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giovedì 5 luglio 2012

L’incursione del conte Biasox


In una serata molto calda, nel salone delle feste del palazzo della contea di Calenum si teneva il gran consiglio . L’aria afosa rendeva l’aria irrespirabile ed i notabili della contea là riuniti non vedevano l’ora di uscire fuori. L’argomento della riunione era la costruzione dei cimiteri ideata e progettata dal conte Biasox quando regnava sulla contea. La tentazione di quasi tutti i notabili era di non procedere più alla realizzazione di quelle opere in quanto solo il conte ne avrebbe incassato i proventi oltretutto era da tempo irreperibile. Il presidente dell’assemblea aveva appena finito di leggere l’ordine del giorno da discutere quando fu interrotto da un frastuono di ferraglia proveniente dall’esterno. Nemmeno il tempo di alzare la testa ed eccoti a tu per tu col conte Biasox in persona inguainato in una elegantissima corazza argentea e col suo cappello adornato di piume di pavone. I quattro gendarmi addetti al’ordine pubblico, destati dalla confusione, erano accorsi trafelati con le daghe strette fra le mani. Riconosciuto il conte rimisero le armi nel fodero e si inchinarono in un deferente saluto. I servi della gleba che erano presenti, con la segreta speranza che si mangiasse a sbafo come di consuetudine, si alzarono in piedi e la maggior parte si inginocchiò a mani giunte. Il povero Don Luis per poco non cadde dalla sedia per lo spavento e si congratulò con sé stesso per non essersi seduto sul trono. Tutti gli altri cavalieri restarono impietriti sulle sedie cercando furtivamente con lo sguardo una via di fuga. 
Nel terrore generale Il conte Biasox sguainò la sua spada che era stata benedetta dal papa quando era partito per la prima crociata. Il rumore e gli occhi di fuoco del conte terrorizzarono ulteriormente gli astanti che per paura di irritarlo si sforzavano perfino di non respirare. In quel silenzio tombale la voce tenorile del conte si potè sentire fino a qualche kilometro dal palazzo.  Il suo discorso inizialmente fu semplice e comprensibilissimo   “l’affare dei sepolcri”, disse, “è stata una mia idea e guai a chi ne impedirà la realizzazione, chi non sarà ucciso dalla mia spada sarà deferito al gran giurì di Maradonia mio amico che lo farà marcire per sempre in prigione, non mi interessa che i servi della gleba non sono contenti perchè loro non hanno diritti”. Notato che l’assemblea  lo guardava ed ascoltava con attenzione incominciò a dilungarsi con i suoi vecchi discorsi insensati. Mentre continuava nella sua orazione il suo ex generale, l’infido Abner da San Ruosi, ora ridotto a paggio di corte, gli girava intorno a capo chino disegnando suoi ritratti in varie pose che all’indomani avrebbe mostrato agli amici. Anche le dame presenti lo guardavano ammirate e contraccambiate dal suo sguardo che le frugava nel decolletè. In particolare donna Laura de Passerinis inguainata in un bellissimo vestito rosa arrivato da Parigi gli sorrideva estasiata. In verità cercava di attirare l’attenzione del conte perché questi la mantenesse ancora a capo della banda di suoi sostenitori. Il conte continuava con i suoi sproloqui che niente aggiungevano o levavano alle prime frasi  del suo discorso  tanto che il presidente dovette farsi coraggio e pregarlo di interrompersi per permettere ad altri di parlare. Dopo un’altra mezz’ora di chiacchiere inutili intervenne il duca Giano Trifronte. Questi si era recato al gran consiglio  per perorare la causa dei servi della gleba che non riuscivano a pagare le spese imposte da Biasox per seppellire i propri cari. Trovatosi al cospetto del conte, tenendo fede al proprio nome, immediatamente cambiò il suo discorso e spiegò a tutti i presenti che il progetto era quanto di meglio si potesse ideare e che avrebbe portato la contea nei primi posti di gradimento del regno di Maradonia. A lui fece seguito il suo amico fraterno Mattia il Gerarca, vestito nella sua tenuta tutta nera elmo compreso, fece impallidire ancora di più il già provato Don Luis. Il gerarca facendo sfoggio della sua ben nota abilità oratoria dimostrò l’inettitudine del conte reggente il cerusico Don Luis in quanto non ancora aveva iniziato i lavori del cimiteri. Completò il suo discorso con l’invito a ritirarsi fra i suoi pazienti per permettere a Biasox di tornare sul trono. A questo punto superato il momento di terrore prese la parola il prode cavaliere de Paganicus che iniziò a dimostrare come il progetto favorisse gli introiti del conte a discapito del popolo. Vista la piega del discorso intervenne il socio di Biasox, quello che materialmente doveva realizzare il maestoso progetto del conte. Questi con voce imperiosa ed ancora più potente di quella del conte minacciò di pubblicare delle carte segrete in suo possesso che dimostravano che tutti erano d’accordo alla realizzazione del progetto di Biasox. A queste parole il povero Antimus Mutus incominciò a contorcersi sulla sedia in quanto quell’energumeno lo fissava insistentemente come se si rivolgesse a lui in particolare. Lo stesso faceva Antonio il Russo anche se non smetteva di dare consigli a Don Luis su come dovesse comportarsi. Ristabilito il silenzio sepolcrale e avuto sentore che il suo ordine sarebbe stato eseguito il conte Biasox come era comparso così all’improvviso sparì tra i rumori della sua armatura ed il rombo della sua potente carrozza che si allontanò nella notte verso una meta sconosciuta a tutti. A questo punto il conte reggente Don Luis de Santa Cruz che era quasi scivolato sotto la sedia per la paura ricominciò a respirare ed anche a riprendere l’uso della parola. Assicuratosi più volte che il conte Biasox fosse davvero andato, via,  iniziò prima a balbettare e poi a parlare correttamente.  Man mano che illustrava il suo pensiero gli ascoltatori non credevano alle loro orecchie. Don Luis appoggiava la tesi di de Paganicus che quel progetto fosse una grande truffa ai danni del popolo di Calenum ideato solo per arricchire Biasox  e pertanto lui si sarebbe impegnato a farlo sparire. Accortosi però di essersi sbilanciato troppo, temendo la reazione del Conte aggiunse che nel caso non ci fosse riuscito, o che il gran giurì glielo avesse imposto, avrebbe realizzato il progetto. I servi della gleba che avevano inteso solo la prima parte del discorso acclamarono Don Luis a gran voce e con tantissimi applausi.

Il Conte del Grillo                                                                                                                                                                                                  

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