Alcuni anni fa, in un paesino molto, molto piccolo, composto da poche casupole costruite con pareti di fango mescolato a ramoscelli e con il tetto formato da erba seccata al sole, viveva una famigliola composta dal papà, la mamma e un figlioletto di cinque anni.
Nel loro villaggio non esisteva la luce elettrica, non il telefono e della televisione avevano soltanto sentito parlare. Le macchine che passavano da quelle parti erano una rarità e costituivano un evento di cui si sarebbe parlato per giorni e giorni.
Ogni mattino e ogni pomeriggio la donna si recava al fiume con due grandi brocche per prendere l'acqua da usare durante il giorno. Il bimbo la accompagnava, tutto fiero di poterle essere utile e, per rimanerle vicino, era obbligato a correre…ma questo non gli impediva di parlare, scherzare, raccogliere fiori con cui fare un mazzetto da donare poi alla mamma.
La loro vita scorreva semplicemente….non sentivano il bisogno di avere altre cose oltre a quelle poche che possedevano: un semplice giaciglio, una coperta per le notti fredde, un fuoco sempre acceso, poche galline libere di razzolare per l'aia assolata e alcuni piccoli maialini, compagni di gioco prediletti del bambino.
Il papà stava quasi tutto il giorno lontano da casa e tornava sull'imbrunire con il risultato della sua fatica: frutti raccolti durante il cammino, legna e, quando la fortuna lo assisteva, una piccola preda con cui variare il menù. La mamma si dedicava alla famiglia: oltre all'acqua pensava a raccogliere la legna, a cucinare, a coltivare alcune verdure nel piccolo orto e ad accudire al bambino.
Quando veniva il momento in cui il bimbo era sottoposto, suo malgrado, al rituale del bagnetto, il che avveniva puntualmente ogni giorno in riva al fiume, era bellissimo vedere la tenerezza con cui, più che lavarlo, lo accarezzava parlandogli dolcemente. Una luce accendeva i suoi occhi, riflettendo una gioia interiore che, pensava, niente e nessuno avrebbe mai spento.
Alla sera la famiglia si univa ai vicini e, tutti insieme, si stava intorno al fuoco, sotto un cielo stellato e con una luna che illuminava con discrezione. Era questo il momento magico della giornata: gli adulti raccontavano degli avvenimenti del giorno mentre i bambini, abbandonati i giochi, ascoltavano con occhi rapiti.
Non di rado il più anziano tra gli uomini presenti, iniziava un racconto dove alla realtà si mescolava la leggenda e per i più giovani era questo il momento più bello…..prima di essere mandati, con loro grande disappunto, a dormire.
Come tutte le favole, anche questa ha una fine…. l'unica differenza è che, rispetto alle storie che tutti noi conosciamo, il finale non è quello che avremmo voluto ascoltare.
Il bambino che si guardava intorno con gli occhi pieni di meraviglia, che raccoglieva fiori per la mamma, che giocava con una palla fatta di stracci... non c'è più.
È stato colpito da una banale malattia, una di quelle che molti nostri figli hanno avuto e dalla quale si guarisce senza problemi: l'unico problema era che questo bambino viveva in uno sperduto villaggio africano.
Bastava un semplice antibiotico… è morto tra le mie braccia.
Ho chiamato questo racconto "fiaba", anche se fiaba non è, perché le favole contengono sempre una morale e quindi un insegnamento.
Ma forse ho usato questa parola con la speranza che ci faccia fermare un minuto in più a riflettere e ci insegni che il mondo non è solo quello intorno a noi.
Albino