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martedì 28 gennaio 2014

La nascita della Pro Loco


La seconda riunione per la formazione della Pro Loco a Carinola si è svolta lunedi' sera con la partecipazione allargata alle associazioni attive sul territorio. Si è formato un comitato promotore il quale si riunirà a breve per elaborare un atto costitutivo, lo statuto, un bilancio preventivo quindi le attività da sviluppare. Chiunque è invitato ed è libero  d'iscriversi per poter partecipare all'assemblea costituente la Pro Loco il giorno 06 FEBBRAIO ore 19,00 - Palazzo Petrucci. 

In questa sede sarà votato e approvato il direttivo della Pro Loco, lo statuto e il bilancio preventivo. 

Ebbene, senza essere troppo naif, cerchiamo di proporre un contributo a chi vuole impegnarsi nella Pro Loco. Gli sforzi per rilanciare le attività di promozione in un Comune come il nostro sono enormi, occorre tanta determinazione, competenza e idee che altrove hanno funzionato. Le difficoltà sono dietro l'angolo, come il rischio che vi s'infiltri la mala-politica, l'affiatamento nel gruppo direttivo, l'appoggio della comunità locale. Ma tutto cio' è superabile, in quanto ci sono menti giovani e competenti nel gruppo promotore a cui si affiancano uomini e donne con tanta esperienza e conoscenza del  territorio. 

E ora per aprire un dibattito costruttivo vediamo insieme quali potrebbero essere le attività e le idee per favorire lo sviluppo turistico e naturale del territorio. Cosa suggerireste alla Pro Loco? E' possibile creare occupazione con la valorizzazione dei prodotti, la cultura ed il turismo a Carinola? E come?


Danton





giovedì 29 dicembre 2011

La Cantata di San Silvestro

Inizialmente ogni città, paese, contrada, aveva un testo ed una melodia più o meno propria, legata al proprio substrato culturale, e insieme aveva anche un nome preciso per definire la Cantata di San Silvestro: Buche-Buche per alcuni, per altri PutiPù, per altri ancora il Carro della ‘Nferta e così via. Ma alla fine queste “farse natalizie”, o “canti a suffragio”, dalla remotissima tradizione popolare del Meridione (ma che molti vogliono far provenire dal territorio santarpinese), sono semplicemente dei canti augurali, tramandati, con vari mutamenti linguistici e semantici, nel corso dei secoli. Così avviene che in questi giorni la Cantata di San Silvestro bussi ancora alle porte delle case e passi per le piazze, col suo seguito di musici, cantanti per risvegliare una cultura antica e una memoria che si rinnova anno dopo anno.
Come sia nato e quando soprattutto, sono domande di non facile soluzione. Tuttavia, appunto per le misteriose origini che si nascondono dietro di essa, è stata studiata da filosofi, musicologi e antropologi, da G.B. Basile ( che ne parlò per la prima volta nel 1600) a Pasolini, fino a Roberto de Simone che ne ha garantito certa divulgazione scritta.
Naturalmente datarla è quasi impossibile, a causa dei suoi riferimenti alle antiche farse avellane ( addirittura V secolo a.C.). Di sicuro sappiamo però che essa fu vietata varie volte nel corso dei secoli per le strade della Campania. Per ultimo, dal regime fascista, che impediva di andare cantando per le strade e forse pure per i suoi contenuti pagani.
Poi tutto rinasce nel dopoguerra, anche in quel di Casanova. La voglia di ricominciare, il benessere, spinsero Francesco Zuè (artigiano casanovese) a rimpiazzare in qualche modo la cantata locale, andata però perduta. Pensò, insieme ad alcuni, ad una rielaborazione del testo e della musica, integrando con quanto rimaneva delle strofe tramandate, con altre ascoltate nei comuni limitrofi ( Sessa, Casale, Lauro, Cascano, Corigliano, Piedimonte). Una sera di fine anno partì per i vicoli di Casanova, con il suo mandolino, qualche chitarra, alcuni cantanti, ed ovviamente con un suonatore di buche-buche, realizzato artigianalmente.
La tradizione ha resistito, si è rinnovata, con la partecipazione di nuovi componenti, che anche quest’anno porteranno in giro - per case, piazze, vicoli e cortili - la Cantata di San Silvestro, col suo seguito colorato, affascinato, carico di gioia e coperto da un mantello mitico.

micsorv

domenica 22 maggio 2011

La festa che riequilibra


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Gli echi delle sofferte elezioni della scorsa settimana vanno infine affievolendosi per lasciare il posto alla normalità. Una normalità che per alcuni ha il sapore amaro della sconfitta, per altri l’esaltazione della vittoria.
Si continuerà  a parlare di queste elezioni ancora per qualche tempo, ma intanto i cittadini stanno lentamente rientrando nei ranghi, occupandosi delle proprie quotidiane faccende; cercando di allontanare  le ostilità politiche che ha diviso gli animi.
Ed ecco subito la “festa di maggio” che riporta un po’ di equilibrio in una comunità troppo manipolata dagli interessi politici, troppo sballottolata di qua e di là senza troppo rispetto: ciò che la politica divide e invelenisce, la festa unisce.
Dopo l’esperienza elettorale che li ha visti antagonisti ed avversari, i casanovesi si stringono ora intorno alla loro Madonna, ritrovando il piacere di essere una comunità unita, pacifica e collaborativa; mettendo definitivamente da parte le ostilità trasportate negli animi dai tanti signori della guerra che pur ci sono, e tanti!
Già da diversi giorni, mentre molti ancora discutevano sui risultati elettorali, moltissime persone si dedicavano alla raccolta del mirto e dei fiori e alla loro preparazione serale in diverse case.

La suggestiva fiaccolata notturna di venerdì verso la Chiesetta della Grangelsa ha contribuito grandemente ad infondere negli animi la pace perduta nei giorni scorsi, fino ad arrivare a sabato notte, clou  della  preparazione alla processione domenicale.
Come sempre, dopo la mezzanotte, si da inizio all’ Infiorata, lo stupendo tappeto floreale che si snoda lungo via Grangelsa. Tutti presenti; tutti e più ancora: Antonio, Palmina, Giovanni, Lucia, Maria, Antonetta, Giovanna, Giacomo, Mariano, Michele, Pasquale, Olga e tanti, tanti giovani. 
28Si bisbiglia, ci si organizza, ci si predispone per le varie mansioni, ci si piazza ai posti di “combattimento”, si inizia ad apparecchiare la strada…. Ed ecco che lentamente, ma incessabilmente il tappeto comincia prendere forma, a srotolarsi… Molti caffè accompagnano la nottata; molte battutine e prese in giro allietano la stanchezza e le lunghe ore di lavoro, ma lo spirito di aggregazione è più vivo che mai. La comunità è di nuovo coesa, unita, ben desta, pronta ricostruire ciò che molti vorrebbero distruggere: il proprio senso di appartenenza e la propria rispettabilità.


martedì 8 marzo 2011

Cenni di storia popolare sul Carnevale

Per inquadrare e collocare questo particolare periodo dell’anno nella nostra storia, è opportuno fare una  prima precisazione: il nostro Carnevale nulla ha a che vedere col Carnevale “colto” che si “celebra” in gran parte d’Italia, da Nord a Sud.
Il nostro Carnevale non si coniuga attraverso le  sfilate dei carri allegorici di Viareggio e Putignano, o la battaglia delle arance di Ivrea o quella delle caramelle di Chivasso; neppure attraverso il pomposo “sfilare" di abiti e piume,  affittati o comprati a cifre astronomiche per l’occasione.
Come nel più autentico spirito della cultura popolare, il nostro Carnevale è piuttosto un Carnevale di stracci e straccioni che vivono (o dovrebbero vivere) quello che poi è l’autentico spirito del Carnevale: l’affrancarsi  ed il “liberarsi”, almeno una volta l’anno, da imposizioni e costrizioni, da servitù e sudditanze, da fame, miseria e proibizioni. 
Così ci si veste e traveste e si  “cambia faccia” come a voler cambiare anima, quasi ad assumere una nuova identità (una specie di Avatar?) nel segno del tutto “licet semel in anno”. Tutto è consentito, almeno una volta all’anno (vedi i “Saturnali” nell’ antica Roma)..... Ovviamente non tutto è consentito.
Ma veniamo al “nostro” Carnevale il quale, da noi come altrove, non sta ad indicare il solo periodo dell’anno, ma  un vero e proprio personaggio in carne ed ossa, per la verità più carne che ossa .
Carnevale, come personaggio, è grosso,  soprattutto grasso e non a caso.
Carnevale mangia e beve, soprattutto mangia tanto. Mangia, guarda caso, carne di maiale: salciccia, cicule e ventresca in quantità inverosimili.
I motivi sono due:

1. Gennaio e Febbraio erano i periodi dell’anno in cui si ammazzava il maiale, che rappresentava il principale sostentamento della famiglia contadina. Del maiale non si buttava e non si butta quasi nulla e le sue carni stagionate e insaccate sostenevano la famiglia nell’arco dell’intero anno. Il maiale stesso, in questo contesto, stava a rappresentare, con la sua carne grassa e succulenta, il  trionfo dell’abbondanza sulle privazioni quotidiane.

2. Il periodo che segue immediatamente il Carnevale è la Quaresima, con i suoi quaranta giorni di  astinenze, digiuni e privazioni. E’ opportuno, quindi, che Carnevale approfitti del periodo a lui dedicato per abboffarsi di ogni ben di Dio, e quale miglior dono di Dio se non  salciccia, cicole  e ventresca?

Carnevale si atterrà scrupolosamente alla consegna, mangerà… mangerà… mangerà tanto che alla fine scoppierà. Morirà per la grande abbuffata ed i suoi funerali verranno “celebrati” nel giorno di martedì grasso, l’ultimo del periodo del Carnevale.
La sua “salma” verrà accompagnata in corteo attraverso le strade del paese, tra urla lazzi e schiamazzi, e tra il pianto di “pie donne” incredule e gementi:
-    Carnevale miu, pecché sì mmuortu? -
E’ opportuno qui  ricordare che durante il periodo del nostro Carnevale, riferendoci alla frazione di Casanova nella fattispecie,  torme di bambini mascherati come meglio l’epoca permetteva (parliamo dei primi decenni del Novecento), molte volte indossando i camicioni da letto dei loro nonni, con la faccia imbrattata di fuliggine e con in mano rami appuntiti a mo’ di spiedo, percorrevano le strade del paese bussando alle porte di chi sapevano potesse dare. A chi compariva sull’uscio chiedevano in coro: ‘a ventreschella e ‘a sauciccella che, una volta ottenute, infilzavano sui loro improvvisati spiedi, ed anche ‘e ciculelle, che spesso consumavano per strada e… via di corsa a bussare ad altre porte e a fare le stesse richieste, fino a che non riempivano i loro improvvisati spiedi. Ovviamente chi era più furbo, portava uno “spiedo” più lungo.
Qualche donatore che, per tirchieria, non donava o donava poco, non di rado riceveva in cambio qualche dispetto...... Strana analogia con l’Halloween degli Americani.

A chiusura dei festeggiamenti del nostro Carnevale si colloca ‘A Cantata de ri Mesi. Cantata in cui i dodici mesi dell’anno, condotti da Capodanno che dialetta con Pulcinella, entrano in scena ognuno secondo la  sequenza annuale e cantano  le proprie virtù e/o difetti.
Cosi ascoltiamo un Gennaio cantare:
- …nnemmicu songu de ri pecurari -  perché con le sue gelate persistenti renderà difficile a pecore  e capre brucare l’erba dei pascoli e ancora:
- … a cacciauocci cu’ ri putaturi…nisciunu juorno li farò putare – perché con le sue giornate gelide e ventose e a volte piovose o innevate, renderà difficile ai potatori portare a termine il loro lavoro, quasi a fargli dispetto.
Cosi Febbraio:
-    Io so’ Febbraio e songu curtu curtu e ‘uerra  vogliu fa vintottu juorni…- perché febbraio è  il mese più corto dell’anno, ma con i suoi soli  ventotto giorni  perpetua le intemperanze di Gennaio.
E Marzo:
- …nun ve fidate de la mia fermezza, ch’io faccio la mutanza della luna - con le sue giornate che cambiano repentinamente dal caldo al freddo o dal bello al brutto. Infatti:
- …n’ora ve facciu asciutti e n’ora ‘nfusi -  perché le sue giornate soleggiate possono portare  repentini  scrosci di pioggia.

Non ci dilungheremo sulle strofe della Cantata, del resto comprensibilissime agli ascoltatori seppure a volte con qualche passo difficile dovuto, pensiamo, a inesattezze di trascrizione da parte di chi, ascoltando per la prima volta questa Cantata, ha provato a mettere nero su bianco.
Tenteremo, invece,  di darne qualche notizia storica.
Alcune delle notizie che qui riportiamo  sono documentabili e documentate, altre sono solo il frutto di nostre speculazioni, non avendo a nostra disposizione o non avendo potuto consultare, sia  per la loro irreperibilità immediata, sia per brevità di tempo disponibile, quei testi che potessero illuminarci in proposito. Uno di questi testi di ricerca, purtroppo difficile da reperire, è: “Carnevale si chiama Vincenzo” di Roberto De Simone ed altri collaboratori, in cui uno studio sulla rappresentazione in questione ci viene proposto dall’Apolito.

Incominciamo col dire che questa Cantata o “Rappresentazione dei Mesi” come viene chiamata in alcune zone, la troviamo in diverse regioni d’Italia, soprattutto del centro-sud, come Lazio, Molise, Campania.
Esiste una trascrizione  risalente al 1177 che veniva cantata e ballata nelle festività di inizio anno e nel periodo appunto del carnevale.Per chi fosse curioso di consultarla, assieme ad altre versioni, vedi:
http://www.sabina.it/tradizioni/mesi.htm

Senza andare troppo lontano, la  “Cantata dei Mesi” così come  noi la conosciamo, sia pure con delle varianti riguardanti metrica, musica, numero ed identità dei personaggi, sembra derivare da una versione comune non solo alle frazioni del nostro Comune, ma ad altre parti della nostra Provincia. Vedi:
http://www.omniamaceratacampania.it/index.php?option=com_content&task=view&id=67&Itemid=51)

La matrice comune la si desume dalla pressoché identicità delle strofe che, quando non identiche nel testo, restano comunque simili nella sostanza.
La diversità della struttura metrica e delle musiche, così come il diverso numero ed identità dei personaggi che riscontriamo in alcune frazioni nell’ambito dello stesso Comune, altro non sono, a parer nostro, se non  naturali manipolazioni operate su uno stesso canovaccio da identità culturali ristrette e differenti fra loro, se pur complementari.
Da dove arriva la versione comune  di questa Cantata così come noi la conosciamo?
Indubbiamente la presenza del personaggio Pulcinella, maschera non esattamente attinente alla cultura all’Alto Casertano, indurrebbe a considerare una sua provenienza dal Napoletano, o, se vogliamo azzardare una ipotesi ardita, dal Regno delle Due Sicilie?
Queste però restano pure e semplici speculazioni che, in assenza di riscontri certi, vanno prese in considerazione col beneficio dell’inventario.

Attilio Troianiello