti patrimoni i quali, in più occasioni, avevano fatto gola ai sovrani europei, specie durante i periodi di crisi.
Le grandi confraternite, infatti, nella loro secolare esistenza avevano incamerato patrimoni immensi e non tassabili, perché sotto il diretto controllo della Chiesa. Bisognava, dunque, porre un freno allo strapotere finanziario di queste istituzioni. Laddove non riuscirono i sovrani dell’Ancien Régime intervennero i cambiamenti sociali e politici a seguito dei moti rivoluzionari scoppiati tra XVIII e XIX secolo e alle leggi eversive. Con i nuovi assetti socio – politici questi organismi furono fortemente perseguitati, fino a decretarne soppressione e confisca dei beni in favore dello Stato. Furono risparmiate solo le confraternite delle quali erano ben noti i fini caritatevoli e i cui beni furono comunque accorpati alle Congregazioni di Carità.

Tratto da: C. VALENTE, Una confraternita nell’antica diocesi di Carinola. La Confraternita delle Anime Sante del Purgatorio di Casanova di Carinola, Marina di Minturno 2004.

L’autore

domenica 4 settembre 2011

Cambiamenti per i commenti ai post



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Il Quiquirì è stato fino ad oggi un contenitore di opinioni e di idee, ma troppo spesso anche di screzi personali, di balordi e di tifosi, i quali con una mano condannano la "fogna dell'anonimato" mentre con l'altra calunniano e offendono le altre persone, sistematicamente in modo anonimo. 

La posizione del Quiquirì sulla legittimità o meno dell'anonimato è stata fino ad oggi chiaramente impostata sulla scelta di permetterlo. Ciò non perchè, come alcuni sostengono, si voglia permettere alle persone di tirare la pietra e nascondere la mano, ma per una semplice ragione: l'impossibilità di verificare la reale identità delle persone su internet. La sostituzione di persona, che è ben più grave dell'anonimato, continua a verificarsi su altri siti del carinolese e la nostra scelta è sempre stata quella di non rischiare di ricadere nello stesso grave errore. 

Recentemente, la diffusione massiva dei social network e in particolare di Facebook ci ha spinto a sfruttare l' esistenza di un numero sempre più alto di identità virtuali, che possono essere considerate abbastanza "sicure", e integrarle con il nostro sistema di commenti. Finalmente siamo riusciti a trovare una soluzione tecnica, che abbiamo messo on-line. 

Sono quindi aboliti i commenti anonimi. Si potrà continuare ad inviare post anonimi attraverso il nostro modulo SCRIVI, ma i commenti ai post dovranno essere fatti attraverso l'accesso ad uno a scelta tra Facebook, Twitter, Intensedebate, Wordpress o OpenID. Per qualunque domanda tecnica relativa all'utilizzo di questi networks scriveteci pure un'email all'indirizzo redazione@ilquiquiri.com.

Ovviamente assieme all'anonimato abbiamo eliminato anche la moderazione dei commenti: ognuno si prende la piena responsabilità di ciò che scrive. 



Nucleo Base


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sabato 3 settembre 2011

Casanova nel XVII secolo. Una vicenda tragica!

…La realtà di questo piccolo casale (Casanova) era passata alle cronache del Vicereame napoletano nel 1647, in occasione della rivolta fomentata dal garzone di pescheria “Masaniello”.
Il 28 luglio di quell’anno, infatti,Carinola prende parte attivamente ai moti rivoluzionari divenuti più aspri a seguito dell’uccisione una settimana prima di Tommaso Aniello. Nella sommossa, a Casanova è assalito un giudice di Capua che si trovava nel casale con i suoi soldati. La vicenda assume carattere tragico allorché, imprigionati sia il giudice che le milizie, uno dei soldati viene decapitato. A Casanova giungono Pietro di Lorenzo con il caporale Francesco Ferraro e la sua compagnia. “Circa 150 persone si dirigono a Casanova, dove si scagliano contro il caporione Paolo Pampena. A questi, «quamplurimos ictus scoppittorum iniecerunt in persona Pauli, qui fuit mortaliter sauciatus». Scoppia una furibonda battaglia tra la compagnia del capitano Pietro di Lorenzo e i Carinolesi accorsi, «in quo inter alios fuit interfectus Franciscum Sasso».

Nella battaglia cadono molti rivoltosi, fra i quali Giovanni Prata, uno dei capi, a cui è mozzata la testa, infissa su una picca e portato in giro per Sessa”. Nel 1648 mons. Casvaselice scrive: ora per le calamità dei tempi e i bisogni della gente si è resa impossibile l’esazione dei fitti e quindi poterli mantenere (si riferisce al sostentamento dei ragazzi e dei docenti del Seminario diocesano). Né io potevo soministare gli alimenti, perché a causa delle stesse Rivoluzioni (il vescovo fa cenno anche alle huius Regni Revolutiones) non solo ho perso tutto il Patrimonio e il reddito ecclesiastico ma la stessa casa vescovile e tutte le suppellettili a causa de Ladri compagni di Papone, con grandissimo pericolo per la mia vita per ben due volte. Era un periodo di crisi totale. La povertà in cui versava la gente del territorio era enorme e la stessa chiesa si vedeva privata delle rendite che le spettavano (in primis delle decime).

A rendere poi ancora più triste la situazione, al di là della rivolta generale -sfogo naturale di una situazione di crisi che coinvolgeva tutto il Viceregno- vi era il fenomeno del brigantaggio. Nelle terre carinolesi scorrazzava Domenico Colessa originario di Caprile di Roccasecca e passato alle cronache del tempo come il brigante Papone (forse in ricordo di Giacomo Papone, rivoluzionario di Pignataro del XIV secolo), il quale non disdegnò di abbracciare la causa antispagnola divenendo addrittura strumento delle mire francesi a subentrare nella Capitale cavalcando l’onda del malcontento popolare e assumendo l’incarico di “Colonnello Comandante del rivoluzionario popolo napoletano”. Papone era un guardiano di capre che passò a svolgere funzioni di gendarme. Arrestato per brigantaggio nel 1646, fu rinchiuso nelle carceri della Capitale del Regno. Un anno dopo, durante la rivolta di Masaniello, riuscì a fuggire dalla prigione, dandosi alla latitanza.

Da quel momento ha inizio la sua carriera di brigante: unendosi alla folta squadra di ladroni che faceva capo a Giuseppe Arezzo di Itri, scorrazzò incontrastato tra il Golfo di Gaeta e l’Abruzzo. Preso dallo spirito della rivoluzione contro i padroni e la chiesa (tentò anche di irrompere nell’Abbazia di Montecassino) amò definirsi “Generale della Serenissima Repubblica napoletana” e conquistò intere cittadine tra cui Itri, Fondi, Sperlonga, Sora, San Germano e Teano. In quest’ultima città, però, gli abitanti opposero al Papone una fiera resistenza. Entrato i contatto nel ducato romano con l’ambasciatore francese Du Val gli fu offerta la possibilità, approfittando della rivolta antispagnola, di sostenere l’invasione nel Regno di Napoli. A tal proposito fu nominato “Colonnello Comandante del rivoluzionario popolo napoletano”. L’esercito di Papone fu sconfitto ben presto dalle milizie fedeli alla Spagna e il comandante fu arrestato, torturato e il 26 agosto del 1648 fu ucciso in Piazza Mercato a Napoli. Il suo corpo fu completamente smebrato e sparso tra Sora, Caprile e i paesi vicini.

La realtà urbana

…Venendo da Carinola per l’antica strada che, uscita dalla porta del Castello, si divideva in due rami, uno per Sessa, incontrando il Real Cammino quasi al confine del feudo, e l’altro che scendeva verso occidente, passando poco lontano dalla collina di san Francesco si entrava a Casanova, il primo dei tre abitati costituenti l’attuale casale di Casanova.
L’ingresso avveniva probabilmente in corrispondenza dell’attuale seconda traversa di Via Nazionale, dove è ubicato un edificio che conserva, attraverso un portale, una splendida testimonianza di arte catalana. Ma l’ingresso all’attuale Casanova doveva avvenire anche in corrispondenzadell’abitato detto delli Carani, da una seconda strada che, staccatasi dalla prima poco dopo Carinola, costeggiava la collina di san Francesco per entrare nell’abitato in corrispondenza dell’attuale via Ten. Montano.

Di lì, poi, si originava un bivio da cui partiva un’altra strada, ora nota come via Giardini. Rispetto a Casanova e ai Lorenzi, Carani era l’abitato più grande. A testimonianza di ciò giungono le numerose abitazioni storiche, alcune delle quali dotate di emergenze architettoniche, poste lungo le diverse stradine che salgono sulla piccola altura dove si è sviluppato l’abitato.

Il terzo nucleo, invece, prendeva nome dalla ricca famiglia dei Di Lorenzo, che in esso risiedeva. Ancora oggi, all’interno del piccolo nucleo storico, assume particolare rilevanza l’abitazione di questi patrizi originari anch’essi di Sessa. “ I due palazzi dei Di Lorenzo, Antonio e Lucrezia, sono ancora di immediata fruizione, d’impianto cinquecentesco, con interventi tardo barocchi di minore entità e qualità artistica, sono parzialmente adiacenti fra di loro al di sopra della via detta à S. Marciano.

Quello che rimane più in vista nel panorama dei luoghi è datato 1592 (anno probabile di fondazione di Bernardo di Lorenzo di Carinola) ed estende la sua compatta articolazione compositiva su quattro lati raccordati da un vasto cortile. L’edificio, posto in posizione strategica ai limiti di un fossato, tra le due vie della Gran Celsa e dell’antica chiesa di S. Lorenzo, è in gran parte conservato nel suo impianto originario, ma spazialmente modificato nei rapporti in altezza per un innalzamento della linea di gronda. Questo intervento, insieme alla scala nel cortile del lato destro, e alla terrazza al di sopra della cappella seicentesca, potrebbero essere stati realizzati negli anni in cui era proprietario Antonio di Lorenzo.

Il palazzo del marchese di Civigliano, marito di Lucrezia, è oggi in parte proprietà dei Budetti, e la sua facciata completamente decorata a stucco con disegni geometrici si impone nello spazio della piazza del piccolo agglomerato. Nell’androne d’ingresso si ammirano alcuni particolari affrescati emergenti dal bianco delle pareti e dalla copertura a volta racemi ed uccelli all’intorno dello stemma presunto dei Caetani di Civigliano”. Per quanto riguarda l’antica chiesa di san Lorenzo, nell’Onciario al foglio 492 è censita con l’appellativo di S. Lorenzo spreca mogliere e come appartenente al Beneficio del casale di Casanova, al tempo già allo stato di rudere. Il palazzo dei Di Lorenzo, poi, alla stregua delle dimore patrizie conteneva anche una cappella privata che, nel caso specifico, era dedicata alla Madonna del Carmelo e fu edificata da Antonio Di Lorenzo nel 1635.

Casanova, come gli altri casali di Carinola sinora analizzati, nonostante fosse costituito da tre nuclei possedeva un’unica chiesa parrocchiale, quella di San Pietro. Ancora una volta si ripete la consacrazione di un edificio di culto all’apostolo Pietro che, in alternativa a Paolo, era molto venerato in queste terre. Così come la tradizione locale vorrebbe che Saulo fosse passato per questi luoghi, non di meno reputa valida la tesi che anche Simon Pietro abbia soggiornato nelle terre, aiutando i primi cristiani nella diffusione della fede, prima di sedere sulla Cattedra di Roma per poi subire il martirio della croce, tra il 55 e il 67.

La chiesa parrocchiale casanovese, di cui si hanno notizie sin dagli inizi del secolo XIV , era una struttura non molto grande, ma comunque dotata di tutti gli elementi necessari per l’amministrazione del culto. In essa, poi, a testimonianza della sua particolare importanza, risiedevano ben due corporazioni ecclesiastiche il cui scopo era, oltre allosvolgimento dell’esercizio delle pratiche prettamente religiose (messe, processioni, preghiere particolari) e della moralità cattolica, l’assistenz ai bisognosi, l’accompagnare e provvedere ai riti per defunti, i suffragi fino all’impegno per fornire la giusta dote alle giovinette povere. Le confraternite, com’era consuetudine, si riunivano negli edifici di culto all’interno dei quali si ritagliavano degli spazi per svolgere le loro funzioni celebrate spesso da preti secolari o regolari.

La confraternita del Monte dei Morti di Roma, il cui scopo principale era quello di accompagnare i defunti, faceva capo all’altare della Madonna del Suffragio. Quella del Rosario, invece, la cui diffusione in generale è dovuta ai domenicani, aveva in dotazione una cappella dedicata alla Vergine del Rosario e probabilmente il suo scopo principale era devozionale, anche se in generale svolgeva mansioni tipiche di una congregazione. Pio V istituì la celebrazione della Vergine del Rosario nell’anniversario della vittoria navale riportata dai cristiani a Lepanto nel 1571, attribuita all’aiuto della Madonna, invocata con la recita del rosario.
Particolare, della confraternita casanovese, è la tela probabilmente realizzata tra i secoli XVII e XVIII che ornava il suo altare, raffigurante la Vergine col Bambino che dona ai frati domenicani il rosario, contornata dai Misteri di Incarnazione, Passione e Resurrezione. La confraternita del Monte dei Morti, invece, era meno ricca: possedeva solo un economo e si manteneva con i contributi dei confratelli e con la carità.

Quella del Rosario, invece, sembra possedesse addirittura un’altra confraternita, dedicata al Santissimo. Dalla relazione sullo stato della Diocesi carinolese redatta da mons. Vitellio nel 1590, tra le confraternite presenti nel territorio si registra anche quella del SS.mo Rosario. Lo scopo, sin dal secolo XVI, quando tali congregazioni furono particolarmente privilegiate dalla Chiesa, era di invogliare il popolo ad assistere alle funzioni liturgiche, nonché di accompagnare in processione il Sacramento. Per tale motivo, quindi, quella del Rosario possedeva due amministratori i quali, a differenza di quella dei Morti, avevano il compito di gestire un patrimonio più cospicuo, che andava dalla rendita certa dei 50 ducati annui, a tutta una serie di altri introiti, sotto forma di offerte e proventi su beni non facilmente censibili.

Non si dimentichi che, proprio per gli ingenti patrimoni incamerati che le confraternite gestivano senza nulla versare allo stato, in un primo momento attirarono gli appetiti dei vari governi. Poi si giunse alla loro chiusura e confisca delle proprietà …
La crescita della popolazione casanovese (nel 1709 il nucleo ammontava a 630 anime) portò alla realizzazione di un’altra struttura religiosa, costruita verso la metà del XVIII secolo nella zona detta “Cappelle” all’interno del nucleo dei Carani. Di questa parla per la prima volta mons. Del Plato nella sua relazione del 1752: “In Casanova, oltre alla chiesa parrocchiale c’è un’altra chiesa sotto il titolo di S. Maria della Pietà de iure patronatus laicorum”. La chiesa, sorta per volontà di una congregazione, oggi è dedicata alla Madonna delle Grazie ed è sede della confraternita omonima.

Tratto da:
C. VALENTE: L’Università Baronale di Carinola nell’ Apprezzo dei Beni anno 1690 -
Marina di Minturno 2008, pp. 55-60

L’autore

giovedì 1 settembre 2011

Un Comune “arrepezzato”

Spesso mi viene in mente un libro che andava per la maggiore qualche anno fa: Io, speriamo che me la cavo. Un libro simpatico da leggere pur nella sua amara realtà. Mi piaceva particolarmente il tema di un bambino di Arzano che parlava della sua casa in cui tutto era “sgarrubbato”: le porte, le finestre, le pareti, la strada in cui si trovava. Tutto.
Ecco, quando passo in macchina per il Comune o cammino per le strade, mi viene in mente l’Arzano di quel libro.
Più che “sgarrubbato”, Carinola è un Comune “arrepezzato”, dove non c’è strada che non abbia le sue buche fatte e rifatte decine di volte e che a furia di essere coperte e ricoperte, sono diventate dei veri crateri, pericolose per uomini e mezzi.
La palma della strada peggiore l’ha sicuramente Via San Cristofaro a Casanova, la stradina che dalla piazza porta all’ufficio postale, molto usata dai pedoni, soprattutto dagli anziani quando vanno a riscuotere la pensione.

E’ un vero mosaico di toppe: piccole, grandi, scoscese, rialzate, bucherellate. Un cammino così malagevole che chi non sta molto attento rischia si inciampare ad ogni passo e rompersi l’osso del collo. Stessa cosa deve dirsi dei marciapiedi che, in alcune parti, sono completamente scomparsi tanto sono consumati e molte persone ci sono cadute senza, tuttavia, citare il Comune per danni. Troppo buone!
Qualche cittadino, davanti la propria casa, ha rifatto il marciapiede a proprie spese e questo non mi sembra affatto giusto. Non è giusto che nessuna amministrazione comunale si preoccupi non solo della salvaguardia dei centri storici, della tutela dell’ambiente, delle sicurezza delle strade, ma soprattutto dell’incolumità dei propri cittadini. Ci si ricorda di loro solo in periodo elettorale, poi passata la bufera, i cittadini ritornano ad essere dei “signor nessuno” e vengono abbandonati al loro destino.

Se proprio non siamo degni della più attenta considerazione sociale amministrativa, ci si diano almeno strade su cui possiamo camminare senza il rischio di cader ad ogni passo. Ci sono strade che non vengono toccate da decine di anni; marciapiedi che non hanno più visto una mano di manutenzione da quando sono stati fatti la prima volta. E non è una vergogna questa?
Mi domando quando e quale amministrazione vorrà farsi carico di rifare le stradine secondarie più malmesse e i marciapiedi per assicurare ai cittadini un cammino agevole e sicuro, ma nessuno sa darmi una risposta.
Forse, come recita una famosa canzone di Bob Dylan, le risposte alle nostre domande di cittadini vengono “soffiate nel vento” e non le udremo mai: non hanno consistenza.

Tamburine Man

giovedì 25 agosto 2011

Come prima, peggio di prima

Non credo che il bel Massimo possa essere molto contento dei risultati ottenuti finora dalla vittoria della sua coalizione. Ok, ha vinto il suo candidato sindaco; ok, ha messo come consiglieri i suoi pupilli; ok, ha dato i migliori assessorati a chi voleva lui. Puo’ ritenersi soddisfatto per tutto questo?
Data la cruenta battaglia elettorale a suon di colpi bassi, ci si sarebbe aspettato almeno un’amministrazione attiva e funzionale; invece, nisba! La sua è stata una vittoria di Pirro e lo sa.
Cosa ci ha regalato il suo essere consigliere regionale e il suo energico impegno per la vittoria amministrativa? A noi nulla, a lui forse una soddisfazione personale.
Be’ se questo significa amministrare un Comune, allora siamo ben lontani dalla concezione di “res pubblica” . In realtà lo siamo sempre stati, ma tant’è! Una piccola speranza c’era! Vista la posizione politica del nostro, visto il suo forte volere individuale, ci si aspettava una rivoluzione amministrativa. Invece abbiamo ottenuto un sonno catartico.
E’ vero che ora fa troppo caldo e non si ha voglia di fare nulla, ma l’estate è anche uno dei periodi migliori per sperimentare le idee dei vari assessori, soprattutto quelli alla cultura e all’ecologia.
E non mi si venga a dire che non ci sono soldi: per realizzare certe idee, non occorrono soldi. Solo idee.
Be’, sono quelle che, purtroppo, non ci sono.
Mi piacerebbe proprio conoscere quali veri progetti vorrà portare avanti quest’amministrazione; come affronterà i problemi sociali, come quelli ambientali.
Credo che almeno gli elettori che li hanno votati, abbiano il diritto di saperlo. O no?
Per ora si vivacchia alla meno peggio, tra il “vedremo” e il “faremo”, mettendo una “pezza” qua e una là.
Che sfizio! A furia di attaccare “pezze” siamo diventati un popolo di straccioni!
Mi spiace dirtelo, bel Massimo, ma la tua tanto desiderata amministrazione è una grossa delusione per il popolo carinolese. Speriamo che non si trasformi in un incubo.

Invinoveritas

martedì 23 agosto 2011

Il Feudo de' Li Lorenzi

Nell' antico palazzo dove l’associazione onlus Circuito Socio-Culturale Caleno ha preso sede è passata la Storia con la S maiuscola, perché strettamente legata alle vicende del Regno di Napoli del periodo aragonese prima e del vicereame poi, ma anche la piccola storia del carinolese e del sessano.
Con grande piacere viene proposta, a tutti coloro che non hanno partecipato al Lunarte o non sono riusciti ad avere il depliant storico, questa pagina con la speranza che essa possa stuzzicare la curiosità pubblica per una conoscenza e un rispetto sempre maggiori del territorio.
I lettori che la leggeranno, si renderanno conto che ci sono molti “forse” e molti “probabilmente”: ciò è perchè le ricerche storiche di questo antico borgo dei Lorenzi di Casanova sono tuttora in corso. La pagina proposta vuole essere solo un’anticipazione che, in futuro, oltre ad ampliamento, potrebbe anche essere soggetta a cambiamenti qualora si ritroveranno ulteriori documenti storici.

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Per circa tre secoli, per tutto il periodo angioino, aragonese e oltre, Carinola fu congiunta a Sessa da legami di vassallaggio. La Contea di Carinola era parte attiva del Ducato di Sessa e a molti patrizi sessani veniva assegnata, per particolari meriti soprattutto militari, la gestione di feudi anche nel nostro territorio in cambio del giuramento vassallatico che assicurava al signore feudale non solo obbedienza e fedeltà, ma anche il versamento di quote in natura e prestazioni militari in caso di bisogno.
La congiura dei baroni era già avvenuta e stroncata e Marino Marzano era morto da un pezzo quando, intorno alla seconda metà del XVI secolo (1500), Bernardo Di Lorenzo, nobile uomo d’armi sessano di stirpe normanna, accettò il viceducato di un feudo nella contea di Carinola e divenne il capostipite della famiglia Di Lorenzo carinolese. Il feudo, che era stato in tempi più remoti dei Toraldo, dei del Gaudio e dei Ratta (ora Razza), lo ottenne per via ereditaria dalla famiglia del Transo con cui era imparentato (forse la madre era una del Transo; la moglie era invece una Guevara) e che si era stabilita da Gaeta a Sessa con Bonomolo del Transo nel 1495, per parentela contratta con i Marzano

Non sappiamo ancora se il feudo avesse un nome specifico (San Marciano? San Lorenzo?), ma di sicuro la famiglia Di Lorenzo legò il suo nome alla zona edificando, con Bernardo, il piccolo borgo che fu da allora chiamato LI LORENZI, dialettizzato in Laurienzi dal latino De Laurentio, come il cognome veniva registrato nei documenti ufficiali (con diverse varianti, devo dire).

Il borgo, anche se isolato da Casanova e a cui si accedeva per mezzo di un ponte levatoio, era perfettamente autonomo, perché Bernardo vi fece costruire stallaggi per le bestie, alloggi per i soldati e per i coloni contadini, un frantoio per l’olio e torchi per il vino. Non mancavano pozzi e acqua corrente incanalata da una sorgente per i quotidiani usi degli abitanti e per l’irrigazione dei campi. L’edificio principale, ad uso più che altro militare ed amministrativo, fu terminato nel 1592 e sullo stemma compare un unico albero illuminato dal sole a simboleggiare il capostipite di una gloriosa casata. Nell'albero, probabilmente un ulivo, sono messe ben in evidenza le robuste e profonde radici che stanno a significare da quale stirpe antica e solida Bernardo proveniva.

Lo stemma è chiaramente ripreso da quello della famiglia del Transo (ramo di Tropea) che consiste a sua volta in un albero di ulivo su tre colli, il cui motto era: sicut oliva in domo Domini (come ulivi nella casa del Signore), ma anche frangor et non flector (mi spezzo, ma non mi piego).
Il motto che Bernardo adottò per la sua casata fu degno del personaggio: fulgura timeo, volendo significare che non temeva nessuno, solo le folgori (divine?). Il palazzo aveva ed ha, al confine con la strada, una piccola cappella gentilizia dedicata alla beata Vergine del Carmelo.

Bernardo poteva fregiarsi dell’appellativo di Duca essendo il feudo un viceducato e poteva amministrare la giustizia sul territorio di sua competenza nei limiti che gli erano consentiti. E lo fece con pugno di ferro. Nel suo palazzo non mancavano, infatti, le segrete sotterranee per l’incarcerazione dei colpevoli. Oltre a fornire il suo feudo di tutti i comfort dell’epoca, Bernardo forni anche le sue residenze di vie di fuga, che non potevano mancare in caso di attacchi nemici. Una di queste vie di fuga aveva l’uscita nel vicino dirupo e, purtroppo, è stata coperta recentemente dai lavori eseguiti alla Fontana Vecchia.

L’altro palazzo ad esso adiacente, era la residenza vera e propria. Lo stemma (anche questo ripreso dalla famiglia del Transo, ramo di Sessa e Napoli in cui compare un leone rampante azzurro in campo dorato) è più completo e offre una lettura abbastanza chiara. Su uno scudo sormontato da un elmo, che rappresenta la natura militare della famiglia, è sempre un albero a cui si appoggiano due leoni rampanti, i due eredi maschi di Bernardo: Pietro e Carlo Di Lorenzo.
I due fratelli, non sempre in pace tra loro, ebbero nel 1647 una controversia con la Diocesi di Carinola che finì a Roma.
La causa riguardava una cappella sopraelevata, adiacente il loro palazzo, a cui si accedeva tramite una scala esterna. Essi ebbero dal vescovo di Carinola, Mons. Girolamo Vincenzo Cavaselice, il permesso di costruire la cappella pubblica, ma non rispettarono l’accordo di lasciare l’entrata libera a tutti, mettendo dei cancelli sul ballatoio e aprendovi un balcone in modo da accedere direttamente dalla loro stanza alla cappella. Furono perciò accusati di aver trasformato la cappella pubblica in un oratorio privato e la Diocesi di Carinola ne minacciava la chiusura. In loro difesa, i fratelli Di Lorenzo sostenevano che i cancelli erano stati messi per proteggere la cappella dall’ingresso di animali.

Di Carlo per ora non abbiamo notizie, ma Pietro, come descrive il De Masi, fu uno dei più valorosi soldati al servizio del Re Ferdinando il Cattolico nelle rivoluzioni del 1648. Fu dal viceré creato Capitano della Sacchetta, ossia Capitano della Milizia a Cavallo del Regno. In zona, la sua fama era enorme per la lotta che quotidianamente faceva contro briganti e malfattori.
A Casanova, con una squadra d’armati di 200 uomini, affrontò ed uccise un certo Giovanni Prata, malvivente, che gli devastava i beni, e ne portò, in trionfo, la testa mozzata a Sessa. Inoltre, più volte neutralizzò le azioni del brigante Papone, alias Domenico Colessa, che tiranneggiava il sessano e il carinolese. Pietro ricevette diverse lettere di ringraziamento dal re in persona che è possibile leggere nel libro del De Masi.

Il Duca Bernardo, nel suo testamento, aveva espressamente stabilito che fosse seguita la legge ereditaria normanna del maggiorascato, ossia che il grosso dell’ eredità e i titoli nobiliari spettavano al primogenito, mentre tutti gli altri figli venivano equiparati a secondogeniti. Agli eredi di sesso femminile toccava la sorte di mediatrici, sposando rampolli di famiglie con cui era opportuno allearsi, o il convento. Ritroviamo diverse donne Di Lorenzo nel monastero di San Germano di Sessa o di Santa Caterina in Aversa.
La legge del maggiorascato fu seguita da tutti i discendenti di Bernardo, anche se non sempre con tranquillità.

Il viceducato dei Lorenzi rimase in vita fino alla metà del 1700 quando, con l’istituzione del catasto onciario voluto da Carlo III di Borbone, tutte le proprietà furono pesantemente tassate e molte proprietà furono, di conseguenza, vendute. I Di Lorenzo persero, tra i tanti terreni, le Saucelle, ora Salicelle, e L’Incogna (o Ancogna), vastissima tenuta agricola al confine con il territorio di Cancello ed Arnone, che andò a far parte delle proprietà personali del re e divenne “pagliara reale” per la produzione della mozzarella.
La residenza ufficiale dei Lorenzi, i cui ultimi proprietari furono gli eredi dei marchesi di Cirigliano, ossia Lucrezia Di Lorenzo e il marito Nicola Gaetani d’Aragona, fu venduta ai coniugi Pietro Paolo Budetti e Felicia Spani. L’altra fu comprata dai Di Tora e poi dagli Sciaudone.

Di stirpe normanna, i Di Lorenzo, erano uomini d’armi venuti in Italia al seguito degli Altavilla, Ruggero e Roberto il Guiscardo. Stanziatisi inizialmente in Sicilia, raggiunsero il sessano seguendo le sorti militari sopratutto di Ruggero d’Altavilla. A Sessa erano presenti con Giovanni Angelo De Laurenzio già nel 1110 e con Guglielmo De Laurenzio nella metà del 1200.
Giovanni Angelo fu cavaliere di San Giovanni gerosolimitano (= di Gerusalemme), morto a Brindisi nella cui cattedrale è sepolto. La sua medaglia d’appartenenza all’ordine, con le sue armi ed il suo nome, era custodita dalla famiglia di Pietro Di Lorenzo.
Guglielmo De Laurenzio venne invece scelto, per prodezza e valore guerriero, quale Provveditore alle fortezze di Terra di Lavoro e dei tre principati di Capua, Salerno (Principato Citra) ed Avellino (Principato Ultra), dall’Imperatore Federico II.

Molto ancora c’è da scrivere, ma questo lo rimandiamo ad un prossimo futuro.

Concetta Di Lorenzo


Fonti:
Aldimari Biagio – Memorie istoriche di diverse famiglie nobili – Napoli 1691
Alfano Giuseppe Maria – Istorica descrizione del Regno di Napoli diviso in 12 province – Napoli, 1798
Archivio di Stato di Caserta – Tribunale di Ia Istanza - Documenti patrimonio famiglia Di Lorenzo
Archivio di Stato di Napoli – Documenti del Catasto Onciario
Brodella don Amato – Storia della Cattedrale di Carinola – Minturno, 2005
Brodella don Amato – Storia della Sagrestia della Cattedrale di Carinola – Minturno, 1996
Carrafa G. Battista e Muzio – Dell’historie del regno di Napoli – Napoli, 1572
De Fortis Muratori – Vite e famiglie degli uomini illustri – Napoli, 1755
De Masi Tommaso - Memorie Istoriche degli Aurunci – Napoli, 1761
Mugnos Filadelfo – Nobiltà del Mondo – Palermo, 1645
Paciaudi Paolo Maria – Memorie de’ Gran Maestri del Sacro Militar Ordine gerosolimitano – Parma, 1780
Porzio Camillo – La congiura de’ baroni del regno di Napoli – Milano, 1821
Tommasino Attilia – Sessa Aurunca nel periodo aragonese – Ferrara-Roma, 1997
Francesco Maria Villabianca – Sicilia Nobile – Palermo 1776